Elogio del dubbio. L’antidoto alla dittatura mediatica

Si è sicuri solo della propria ignoranza; tutto il resto può essere revocato in dubbio. Su questa consapevolezza, magistralmente illustrata e approfondita da Cartesio, si fondano la scienza e la filosofia occidentali o meglio, per evitare un aggettivo che sta diventando odioso, di derivazione greco-romana. Il dubbio è il motore della ricerca ma è anche espressione di libertà e condizione dell’intelligere, quell’intelligere che presupposti, pregiudizi e autorità oscurano e impediscono. Il dubbio è il peggiore nemico della dottrina, di qualunque dottrina a cominciare da quella religiosa ma non è nemico della verità perché la verità è un concetto negativo, è disvelamento, smascheramento non è la rivelazione. E il disvelamento, lo smascheramento, è frutto del dubbio, del non-credere. Ieri come oggi il potere è nemico del dubbio: lungo i secoli di dominio spirituale culturale e politico della Chiesa il dubbio è peccato e blasfemia e porta dritto alla dannazione. La salvezza è riposta nella fede e la fede non solo non conosce dubbi ma fa a meno anche della comprensione, come le beghine che biascicavano preghiere in latino senza capirne una parola. E se al popolino sono riservate formule magiche e incomprensibili il dotto le ricama con i suoi ragionamenti sottili: la ragione si adatta alla fede, le dà una veste comunicabile e apparentemente intellegibile ma il dubbio ne smaschera il non senso, il vuoto concettuale, la sua essenza di formula magica.

Il ruolo sociale e il peso politico della Chiesa sono venuti meno ma il principio di autorità da essa incarnato sopravvive nell’occidente – questa volta il termine è corretto – cristiano o scristianizzato che sia, laico, laicista o anticlericale ma nella sua intima natura intollerante e a suo modo bigotto. Bigotto e intollerante anche quando impone la trasgressione, quando rinnega i suoi principi, moralista nella sua immoralità, pronto a indossare il cappuccio e ad accendere roghi e, come tutte le Chiese, a dare la caccia agli infedeli rassicurandosi con ricorrenti autodafé. Come un fuoco che covava sotto la cenere è tornata fiammeggiante la Civiltà Occidentale, la culla della democrazia, della libertà, del diritto, quella che ha schiavizzato tre quarti del pianeta, tanto erano scimmie nere e musi gialli.  È curioso come a soffiare su quel fuoco siano gli stessi della cultura globale, del policentrismo e del filo che unisce tutte le manifestazioni di un’unica umanità, quelli  per i quali fino a ieri l’idea di una civiltà occidentale non solo era divisiva ma implicava la pretesa di una superiorità antropologica tale da giustificare qualunque sopraffazione. Bene, oggi la bandiera della Civiltà Occidentale l’hanno saldamente piantata sull’Ucraina che ne è diventata il centro e il baluardo, patria della democrazia, dei diritti, della tolleranza e della libertà, compresa quella di ospitare lo zio Sam con tutto il suo carico di missili e testate nucleari per abbattere l’orso russo e quella di far pulizia in casa propria liberandola dalle erbacce infestanti. Sono gli stessi che fino a ieri si stracciavano le vesti per il popolo ceceno oppresso e perseguitato e che ora inorridiscono nel vedere tratti mongolici dentro le divise dell’esercito russo, prova provata, quei tratti, che torture e stupri  ci sono stati e continuano ad esserci, eccome.

