Denatalità e longevità

Credo di poter a pieno titolo disquisire almeno sulla longevità, essendo riuscito ad arrampicarmi su per l’impervio sentiero che punta verso i 100 anni. Non pretendo di arrivarci, ma almeno posso esternare la mia weltanschauung, insomma riferire come vede il mondo contemporaneo un ottuagenario (sia pur non allineato).
Comincerò col dire che, pressappoco allo scadere di ogni decennio, siamo chiamati a render conto del nostro vissuto di fronte ad un tribunale speciale. No, non un tribunale come lo immagina la Chiesa, sulle orme della visione dantesca, bensì un tribunale interno che ti chiede che ne hai fatto del tuo corpo nei decenni passati. Ne hai abusato, hai forzato i suoi limiti, ti sei dimenticato che il corpo ha un’ottima memoria dei maltrattamenti eventualmente subiti?

“Il cielo non ha limiti. E neppure tu dovresti averne”. Accoppiato all’icona del self made man, questo sprone ha caratterizzato la baldanza americana, imitata dai cittadini della vecchia Europa nella rincorsa a superare ogni traguardo, in ogni campo. Risultato: 99 frustrati su 100

Onde far sì che la comparizione non scada a futile comparsa senza conseguenze, il corpo, che del tribunale è la sede, ti manda dei segnali.

PUBBLICITA’

C’è chi di quei segnali ne fa tesoro e vira nella direzione indicata, e chi invece pensa di infischiarsene e procede lungo la strada degli eccessi, degli abusi, della sfida a superare i limiti.
Del resto, viviamo in una società che ha fatto del superamento dei limiti il suo vessillo. Come quell’atleta del salto in alto che alza ogni volta di più l’asticella, fino a cadere fragorosamente assieme ad essa. D’altronde, il mito della crescita continua, non solo in economia, non fa che instillarci questo principio.
Gli ultimi decenni sono i più ricchi di segnali, come fosse una strada che, poco per volta, infoltisce i cartelli di divieti. E dipende dal carattere della persona decidere se farne tesoro o ignorarli. Ignorarli significa aumentare le probabilità che arrivi un colpo deciso di assestamento, o peggio, quello finale.
Non si sente più parlare di vecchiaia, ma di anzianità, seguendo il linguaggio diplomatico corrente, che ha trovato una nuova etichetta ad ogni stato o mestiere che abbia qualche venatura negativa. Pensa positivo! Se però l’anzianità dava qualche problema, la vecchiaia li ha moltiplicati, anche se vengono abilmente camuffati sotto il nuovo traguardo della longevità. [VEDI]
E qui si instaura un clamoroso conflitto di intenti. Onde moltiplicare il numero di umani ed allungarne l’esistenza, li si comincia a rimpinzare di farmaci per ogni evenienza, presente, per rintuzzare ogni sintomo, e futura, all’insegna del “prevenire è meglio che curare”.

Illich scriveva questo libro nel 1976. Era un’epoca di grandi interrogativi. Oggi non ce li si pone più, abbandonandoci alla corrente prioritaria di economia e finanza uber alles. Come se quegli anni non ci fossero mai stati. Rimossi

