Droni sul Cremlino o politiche sul lavoro: la disinformazione scatenata.
Ruit hora e nella corrente del tempo si perdono le farneticazioni sull’antifascismo, il fascismo e, novità inserita da qualche spirito bizzarro, l’afascismo – puntualmente indotte dalle fatali ricorrenze primaverili. E se dai piani alti e dai sottoscala dell’intellighenzia anoetica nostrana i liquami dell’odio delle falsità e dell’ipocrisia sono ormai rifluiti nella discarica del pensiero debole ora alla grande stampa tocca cimentarsi in una lotta fratricida fra chi la spara più grossa.
L’ultima occasione l’hanno offerta i droni abbattuti sopra la cupola del Cremlino. Elaborate articolesse per dimostrare che Zelensky non c’entra nulla, è una messinscena russa per giustificare una ritorsione; che Zelensky non c’entra nulla, sono i falchi russi che vogliono dare una lezione al troppo cauto Putin; che Zelensky non c’entra nulla, sono stati gli oppositori interni, non si sa se quelli che rimpiangono l’Unione sovietica o quelli che anelano a un sistema autenticamente liberale; è opera di Zelensky, che da furbo di tre cotte nega tutto, per dimostrare la vulnerabilità dello zar e convincere gli alleati a sferrargli la spallata finale; è opera di Zelensky che zitto zitto mira a indebolire il fronte interno russo e già che c’è tenta il colpaccio di far crepare Putin sotto le macerie del suo ufficio. Qualcuno più prudente parla di un giallo e della impossibilità di stabilire la paternità dell’impresa lasciando decidere ai suoi lettori se sia commendevole o condannabile. Tesi diverse ma con un comune denominatore: parole in libertà, senza il controllo di dati e della critica.
Tesi diverse ma un solo obbiettivo: disinformare, distrarre, coprire. Coprire la lampante verità: ogni volta che si fanno passi concreti per una soluzione diplomatica del conflitto un missile sconfina, l’oleodotto esplode, la figlia di una personalità di spicco salta per aria. Col papa reduce dall’Ungheria – l’unico Paese europeo dell’Ue che non si è compromesso col sostegno militare all’Ucraina – e preannuncia concrete iniziative diplomatiche capita puntualmente qualcosa che acuisce il conflitto allontanando il tavolo della trattativa. Insomma è del tutto evidente che Zelensky non vuole una pace che congelerebbe la situazione sul campo ed è disposto a rischiare una conflagrazione globale per riprendersi il Donbass e addirittura la Crimea (con le armi e magari con gli uomini della Nato); ma il protagonista di questa tragedia non è certo il comico che recita la parte di Commander in Chief; sono gli Stati uniti, che hanno di fatto scatenato il conflitto e non hanno alcuna intenzione di porvi fine.
Il loro scopo era e rimane quello di aprire un solco incolmabile fra la Russia e il resto dell’Europa costringendo quest’ultima alla dipendenza politica militare ed economica e nel contempo ridurre la Russia sulla difensiva chiusa nei suoi confini. Premessa necessaria per poter colpire il vero obbiettivo: lo strapotere economico della Cina che ha drasticamente ridimensionato le pretese egemoniche dell’America.
Il manicheismo sul quale affondano quelle pretese, nonostante la servile complicità dei governi e degli apparati politici, culturali e finanziari europei, non basta più, non solo perché sono in gioco variabili incompatibili con l’omologazione planetaria, come l’islamismo, le peculiarità irriducibili di Paesi come Israele e il Giappone o le turbolenze sociali nel mondo latino-americano, ma per l’avvicinamento e la saldatura di potenze continentali quali la stessa Cina, l’India e, brutta sorpresa per Washington che si era disfatto di Bolsonaro, il Brasile di Lula.
C’è da credere che il capitalismo americano si sia affidato ai signori della guerra per disperazione, e questo lo rende pericoloso. La prospettiva di un pianeta policentrico, oltre i blocchi, nel quale la frammentazione politica dà vita ad una fitta rete di scambi che sostituisce la piovra economica e finanziaria Usa e ne libera il mondo dal ricatto monetario, è un incubo per i dem americani che pensano di potersi salvare schiacciando la Russia per spaventare la Cina.
Fortuna vuole che i poveri pennivendoli possano per un momento cercare di recuperare le forze, e la dignità, occupandosi d’altro ma quale che sia il tema non riescono proprio a usare la penna o tastiera che sia per informare e non per disinformare e confondere. È ormai scontato che il governo Meloni, tolto l’atlantismo guerrafondaio, non ha altra bussola e tira a campare. Figuriamoci se è in grado di affrontare seriamente il tema del lavoro o quello scottante del precariato. E siccome il precariato è un ottimo strumento per coprire la disoccupazione, di fatto questo governo non solo non lo combatte ma scopertamente lo favorisce e incoraggia.
Bene, fra le corbellerie sentite in questi giorni mi preme ricordare le affermazioni di Minzolini, secondo il quale il lavoratore ha da essere multitasking, forza lavoro impiegabile in qualunque ruolo. È, assurdo, dice, che una persona cominci un lavoro e pretenda di proseguirlo fino alla pensione. Insomma, deve essere considerato normale che uno il lavoro lo perda e ne possa trovare un altro: un contratto non è un matrimonio indissolubile.
Un ragionamento in apparenza corretto, da vero liberale, condiviso da quanti guardano a un mercato del lavoro flessibile e liberato da lacci e lacciuoli. Peccato però che le stesse persone si riempiono la bocca di specializzazione, come se la specializzazione per sua natura non implicasse rimanere all’interno della stessa attività con relativo incremento delle competenze. Contraddizioni superabili, certo, se si ragiona in buona fede. Ma di buonafede ne vedo poca; vedo piuttosto tanta piaggeria e il desiderio anche per questo aspetto di coprire l’inerzia e l’incapacità del governo facendo passare il precariato per flessibilità.
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