Gli stessi che alla damnatio memoriae del Duce avrebbero voluto aggiungere la cancellazione del Ventennio dai libri di storia e ora trepidano per la sorte degli eroici combattenti del battaglione Azov dichiaratamente nazisti. E mentre i prigionieri russi sgozzati e mitragliati stesi per terra in una pozza di sangue sotto lo sguardo compiaciuto dei soldati ucraini che li hanno filmati non suscitano emozione alcuna nessuno si interroga sulla strana coincidenza della strage di Bucha  proprio nel momento in cui i negoziati voluti da Erdoghan stavano imboccando la strada giusta e sono rimasti bloccati dall’indignazione planetaria. Strage documentata in modo tanto convincente che si è dovuto per giorni ribadire che quei morti senza una goccia di sangue erano lì da settimane anche se il sindaco della città quando i russi se ne sono andati non vi ha fatto cenno e si dovuto fare appello alle immagini satellitari perché ne testimoniassero l’autenticità (ma chi verifica l’autenticità di quelle immagini?). Eppure da quei negoziati sembrava finalmente venir fuori quello che le persone di buon senso sanno essere l’unica possibile soluzione della crisi ucraina:  smilitarizzare l’Ucraina posta sotto tutela internazionale, presa d’atto della incompatibilità del Donbass russofono  e russofilo con lo Stato ucraino, attestata dalle 14.000 vittime civili stimate dalle Nazioni unite (una cifra sicuramente da correggere al rialzo) in otto anni di eccidi perpetrati dai miliziani ucraini, e riconoscimento del ritorno della russa Crimea alla madre patria. E l’Italia che non ha fatto una piega quando le sono state strappate terre italianissime come Pola e Fiume con tutta l’Istria e la costa dalmata, l’Italia che assiste indifferente alla francesizzazione della Corsica o alla scomparsa dell’italiano da Malta, vuol rischiare che le piovano in casa i missili russi per il patriottismo farlocco di una nazione artificiale incaponita a mantenere la sovranità sui “ribelli separatisti”?  L’Italia che se il Südtirol coccolato nutrito e vezzeggiato se ne volesse andare si limiterebbe a dare mandato all’Istituto geografico militare di ridisegnare il confine e magari chiederebbe ai valdostani se ne vogliono seguire l’esempio. Ci scherzo sopra per soffocare la rabbia.

Non ci si limita a criminalizzare il dubbio. Con tutto che le uniche informazioni che ci vengono fornite provengano da Kiev e siano confezionate da Zelensky, con tutto che i nostri corrispondenti, come tutti i giornalisti occidentali, se ne stiano in albergo a guardare i telegiornali ucraini per redigere i loro reportage (e c’è da capirli, considerato chi li ospita), si viene messi in guardia contro la propaganda russa, per noi inaccessibile, e i più “equilibrati” opinionisti ci invitano a fare la tara a quel che arriva  dai due fronti della guerra di propaganda, trascurando il fatto che a noi di quei fronti ne arriva uno solo. Le presunte fake news filorusse sono in realtà il risultato di un processo induttivo da parte di chi tenta di vedere oltre il muro della verità di Stato, alla quale possiamo opporre solo l’arma del dubbio e la capacità di coglierne le contraddizioni interne.

Zelensky

L’arma del dubbio che ci ha liberato dalla soggezione a santa madre chiesa, che ha svegliato la ragione dal suo sonno secolare e ha negato la falsa evidenza dei moti del sole e delle stelle è la stessa che ha rotto le catene che legavano il contadino alla terra e la donna al focolare, che ha mostrato nel servo l’uomo, nell’infelice, nel “malriuscito”, la grandezza dello spirito e il vero senso dell’umanità. L’arma del dubbio che ci difende da una stampa prezzolata e dalla suggestione delle immagini televisive.

Altro che retrogradi,  terrapiattisti (stupida trovata giornalistica: per quanto si vada indietro nella nostra storia non c’è mai stata una teoria astronomica né una credenza popolare che concepisse la terra come una padella) o negazionisti (un termine che dovrebbe essere riservato ai negatori dell’olocausto, e in primis ai polacchi, e a chi parla in modo blasfemo di genocidio); increduli  di fronte alla santissima Trinità e addirittura  davanti alle immagini dello sbarco sulla luna (e io, lo confesso, mi sono sempre chiesto: nel 1969  sicuramente si poteva sparare un cristiano sulla superficie del nostro satellite ma si era in grado di riportarlo indietro?  e se sì com’è che mezzo secolo dopo è un successo sbalorditivo raccogliere un sassolino lunare e portarlo sulla Terra? e com’è che dopo la passeggiata di Armstrong nessuno ha pensato a organizzare voli charter e costruire case vacanze per miliardari ansiosi di guardare le loro dimore da un osservatorio esclusivo?), no vax  (e, per quel che mi riguarda, se Speranza  si azzarda a imporre la quarta dose mi impegno a cercare un paio di reprobi come me per andare a ficcargliene in gola una quinta una sesta e una settima), “putiniani” (espressione che ha senso solo nell’universo manicheo dei nuovi credenti), i bastian contrari non mettono il cervello all’ammasso, si spostano tranquillamente da destra a sinistra (l’hanno fatto Cavour e D’Annunzio e vorrei vedere il demente che li accusa di trasformismo) perché la loro bussola è la loro coscienza, la loro ragione, la loro capacità di intendere e di giudicare.

Beati gli increduli perche solo a loro si apre il regno della conoscenza.

Pierfranco Lisorini

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