Fra chi ci perde e chi ci guadagna l’Europa ha cessato di esistere

Non c’è che dire: alla resa dei conti, almeno finora, il piano è stato ben congegnato e per molti l’affaire ucraino è stata la manna dal cielo. Sicuramente lo è stato per i dem americani e l’amministrazione Biden, I primi, usciti per il rotto della cuffia dalle elezioni più opache della storia degli Stati uniti, la seconda tentennante fin dai suoi esordi per la dubbia lucidità del presidente e gli scheletri nel suo armadio. Opinione pubblica – che in America conta qualcosa – distratta dalle magagne interne e mobilitata contro il nuovo demoniaco nemico in una guerra indolore perché fatta combattere da altri;  un’economia rinfrancata dalla valorizzazione delle risorse energetiche interne e dal balzo in avanti dell’industria bellica nonché dall’indebolimento politico ed economico dell’Europa;  il rinnovato ruolo di superpotenza e di gendarme planetario:  ce n’è abbastanza per ritenersi soddisfatti del lavoro compiuto in anni di punzecchiature alla Russia, culminato nella trovata geniale dell’attore lanciato dalla fiction alla realtà. Ma è andata di lusso per il Regno unito, uscito con le ossa rotte dall’Ue, con un primo ministro travolto dagli scandali e  un intermezzo tragicomico prima di finire nelle mani di Rishi Sunak, che sarebbe azzardato considerare uno statista, col fiato sul collo del labour party rinvigorito dai problemi dei tories: sembrano tornati i bei tempi della guerra, si rinsalda l’asse con gli Usa e si riprende la guida del nord Europa. La Norvegia ha trovato il modo di far valere il suo tesoretto energetico col sostegno della show girl finlandese e  di una bellicosa Svezia guidata lancia in resta dal fantasma di Gustavo Adolfo mentre il gruppo baltico- polacco gongola per aver spostato verso est il baricentro dell’Europa.

Rishi Sunak e Sanna Marin

Doppio guadagno per la Polonia, da cenerentola a potenza militare che detta la linea dell’Ue, alleata di ferro dell’Ucraina ma pronta a impadronirsi della Galizia e della Volinia se le cose per Kiev si mettessero molto male. E anche per la Francia di Macron la guerra è stata un toccasana. Le sanzioni l’hanno appena sfiorata grazie al nucleare e all’aver mantenuto al sicuro l’interscambio commerciale con la Russia. In compenso Macron si è affacciato da protagonista sulla ribalta internazionale, ha rinsaldato la sua traballante poltrona e per gli aiuti militari all’Ucraina si è finora limitato a svuotare i magazzini di ferri vecchi.

