E se facessimo come in Islanda?

E se facessimo
come in Islanda?

E se facessimo come in Islanda?

 Riprendo qui la mia collaborazione con la rivista Trucioli Savonesi, confidando nella pazienza di Antonio, il curatore della stessa.

Avevo dovuta sospenderla per vicissitudini familiari, ahimè niente vacanze estive.

E, tanto per cambiare, riprendo con l’inesausta serie delle mie proposte impossibili, che poi tanto impossibili non sono…

Questa volta porto ad esempio un’isola remota, la splendida Islanda.

Un bel giorno si svegliano convinti di avere un problema, un grave disagio giovanile, con tanto di alcolismo, depressione e drogame vario. Ad essere sincero credo che in altre parti del mondo tali questioni fossero più gravi, ma loro erano comunque preoccupati…

 

 

Decidono di puntare sullo sport, scelgono il calcio, preparano undici campi, di cui quattro coperti da poter usare con ogni condizione meteo, e gettano nella mischia tutti i ragazzini che gli capitano per le mani, rendendo il calcio attività scolastica obbligatoria o quasi.

Io non ho trovato statistiche che mi permettano di dire che la questione, dal punto di vista sociale, sia migliorata, di poco o di tanto. Ma visto che hanno insistito a lungo su questa strada, anzi continuano a percorrerla con convinzione, immagino che i risultati siano stati positivi.

Posso però citare i sorprendenti effetti secondari di questa vicenda.

E sì, perché una volta il calcio islandese praticamente non esisteva (l’isola ha circa 330.000 abitanti, pochi in più della provincia di Savona), era al 112° posto nel ranking Fifa, oggi pare che sia risalita al 34°, si è qualificata al torneo europeo e mondiale, comportandosi più che dignitosamente, con una squadra dove l’allenatore fa il dentista, uno dei portieri è un regista e i professionisti del team giocano tutti all’estero.

Oserei dire risultati eccezionali, vista l’esigua base demografica di partenza.

Allora perché non farlo anche qui? Mandiamo tutti i ragazzini delle scuole a prendere a calci un pallone, anzi usiamo anche un pallone ovale, per chi lo predilige, o uno da pallacanestro o da pallavolo. Associamo alla normale attività scolastica uno sport di squadra e usiamolo come strumento di crescita e di integrazione, magari avremo un sottoprodotto utile, diventeremo un vivaio di atleti di livello nazionale, cosa che non sarebbe male, visto che l’industria dello sport è una delle principali del paese, situandosi all’ottavo posto se non al settimo…

Si, si, lo so…la burocrazia, il Ministero, i mille ostacoli che si frappongono sempre su tutto… Ma se lo han fatto in Islanda, col clima che si ritrovano, possibile che qui non si possa fare?”

 

LUCA MURGIA

 

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