Abbonda così il consumo di farmaci, per fauna (uomo e animali da allevamento e compagnia) e flora, col generoso spargimento di erbicidi, fitofarmaci e simili, intossicando il terreno e condannando le piante a malattie precoci e frutti ben lontani, anche come sapore, da quelli dell’epoca pre-pesticidi. Alle migliaia di prodotti chimici non si può opporre che un blando scudo. Tanto più blando quanto più il tipo di vita è, come già detto, lontano da quelle precauzioni che rendono il corpo più combattivo contro le minacce esterne, come quelle sparse generosamente nei cibi, nell’acqua, nell’aria, nonché interne, come, appunto, i troppi farmaci.
Con lo scoccare dei decenni, la reattività del nostro corpo non fa che scemare, e chi lo ignora, per “sentirsi giovane”, ne pagherà le conseguenze di fronte al tribunale interno, sempre più severo man mano che ci si approssima al crepuscolo.
Sono sempre stato piacevolmente stupito al notare le capacità del corpo a riparare un danno; ma constato anche che è sempre meno efficiente nella riparazione con l’avanzare degli anni.
Di tutto questo bisogna tener presente quando si elogia l’allungamento dell’aspettativa di vita, insomma la longevità. Questa parola porta con sé il fardello di persone che, per scelta o costrizione, non hanno voluto o potuto ascoltare e ubbidire ai segnali del corpo, e quindi si ritrovano a passare i loro ultimi anni dalla poltrona al letto e dalla farmacia all’ospedale, fino alla casa di riposo, per chi se la può permettere.
Ho sin qui parlato dei rapporti dell’individuo col proprio corpo, eludendo gli influssi della psiche sul corpo stesso. Il quadro odierno è di una massa di ipocondriaci, imbevuti di quel dottore deleterio che si cela nelle varie enciclopedie mediche, cartacee o digitali, che ci porta ad ascoltare ogni sintomo, anche i tanti che vanno e vengono, ricorrendo subito a medicinali e al medico famigliare o specialista, per combatterli a spada tratta.

Quando la rotta inverte direzione, cambiano le condizioni fisiche all’interno del natante. Lo stesso vale per l’inversione di tendenza demografica, dopo millenni di crescita. Invece di combattere la denatalità, ne andrebbero viste le opportunità per la qualità della vita. E attivarsi per attutirne i risvolti negativi, vista la sua ineluttabilità

Quindi, longevi sì, ma in salute; tenendo presente che è tutt’altro che proporzionale alle dosi di farmaci che abbiamo fatto ingoiare o iniettare nel nostro corpo.
Se ho sinora parlato della longevità sotto il profilo individuale, è il caso di estendere il discorso a livello sociale. Che problemi comporta il progressivo allungamento della vita umana, con il concomitante fenomeno della denatalità? Cito qui di sfuggita [VEDI] l’opinione, in perfetta linea coi tempi, di Nicola Palmarini: “…rendere la nostra vecchiaia un valore di industria, al pari della moda e del turismo, è la più grande opportunità sprecata del nostro tempo”. La stessa cultura che ha portato dagli orti alle monocolture.
Nati sotto lodevoli auspici, alcuni fenomeni hanno tardato a mostrare i loro risvolti negativi, anche per l’effetto moltiplicativo della loro concomitanza temporale. Mi riferisco naturalmente agli sforzi per migliorare le condizioni di vita (senza porvi un ragionevole traguardo), per combattere ogni forma di malattia (fino alle più innocue e/o sopportabili senza farmaci), per nutrire il crescente numero di persone sottratte alla morte, precoce o naturale, trasformando le campagne da agricole a impianti industriali.

Gli ameni, variegati paesaggi di tanti passati dipinti hanno ceduto il posto a sterminate distese, senza intervalli boschivi: le monocolture. Più cibo senza qualità, più posti a tavola, più medicine, con la longevità eretta a dogma, a prescindere da come la si vive

L’insieme di queste misure, che hanno comportato una crescente urbanizzazione, ha visto crescere l’età media delle gente e quindi una crescente disparità tra giovani e adulti in età lavorativa, diradati dalla denatalità, e vecchi dipendenti dal loro lavoro in un sistema pensionistico basato sullo stesso sistema per cui i governi si caricano di debiti, spostandoli sulle generazioni future. In parole povere: io lavoro, non per mettere da parte la mia pensione, ma per pagare quella di nonno e papà. Un’opzione obbligatoria, da quando il denaro non è più legato ad un bene fisico, ma è legato all’aspettativa di ricchezza a venire. Del resto, quando la banca ti concede un mutuo, non preleva dai depositi dei clienti, ma dal nulla, e quindi basandosi sul futuro lavoro del mutuatario per dargli concretezza.
In sostanza, un mondo che preleva dal reddito ipotetico delle generazioni future, caricandole di debiti sin dalla nascita, è un mondo che si basa su un futuro aleatorio e destinato alla bancarotta più prima che poi.