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Anche la Spagna ha motivo di rallegrarsi per la guerra: le sanzioni alla Russia colpiscono in primo luogo il settore energetico e, di conseguenza, l’industria manifatturiera; pertanto l’economia spagnola ne risente molto meno di quella italiana  e di quella tedesca  assetate di energia. E siccome, in barba all’Ue, i rapporti reali fa i Paesi europei sono tutt’altro che idilliaci, se l’Italia affonda la Spagna se ne avvantaggia. Poi c’è la Germania, che dalle sanzioni alla Russia e dalla guerra ha solo da rimetterci tant’è che il suo governo si è allineato alle posizioni Nato con scoperta riluttanza, costretto dal vassallaggio militare nei confronti degli Usa che dura ormai dalla fine della seconda guerra mondiale e somiglia in modo impressionante ad una occupazione. A dimostrazione del fatto che l’Ue è una finzione i tentennamenti di Scholz,  che guida il maggiore stato europeo e la quarta potenza economica mondiale, non ne hanno minimamente messo in discussione l’incondizionato sostegno all’Ucraina, come se lo stato guida dell’Unione fossero la Polonia o la Lituania, i  più esagitati fautori dell’intervento militare contro la Russia. Ma non è solo l’eredità della sconfitta che condiziona la politica estera tedesca. A differenza dei Paesi bagnati dal mediterraneo c’è nell’opinione pubblica una quota non maggioritaria ma significativa di convinti  simpatizzanti per la causa ucraina non tanto per adesione al mantra c’è un aggressore e un aggredito che deve essere difeso ma per la presenza di quell’esplicito o strisciante neonazismo che circola un po’ in tutto il nord Europa ed è di casa in Ucraina. Poi ci sono i Verdi, ingombranti compagni di governo, una formazione politica ambigua, nutrita di misticismo ecologista nel quale il confine con le baggianate della purezza della razza e del ritorno alla terra di antica memoria è piuttosto labile. In quest’ottica il paradosso di un movimento ambientalista  guerrafondaio (è difficile immaginare qualcosa di imputabile all’uomo che inquini  il pianeta più di una guerra) non è più tale.
Infine l’Italia. Come la Germania dalla guerra non ha guadagnato nulla (in realtà qualcuno ci sta guadagnando sia con le armi sia con la speculazione su gas e petrolio); ci ha solo rimesso. Ha perso il suo principale fornitore di energia, ha messo a rischio le relazioni commerciali col suo tredicesimo partner, ha compromesso il turismo di lusso, si è inimicata un grande Paese col quale aveva storicamente ottimi rapporti e al quale la univano stretti vincoli culturali (mi fanno ridere quelli che per stupidità, ignoranza o malafede postulano l’esistenza di un Occidente senza la Russia) e soprattutto ha pagato la linea Draghi con un’incredibile spaccatura fra politica e popolo. Patetiche le giustificazioni dei leader politici di maggioranza e opposizione, accomunati dalla medesima follia: erano in gioco la nostra libertà e la nostra democrazia, si è detto e si continua a dire con stupefacente faccia di bronzo  e, come corollario:  non ci si poteva esimere dall’intervenire,  come se problemi territoriali fra stati ai quali non si è vincolati da alcun trattato, che non sono parte dell’Ue né dell’Alleanza atlantica fossero problemi nostri  e non semmai delle Nazioni unite.  Che se poi la politica estera dovesse essere guidata da criteri morali – una barzelletta, ma ammettiamolo pure – allora l’Italia, e con l’Italia l’Europa,  avrebbero sì  dovuto intervenire, ma  per fermare l’Ucraina che da otto anni per risolvere il problema  delle regioni secessioniste le prendeva a cannonate.  Insomma:  paghiamo un conto salatissimo per un capriccio di Draghi e della sua improbabile pupilla? Non è credibile. E non è neppure credibile che gli Stati uniti, che non sono in grado di zittire il dissenso interno – e interno anche ai dem – siano in grado di ridurre  tutta la stampa, tutti i partiti,  le massime istituzioni e il governo  italiani  a un unanimismo che ha dell’incredibile.

Ci sarà sicuramente corruzione, ci saranno ricatti, c’è indubbiamente servilismo, c’è a destra un serpeggiante filo nazismo e a sinistra odio per l’anticomunista Putin, ma tutto questo non basta per capirlo. C’è qualcos’altro ed è decisivo e spiega tanta compattezza e unanimità: il bisogno spasmodico di soldi, il miraggio di un’enorme torta che in tanti sentono già nelle proprie fauci, un fiume di denaro per rimpinguare non tanto le esangui finanze dello Stato quanto per ungere gli ingranaggi  del potere e  oleare la macchina del sottogoverno.  L’Italia è la prostituta dell’Europa. Lo Stato ha tradito la nazione, le ha stretto al collo un cappio che le impedisce di farsi sentire, la sta annegando in un debito pubblico impossibile da gestire per incapacità e per torbidi interessi, l’ha riempita di stranieri facendoli passare per risorse quando sono solo un’ intollerabile zavorra, ha barattato  quel che restava della sua sovranità con  soldi europei che ne condizioneranno il futuro e ora questo governo ha messo la sua difesa nelle mani di uno al quale evidentemente la mole impedisce una accettabile irrorazione sanguigna del cervello, uno che dichiara pubblicamente che se i carri armati russi dovessero minacciare Kiev scoppierebbe la terza guerra mondiale.   Che dire? Meno male che c’è Biden!
Ma intanto, com’era facile prevedere, qualcosa comincia a scricchiolare nell’Ue proprio mentre  sullo scacchiere globale si stanno componendo le tessere del puzzle americano. Il mondo islamico, piaccia o no, ha le sue regole e i suoi principi: la sessuofobia, il confinamento della donna all’interno delle mura domestiche, il tabù dell’omofilia (gli omosessuali sono una quota pressoché costante in qualunque cultura e sarebbe impossibile eliminarli ma non devono ostentare le loro inclinazioni), l’orrore e lo sdegno per i transgender.

