ANARCHISMO E GARANTISMO

In questo primo mese del 2023 abbiamo assistito, tramite i giornali, la televisione e i social, a un ritorno di fiamma dell’anarchismo violento e militante in Italia e all’estero motivato dalle condizioni di detenzione e dallo  sciopero della fame del leader della Federazione anarchica informale e del Fronte rivoluzionario internazionale (FAI e FRI) Alfredo Cospito, detenuto da oltre dieci anni in carcere e, dal maggio del 2022 sottoposto al regime del 41bis.

Cospito prima e dopo il lungo digiuno

La violenta protesta dei gruppi anarco-insurrezionalisti è motivata dall’ingiustizia di un provvedimento previsto per la criminalità organizzata di stampo mafioso, ritenuto eccessivamente punitivo nei confronti di un detenuto che potrebbe morire da un momento all’altro. Per la verità va detto che qui non si tratta di una persona perseguitata per le sue idee ma del responsabile della gambizzazione di un dirigente dell’Ansaldo Nucleare a Genova, di un attentato dinamitardo a una caserma dei Carabinieri che per puro caso non ha provocato una strage. D’altronde è Cospito stesso a rivendicare la sua (secondo lui) giusta battaglia contro questo Stato borghese, forte con i deboli e debole con i forti. Ora continua la sua battaglia contro la Stato mettendo a rischio la sua vita, nella consapevolezza che, se morisse, lo Stato passerebbe dalla parte del torto, dal momento che la nostra Costituzione non prevede la pena di morte, ma anzi fissa nell’art. 27 il significato di responsabilità penale e la funzione della pena, e recita al comma 3: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Di qui i dubbi sulla costituzionalità del 41bis in generale e in particolare nel caso di Alfredo Cospito che, in fin dei conti, non ha ucciso nessuno, da parte di autorevoli giuristi come Giovanni Maria Flick, Gherardo Colombo, Francesco Ippolito, religiosi come Luigi Ciotti, filosofi come Massimo Cacciari, secondo il quale: “Il 41 bis è uno strumento duro, adottato con una ratio precisa: impedire che capi mafiosi potessero continuare a dirigere le loro organizzazioni dal carcere.

Quindi è stato loro impedito di parlare e comunicare con un regime di carcere durissimo. Me in un paese civile la pena non può avere un sapore di vendetta…”. Di qui un appello al ministro Nordio perché sospenda il 41 bis e l’ergastolo ostativo all’anarchico in sciopero della fame e che ha messo la sua vita in pericolo. Alquanto inopinatamente si è espresso contro il carcere duro previsto dal 41 bis anche Vittorio Feltri, interpellato in proposito da Myrta Merlino durante la trasmissione “L’aria che tira” del 31 /01 / 2023, equiparandolo a una sottile  forma di tortura, inammissibile in uno Stato di Diritto; così anche Corrado Pagano, avvocato di parte civile dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare gambizzato senza pietà da Cospito,  Roberto Adinolfi, diversamente da quanto si potrebbe pensare, si è dichiarato “contrario in termini generali al 41 bis, perché la ritengo una misura inadeguata, che lede i diritti previsti dalla nostra Costituzione” (su La Stampa del 31 / 01/ 2023); anche molti attori e artisti hanno preso posizione, a cominciare da Valerio Mastrandrea, firmando un loro appello al ministro Nordio, in cui, tre l’altro, leggiamo: “La lotta di Alfredo ci chiama a ragionare sul senso di umanità e di utilità  delle leggi  del nostro Paese, sull’evidente dismisura tra reato e pena.

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Per questo Alberto Cospito è pronto a morire. Non si tratta solo di una vicenda personale o di buonismo, ma di affermare un principio. Per questo chiediamo al Ministro e alle Istituzioni di intervenire prima che sia troppo tardi”.  Insomma il Paese si ritrova di nuovo diviso fra giustizialisti e garantisti come ai tempi della strategia della tensione. Chi  ha detto che la storia si ripete  sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa? L’anarchismo ha comunque dietro le spalle una sua lunga storia, ricca di figure e di personaggi da romanzo  – si legga, ad esempio, Il diavolo al Pontelungo di Riccardo Bacchelli, che ha come protagonista Michail Bakunin, penso anche a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, assurti a icone mediatiche quali martiri della libertà di pensiero, ingiustamente condannati alla sedia elettrica (ricordo, tra gli altri,  il film di Giuliano Montaldo e la canzone Here’s to you di Joan Baez su musica di Ennio Morricone); e come dimenticare l’anarchismo del giovane Mussolini e la componente anarchica del movimento rivoluzionario  fascista delle origini e lo scrittore e poeta Berto Ricci, prima anarchico e poi fascista fervente, partito volontario in guerra e caduto a trentasei anni in Libia nel 1941?

Va anche detto  che gli anarchici  d’antan hanno quasi sempre pagato di persona la loro scelta per la vita e per la morte, erano di ben altra caratura: miravano in alto non in basso;  penso ad Anteo Zamboni, che tentò di uccidere Mussolini a Bologna, nel 1926, giustiziato sommariamente dagli squadristi; a  Giovanni Passanante, che attentò alla vita di Umberto I di Savoia. La condanna a morte gli fu commutata in un durissimo ergastolo che lo fece ammalare di mente; a Sante Caserio, ghigliottinato per l’assassinio del presidente della Repubblica Francese Sadi Carnot; a Gaetano Bresci, il regicida di Umberto I di Savoia venuto apposta  dall’America a Monza per vendicare le centinaia di morti innocenti massacrati dal generale Bava Beccaris su ordine del re; condannato a morte, anche a lui fu commutata la pena nell’ergastolo (fu poi trovato morto “per suicidio”); a Luigi Lucheni, che pugnalò uccidendola, a Ginevra, l’imperatrice d’Austria, Elisabetta di Baviera (Sissi) e fu condannato all’ergastolo. Ispirò a Giovanni Pascoli l’ode “Nel carcere di Ginevra”, del 1906, che a lui si rivolge sotto il velame dello strano verso “Odimi: sono il padre tuo, l’lgnoto” e la cui notevole conclusione vale la pena di riportare e di ricordare: “ E l’odio è stolto, ombre dal volo breve, / tanto se insorga, quanto se incateni: / è la PIETA’ che l’uomo all’uom più deve; // persino ai re; persino a te, Lucheni”. Il quale Lucheni poi  si impiccò in carcere  nel 1910. Il messaggio è chiaro: l’odio e la violenza possono  solo peggiorare la condizione dei poveri e degli ultimi. Anche la violenza contro se stessi, come nel caso dell’anarchico nichilista e insurrezionalista  Alfredo Cospito; quindi è illusorio pensare che con la  la violenza e il ricatto si  possa ottenere l’abolizione del 41 bis per sé e per gli altri soggetti allo stesso regime di carcere duro, che, tra l’altro, da più parti è ormai considerato inefficace rispetto al fine che si propone, cioè impedire le comunicazioni dei terroristi e dei mafiosi tra l’esterno e l’interno della struttura carceraria. E’ quindi ormai soltanto una questione di principio: lo Stato non può cedere al ricatto della violenza,  gli anarchici e i mafiosi continueranno la loro battaglia contro lo Stato dentro e fuori dal carcere. Tuttavia  è chiaro a tutti che, a questo punto,  se Cospito morisse sarebbe una battaglia vinta anche per la mafia e per le altre organizzazioni malavitose e persa per lo Stato di Diritto. Bel risultato, vero?

Fulvio Sguerso

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