Didascalia dell’immagine: “Donne in carriera: sempre più numerose e influenti”.

Quanto alla denatalità, che con la longevità sta marciando di conserva in una miscela potenzialmente incendiaria, essa è vista con sgomento dai governanti, che al tempo stesso esaltano la longevità, ossia il rovescio della medaglia. Plaudono al proliferare dei vecchi come una grande conquista, non accorgendosi che longevità e denatalità sono figlie delle stesse cause. Il matrimonio, o la convivenza, senza figli, quando sono una scelta, ponderano, calcolatrice alla mano, tutti gli svantaggi che oggi pone la nascita di un figlio, dal suo mantenimento, sempre più oneroso, sino all’inserimento nel lavoro, diventato sempre più precario, col rischio concreto di figli a carico fino ad età un tempo impensabili. E durante quello spazio lavorativo, che welfare e disoccupazione hanno continuato ad erodere, dovrebbero farsi carico di genitori e nonni, versando i contributi, per un numero di anni oggetto di tira e molla tra sindacati e governo.
Un altro fenomeno che ha causato la denatalità è stata la crescente eguaglianza tra uomo e donna, vista naturalmente a tinte rosa dalle donne stesse, che hanno quindi scelto di assentarsi da casa e demandarne la cura, sia domestica che dei figli, a governanti e asili nido; acuendo al tempo stesso la disoccupazione, per la concorrenza con l’altro sesso. Una concorrenza cui s’è venuta ad aggiungere la progressiva sostituzione del lavoratore vivente con la sua versione inanimata, gradita agli imprenditori per essere esente dal carico di tasse, contributi (appunto!) e assenze per malattie e gravidanze che connotano gli esseri umani, il cui unico vantaggio e ragion d’essere è quello di essere consumatori.

In un mondo fatto per accogliere un crescente numero di umani, quando questi scarseggiano, come in Italia, c’è chi pensa di sopperire favorendo il trasferimento di massa di altre etnie, accelerando lo scardinamento culturale, sociale ed economico già in atto

C’è dunque un insieme di cause che sono salutate come frutto del progresso, ma si dimentica che l’attuale situazione ne è l’ovvia conseguenza. E insieme si piange sulla decrescita demografica, che quanto prima dovrà pur arrivare: le proiezioni statistiche indicano un ripiegamento delle curva di crescita verso metà secolo. Tale decrescita, piaccia o no, avrà conseguenze epocali sull’economia, per la diminuzione dei consumi e quindi l’entrata in crisi di tutto il sistema produttivo, già oggi sovradimensionato rispetto alla domanda. [VEDI]
Le prediche del papa e le misure del governo per invertire la denatalità sono destinate a rimanere pii desideri, se tutte le condizioni che ho più sopra enumerate rimarranno, com’è probabile, invariate. Una coppia non cambia idea e genera un figlio solo perché lo vuole la Chiesa o per il bonus bebè del governo: davvero poca cosa in confronto agli attuali oneri e svantaggi.
Demenziale la via d’uscita dalla denatalità, rincorsa dalla sinistra: porti aperti, col doppio vantaggio di manovalanza a prezzi irrisori e futuri voti, anche grazie allo ius soli, se mai quella compagine tornerà a governare. Vogliono un mondo iper-popolato, a scapito di ogni altra forma vivente.  

Marco Giacinto Pellifroni  1° ottobre 2023

Condividi

One thought on “Denatalità e longevità”

  1. Pellifroni e Lisorini complimenti, due articoli fantastici, li ho sentiti miei e anche il commento di Pellifroni all’articolo di Lisorini avrei voluto scriverlo io, descrive perfettamente come mi sento io quasi settantenne. Complimenti davvero alla rivista e ai due collaboratori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.