Dell’ informazione indipendente
Il 1° marzo scorso nell’accendere la TV, mi sono chiesto quale notizia sarebbe stata trasmessa per prima dal TG1 delle 13,30: se la strage dei palestinesi attorno ai camion degli aiuti, o i funerali di Aleksej Navalny.
Ecco, né l’una né l’altra.
Prima notizia della durata di 4 minuti e 48 secondi è stata quella su Rosa Bazzi e Olindo Romano per dire che non si sa se sono colpevoli o innocenti.
Quella su Navalny è stata trasmessa per seconda.
Per terza quella su quanto accaduto nella Striscia di Gaza, alla quale sono stati dedicati 1 minuto e 28 secondi.
“Un po’ poco”, mi sono detto, “per più di 100 morti e per più di 700 feriti. Che sia perché la situazione è ancora confusa e richiede più tempo per la raccolta e verifica dei dati?”
Così ho sospeso il giudizio in attesa di un confronto con l’edizione del telegiornale delle 20,00, sempre ovviamente della stessa rete. Risultato:
Per prima notizia, Giorgia Meloni in visita a Washington.
Per seconda i funerali di Navalny.
Per terza la strage dei gazawi, ai quali questa volta è stato dato maggiore spazio: 1 minuto e 33 secondi. Cinque secondi in più.
Nel cercare di capire la logica di soggetti e tempi dei servizi mandati in onda, m’è venuto in soccorso il comunicato stampa della staffetta Roberto Sergio-Mara Venier, letto dopo le esternazioni dell’ambasciatore israeliano a Roma, Alon Bar, per la canzone “Stop al genocidio” che Ghali ha cantato al Festival di Sanremo.
E per fortuna che m’è venuto in mente, perché quel comunicato quella logica la fa capire bene.
Ora posso ritornare a Navalny, alla fila chilometrica di persone riunitesi per lui. Tante. Ciascuna sola. Tutte sospese nell’ansia di una scelta individuale che le può schiacciare, e dalla quale tuttavia non si sottraggono.
Stanno lì, in paziente attesa per onorare con un fiore o con la sola presenza, tra il cordone sanitario della polizia, le fotosegnalazioni e le minacce, un uomo che è morto per testimoniare la verità. Sì, forse la sua verità: ma comunque per quella verità in cui sinceramente ha creduto, fino all’ultimo.
Un testimone che ha passato il testimone alle migliaia in attesa nel freddo e nella neve di una periferia che per un giorno è stata al centro del mondo.