Lentamente, per un processo osmotico inarrestabile, alcuni di questi principi direttamente ispirati al corano tendono ad attenuarsi, soprattutto nei Paesi a contatto diretto col sostanziale laicismo del resto del pianeta (volutamente non dico dell’occidente). Ma se qualcuno volesse  provocare una spirale di  disordini e reazioni dovrebbe puntare proprio sulla lentezza di quel processo.  E mi chiedo: cosa c’è dietro la mobilitazione occidentale – id est americana – a favore delle proteste nelle università iraniane? chi ha buttato benzina sul fuoco? Perché proprio ora che l’Iran, col Pakistan, con l’India, con la Cina compone un blocco asiatico unito contro la guerra della Nato alla Russia? E, se l’obbiettivo è sgretolare quel blocco sarebbe prudente cominciare non dall’India, tantomeno dalla Cina, ma dai Paesi più deboli, militarmente e socialmente e più invisi all’opinione pubblica europea e americana. Non è fantapolitica ipotizzare che sia in corso un posizionamento per la resa dei conti finale: il dollaro è una macchina impazzita capace di distruggere il pianeta pur di non perderne il controllo.

Roberta Metsola Presidente del Parlamento europeo

Quella compattezze della quale si compiace la coalizione antimoscovita e sgrava la coscienza a tanti politici  e pensatori nostrani, secondo i quali l’unanimismo è la prova della giustezza di una  posizione, mostra  però inequivocabili segni di cedimento. Non sono più solo le esitazioni del cancelliere tedesco,  l’ambiguità di  Erdogan o i ricatti di Orbán o il pendolo di Macron ma è l’articolato, lucido, sensato messaggio all’Ue di Milanovic, che non si è peritato di allinearsi con l’acerrimo nemico serbo, a provocare un’incrinatura. Il leader croato non ha niente di eccezionale: è semplicemente un uomo ragionevole e politicamente onesto che denuncia il suicidio dell’Europa sull’altare degli interessi americani e la follia di governanti che giocano sulla pelle dei popoli. Onestà e ragionevolezza che mancano nella Commissione europea e in chi guida gli stati europei con incosciente disinvoltura, stati destinati a essere le prime vittime di uno scoperto conflitto con la Russia, comunque combattuto (intendo anche con armi convenzionali: ma chi si fida degli Stati uniti che l’arma atomica l’hanno già usata e non per una estrema necessità di sopravvivenza  ma a semplice scopo dimostrativo  in una  guerra già praticamente terminata e vinta?). Calcoli politici o economici, reti affaristiche, interessi contingenti  hanno fatto calare sull’Europa una cappa  che ha spento  la luce dell’intelligenza e della ragione.  Se i popoli europei non riescono a organizzarsi, se il malumore e l’inquietudine non si trasformano in un’onda capace di travolgere l’intero ceto politico europeo prima che sia troppo tardi, speriamo almeno che con l’esempio di Milanovic si frantumi quella compattezza che ci porta verso la catastrofe.  Certo è triste per noi italiani dover guardare verso Berlino o verso Parigi perché da Roma non potrà venire niente di buono.

Post scriptum

Siamo passati dal negare l’evidenza degli effetti avversi del vaccino anti Covid e della stupida inutilità del lockdown alla rimozione delle cause che hanno determinato l’intervento russo in Ucraina alla negazione dell’evidenza che la Russia non può perdere nel conflitto contro Kiev, per cui l’invio di armi serve solo a prolungarlo e renderlo più cruento. Ma a destra e sinistra si riempiono la bocca di diritti e di valori e non c’è nessuno che abbia un minimo di pietà per la sorte dell’incolpevole popolo ucraino, prima vittima del suo sciagurato governo,  e nessuno che  si vergogni del ritorno all’orribile retorica dell’ “eroica resistenza”. Non c’è nessun eroismo nella guerra: c’è solo sofferenza e barbarie.

Pierfranco Lisorini

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