Dalla maggioranza silenziosa alla maggioranza silenziata

Una sola nota positiva da queste elezioni farsa: i compagni escono finalmente dalla “stanza dei bottoni” – per usare l’espressione di Nenni – e il loro granitico sistema di potere comincia a sgretolarsi. C’è da sperare che vadano in soffitta i fantasmi di un passato manipolato ad arte e con essi la contrapposizione pseudo politica destra-sinistra, il fumoso armamentario ideologico che ha cloroformizzato il Paese, il mito della resistenza e la sacralità di una costituzione che fa acqua da tutte le parti. Resta il fatto che se l’elettorato non trova un partito che rappresenti le istanze della sua netta maggioranza le elezioni sono una farsa, a conferma di quanto pesi la “collocazione internazionale dell’Italia”, un eufemismo al quale i pennivendoli di regime ricorrono per significare la nostra perdita di sovranità. Sovranità persa non perché l’abbiamo consegnata all’Europa, che in questo caso ci sarebbe tornata indietro visto che dell’Europa siamo non piccola parte, ma perché, a conclusione di una deriva iniziata con la guerra fredda e accelerata grazie concorso di pressioni diplomatiche e di oscuri intrecci politico-finanziari, il Paese è controllato direttamente dagli Usa, che ne hanno fatto non il loro migliore alleato, come sostiene Berlusconi, ma una dépendance e una base militare, la loro portaerei nel Mediterraneo. Gli americani, prima degli elettori, hanno fatto fuori la Lega e ridimensionato i Cinquestelle dando mandato ai cosiddetti poteri forti di puntare sulla Meloni e il suo partito – dichiaratamente postfascista – per schiacciare Salvini che col fascismo non ha niente a che vedere. Una prova in più, se ce ne fosse stato bisogno, dell’ipocrisia, della mendacia, dell’improntitudine di una sinistra che ha continuato ad alimentare odio. agitare fantasmi e sfornare cartaccia in bella mostra nelle librerie per infangare – a un secolo di distanza! – i protagonisti di un pezzo della nostra storia giusto per continuare a vivere di rendita sulla retorica dell’antifascismo.

La campagna elettorale ha scontentato tutti i palati al di là della diversità dei  gusti. Per qualcuno è stata troppo violenta, per altri lo è stata troppo poco, per qualcuno si sono scontrate posizioni inconciliabili, per altri tutti i partiti hanno recitato lo stesso mantra; chi ha lamentato un eccesso di ideologia, chi si è rammaricato dell’assenza di ideologie, altri ancora, più avveduti, hanno registrato solo noiosissime chiacchiere da tutte le parti. Ma come poteva esserci una campagna elettorale seria, magari aspra ma chiara, lucida e in grado di rappresentare posizioni politiche legittimamente diverse fra di loro, se i partiti hanno giocato a nascondino con le scelte più impellenti, quelle imposte dalle criticità di questo momento storico? Il ricatto dei fondi europei, che strada facendo riempiranno parecchie tasche, ha  spinto tutti a indossare la divisa dell’Europa, con reiterate professioni di fede che arrivano fino alla bulimia europeista di Emma Bonino. Eppure di spazio politico per criticare, correggere o addirittura respingere l’Ue ce n’è eccome e averlo occupato non solo avrebbe sicuramente premiato chi l’avesse fatto ma avrebbe attestato che in Italia c’è traccia di democrazia. Invece silenzio, non c’è problema. Poi la politica sanitaria con la sciagurata gestione della pandemia: di nuovo silenzio, un silenzio imbarazzato per non pestare piedi amici. E ancora: il benessere sociale, lo stato sociale – the welfare state -, ridotto in campagna elettorale alla questione mal posta del reddito di cittadinanza tirato da una parte e dall’altra senza che nessuno abbia rifiatato sul peccato originale di averlo esteso agli stranieri quando avrebbe dovuto essere il suggello del patto fondativo dello Stato. Silenzio, balbettamenti, ambiguità. La supponenza dem, le stupidaggini della Meloni, le mezze parole di Salvini hanno fatto un bel regalo a Conte, che ha avuto anche la furbizia di smorzare i toni sulle sanzioni e di ribadire la sua contrarietà all’invio di armi all’Ucraina, votate convintamente dal suo partito, fidando sulla mancanza di memoria degli elettori.

Che dire poi dell’insopportabile pressione fiscale? Togliere ai lavoratori dipendenti un quarto di uno stipendio appena sufficiente per vivere è una vergogna che grida vendetta ma per i politici da dritta a manca è una cosa normale; e invece di porre concretamente, cifre alla mano, una riforma delle aliquote contestuale alla riduzione della spesa – e penso alla terribile zavorra di milioni di stranieri sbarcati in Italia nel corso degli anni senza reddito e senza lavoro – disputano pro e contro una flat tax che tutti sanno inapplicabile. E se a causa di questa zavorra per gli italiani non c’è welfare che tenga, la vita di centinaia di migliaia di proprietari case, magari non ancora finite di pagare, è stata rovinata quando dall’oggi al domani ne hanno visto crollare il valore, se alle nostre ragazze, e non solo a loro, viene impedito di uscire tranquillamente all’imbrunire o di viaggiare in treno, i pronto soccorso sono intasati e le carceri scoppiano, ai partiti non interessa, non c’è problema. Eppure è di questo che parlano i cittadini ed è per questo che il Pd ha perso ogni credibilità nelle periferie che erano la sua roccaforte. Ma si è evitato accuratamente di fare dell’immigrazione illegale e della presenza di clandestini un terreno di scontro: accenni fuggevoli e sfumati da una parte e dall’altra, con l’infelice parentesi meloniana del blocco navale, una sbruffonata per evitare di impegnarsi seriamente sulla questione, quando per tutta la società italiana il problema è cruciale. Infine, last but not least, anzi, prima di ogni altra cosa, il conflitto ucraino e la posizione dell’Italia: tutti appassionatamente d’accordo fra di loro quanto spudoratamente in disaccordo col popolo italiano che dovrebbero rappresentare. Criminalizzazione della Russia e del suo presidente, le sanzioni, le armi, tutti d’accordo non solo contro il commune sentire ma contro il buon senso, l’equilibrio, la convenienza, l’interesse nazionale e l’evidenza dei fatti. E, a questo proposito, un ulteriore esempio di disinformazione e manipolazione della realtà che nessun partito ha stigmatizzato: far passare per comunista il governo russo.

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La Russia di oggi è il risultato di una controrivoluzione drastica, funditus, anche se, come la “gloriosa rivoluzione”, incruenta. La discontinuità col bolscevismo, con lo Stato-partito, con lo Stato-etico poggiante su una dottrina ufficiale – una sorta di ortodossia dogmatica mutuata dal cosiddetto materialismo dialettico –  è evidente anche nei simboli: basti per tutti Leningrado che torna ad essere San Pietroburgo, per non dire della rinnovata centralità della chiesa ortodossa e il recupero della tradizione bizantina. Una controrivoluzione senza residui, proprio per questo capace di salvare la continuità storica della patria separando la nazione dalla sovrastruttura del totalitarismo comunista: si può irridere alla bandiera rossa e alla falce e martello, esecrare lo stato di polizia, la scuola indottrinatrice, la repressone di ogni tipo di dissenso e di diversità ma non si rinnegano la difesa di Stalingrado – ora Volgograd per non tornare al nome della vecchia dimora zarista che evoca la guerra fratricida -, il sacrificio di milioni si combattenti, la vittoria sulla Germania in una guerra di popolo, non  sovietica o di Stalin ma semplicemente russa. La Russia di oggi, autenticamente anticomunista proprio perché ha saputo fare i conti col comunismo, è una lezione per il miserabile antifascismo eretto a categoria dello spirito dalla nostra democrazia farlocca, incapace di integrare il passato e ridotta a calpestare indegnamente il selciato di una civiltà che non le appartiene più, e non mi riferisco certo al ventennio mussoliniano ma alla storia millenaria dell’Urbe.
Bene, di fronte a questa evidenza, un’autorevole firma del giornalone per antonomasia, tal Verderami, in un salotto televisivo ha avuto l’impudenza di parlare di esercito “sovietico” riferendosi alle truppe russe in Ucraina. Mi aspettavo che qualcuno dei presenti lo correggesse o che lui stesso chiedesse venia per il lapsus: niente di tutto questo. Al contrario, gli altri, fra cui Maria Giovanna Maglie recentemente diventata salviniana, hanno tacitamente o in modo esplicito ribadito il concetto: l’armata rossa, non russa, ha invaso un Paese libero e democratico.

No, non è un lapsus, non è una svista: è un modo consapevole per distorcere i fatti e per dare un aiutino ai Fdi di Giorgia Meloni, la nuova creatura di Biden e del Pentagono. Per non essere un semplice fantoccio del capitale finanziario globale di cui Biden è espressione bisogna che ci si reincarni nel Msi anticomunista, inviso, almeno a parole, ai democratici di casa nostra ma con legami strettissimi con la Cia e tutte le amministrazioni americane, repubblicane o democratiche che fossero, alle quali in tempo di guerra fredda non interessava il fascismo o il post fascismo ma il comunismo. E, come anticomunisti, i missini erano perfetti, così come l’alleanza atlantica e la presenza delle basi Nato erano una garanzia perfetta contro ilnpericolo rosso, interno ed esterno. Il problema, per la Meloni, è che il muro di Berlino è caduto, l’Unione sovietica è implosa, il comunismo realizzato ha cessato di esistere. E allora da chi ci deve difendere la Nato e perché dobbiamo rimanere abbarbicati alle ginocchia dello zio Sam? Da qui la suggestione per il popolo bue, che tardo com’è impiega parecchio tempo a metabolizzare il cambiamento, si confonde con le argomentazioni ed è più recettivo ai messaggi subliminali: siamo rimasti est e ovest, l’oriente comunista e l’occidente libero, il Bene di qua e il Male di là. E Putin, che quando torna comodo è amico o strumento dei capitalisti russi o alternativamente il nuovo zar che vuol resuscitare la Santa Madre Russia, viene fatto passare per l’epigono di Stalin; così l’atlantismo della Meloni è giustificato. Al confronto l’antifascismo di Letta è una cosa seria.

Gli elettori già frastornati dalla balordaggine di Salvini succube della dirigenza leghista sono stati accecati dall’odio verso Draghi – che sondaggi taroccati volevano popolarissimo – e il suo governo. Per loro la Meloni era l’alternativa a Draghi, l’unica che non si era compromessa col suo governo. In realtà si era compromessa eccome, ma lo aveva fatto di soppiatto e al cittadino medio ha fatto comodo non accorgersene, altrimenti non avrebbe saputo a che santo votarsi. Si può anche tentare di arrampicarsi sugli specchi ma inevitabilmente si cade e chi l’ha votata è destinato a pentirsene amaramente. In tanti, confortati dalle opinioni che ne hanno certi giornali europei o sedotti dall’insistenza mediatica sull’amicizia con Orbán pensano che il suo atlantismo antirusso sia una copertura, una furbata per accreditarsi a Bruxelles. Non è così e i fatti lo dimostreranno, anzi lo stanno già dimostrando. Le congratulazioni di Zelensky, le rivelazioni sul suo rapporto di collaborazione con Draghi, che, non dimentichiamolo, avrebbe voluto al Quirinale, il niet a Salvini al Viminale, dove il Capitano di un esercito in rotta dà, darebbe, avrebbe dato, quel poco o tanto della sua caratura politica, debbono far riflettere. Non sarà che siamo caduti dalla padella nella brace?

Pierfranco Lisorini

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3 thoughts on “Dalla maggioranza silenziosa alla maggioranza silenziata”

  1. Professor Lisorini la leggo da poco e sono rismato positivamente colpito dalle sue analisi sulla situazione del nostro paese. Complimenti. Sono andato a rileggermi tutti i suoi vecchi articoli mi pare che il primo pubblicato su questa rivista sia del 2016 eppure è ancora attualissimo…. L’Italia è da tempo sotto attacco sotto il profilo economico, politico, nazionale in questi anni”… purtroppo in questi anni non è cambiato nulla e ormai mi sono rassegnato anche se nutro la speranza, lei mi pare non ce l’abbia, che con la Meloni qualcosa in meglio possa cambiare.

  2. Sarebbe il caso, visto che a partecipare a vario titolo a “Trucioli Savonesi” ci sono persone con lo stesso nome, che gli autori dei “Commenti” si identificassero anche col cognome o con un qualche nickname distintivo. Altrimenti tutte le volte è necessario intervenire per precisare se si è oppure no l’autore del commento. Nella fattispecie, devo precisare che questo commento all’articolo del prof. Lisorini, non è il mio.
    Fulvio Baldoino

  3. Caro Lisorini, concordo con te nell’etichettare la Meloni come un falso alfiere del cambiamento, visto come si è via via appiattita sulle posizioni di chi è ancora in carica, sia in politica interna che estera. Speriamo che almeno si distingua nella “vile” politica del quotidiano, con in testa la tragedia dei prezzi dell’energia, cresciuti a 2 cifre a più riprese. Giova sottolineare che i € 50 miliardi sbandierati da Draghi come “aiuti a famiglie e imprese” per aiurarle a far fronte a questi aumenti folli siano per la maggioranza veri e propri fantasmi: chi ha ricevuto qualcosa, oltre ai € 200 erogati in giugno, alzi la mano. Dovevano darne altri 200 a luglio e agosto, ma hanno preferito cambiare idea. Nelle pensioni arrivate oggi c’è un aumento così ridicolo che ci sarebbe da ridere se non fosse che è tutt’altro che un argomento comico. L’aumento è in %, non si capisce su quali basi, visto che chi veleggia sui € 500/mese, ha incassato un aumento di € 12, insignificante sia come sussidio per le bollette che come adeguamento all’inflazione, ormai quasi al 10% ufficiale; il che significherebbe € 50, non 12. Aver optato per le % anziché un contributo consistente, tipo € 200, significa mantenere in eterno le fasce più basse nella miseria a vita. Certo, nei palazzi queste cose non le avvertono, infarciti di soldi come sono

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