Dal peccato alla colpa

Il termine inglese serendipity rende bene l’idea della fortunata combinazione del ricevimento di una tesi di laurea alla Sapienza di Roma. [VEDI]. Fortunata in quanto l’argomento è per certi versi sussidiario al mio ultimo articolo su Truciolisavonesi [VEDI]

Tutta la tesi verte sull’enorme diffusione che ebbe, a partire dal XIII secolo, il racconto di origine orientale, non si sa fino a che punto leggendario, che descrive il grande Aristotele cavalcato dalla cortigiana (?) Fillide.  

 

Due pregevoli raffigurazioni di Fillide in groppa al vecchio filosofo Aristotele. L’attrazione sessuale cessa solo nella tomba

Il racconto, materializzato in formelle, capitelli, bassorilievi, sculture e incisioni in un elevato numero di chiese e cattedrali in tutta l’Europa cristiana, assume una particolare rilevanza in un periodo come l’attuale, di enormi progressi dell’emancipazione femminile, esaltata dai media, che, per corroborarla, enfatizzano la persistenza dei casi di violenza sulle donne fino al femminicidio, visti come altrettanti ferimenti e morti su un campo di battaglia culturale teso verso il traguardo di un matriarcato occidentale, in contrapposizione all’arretratezza su questo versante del mondo islamico. Massimo rilievo alle nuove martiri, per confinare l’uomo, tutti gli uomini, nel recinto dei potenziali reprobi.

Lo scritto si focalizza sulla diversa, anzi contrapposta, lettura che dell’episodio danno i padri predicatori e i cantori dell’amor cortese. Sarà bene riportare ora l’episodio nella sua versione più diffusa e verosimile.

Alessandro, con Aristotele al seguito, ha appena conquistato un impero, fino all’India. E qui si innamora di una bellissima ragazza locale, Fillide (la cui identità oscilla tra la cortigiana e la ragazza di buona famiglia), rimandando il rientro per dedicare ogni sua attenzione soltanto a lei. Aristotele, anche dietro pressione dei generali, si sente in dovere di redarguire Alessandro. Saputo di questo rimbrotto e incollerita per l’intromissione di terzi, Fillide decide di vendicarsi a modo suo e avvisa Alessandro di godersi la scena dalla finestra della torre. Nel cortile sottostante Fillide passeggia davanti ad Aristotele intonando un canto soave e sfoggiando un abbigliamento e gesti tali da sopraffare ogni sua resistenza. Fattolo cadere nella sua rete, la ragazza, forte della sua avvenenza, lo umilia facendolo camminare carponi con lei in groppa, con grande spasso di Alessandro.

 

Abbagliato dal talento di questi moderni disegni a matita, pastello, punta di china e acrilico di Paolo Buzi, ne offro 4 varianti per condividere il godimento con chi mi legge 

Se i fatti furono questi, le lenti usate per giudicarli furono diametralmente opposte. 

La visione dei predicatori cristiani, eredi della visione biblica della donna tentatrice della virtù mascolina tanto quanto il serpente, biasima Fillide per aver sedotto il vecchio filosofo e averlo ridotto in una condizione simile a quella di una bestia. Questo giudizio è perfettamente in sintonia con la millenaria misoginia cristiana, che considera la femmina subordinata e inferiore al maschio. Il persistente celibato dei preti è del resto una forma di ripudio della donna e della congiunzione carnale, nemica della contemplazione e dei valori spirituali, se non per la sua stretta ed esclusiva attinenza alla procreazione, riducendo il piacere sessuale connesso al coito a un accidente disdicevole. È la sublimazione dell’uomo, per natura cedevole alla lussuria, nella figura monastica dell’asceta e del santo.

 

Le tentazioni di sant’Antonio Padre del Deserto. L’anacoreta, anche venerando, trovava negli impulsi sessuali l’istinto più arduo da tenere a bada. Dipinto di David Teniers il Giovane, Louvre 

L’immedesimazione della donna nel diavolo tentatore è evidente in tutte le raffigurazioni dei santi-modello della cristianità, in primis sant’Antonio Abate e gli altri padri del deserto, la cui maggiore sfida, più ancora della fame e della sete, è la vittoria sugli stimoli della carne, che li perseguitano tramite apparizioni oniriche di donne discinte e provocanti. La castità, come stile di vita duro, ma anticipatore del paradiso, è una delle virtù più ardue da raggiungere e, in quanto tale, la più glorificata dalla Chiesa, che vede nella castità maschile e nella verginità femminile la massima realizzazione di entrambi. In questa luce, Aristotele è la vittima di una seduzione irresistibile; e Fillide è la subdola corruttrice della sua virtù.

 

Al contrario, per i cavalieri –nella loro secolare contrapposizione al clero- Fillide è tanto innamorata quanto Alessandro, ed entrambi sono la dimostrazione dell’invincibile forza dell’Amore. E Alessandro si difende dalle obbiezioni iniziali del maestro dicendo che chi l’ha chiamato folle a causa del suo amore per Fillide è colui che non ha mai amato. Insomma, ci troviamo di fronte a due modi antitetici di guardare all’unione sessuale: cedimento al mero desiderio carnale, come accade negli animali, o atto d’amore che nobilita entrambi gli amanti.

Se veniamo ai giorni nostri, vediamo invece una Chiesa che rincorre la valutazione della donna in corso nel mondo laico al fine di colmare, almeno in parte, il plurisecolare gap dettato dalla sua ancestrale misoginia. In questo processo di avvicinamento al mondo fuori delle mura vaticane sta parallelamente sfumando il concetto stesso di peccato, sino ad anni recenti assimilato quasi esclusivamente al campo dei rapporti uomo/donna. Ormai l’unione carnale non è più giustificata soltanto dalle necessità procreative, con il piacere congiunto all’atto concesso come fosse un increscioso accessorio di cui vergognarsi; ma nel contempo, sul versante laico, il clima matriarcale strisciante sta trasformando l’arcaico peccato in colpa, proiettando lo stereotipo dell’uomo alla costante ricerca della “preda”, proprio come un animale, (quest’ultimo scaduto peraltro da cacciatore o preda a mera carne da macello). Oggi all’episodio in esame si darebbe una terza chiave di lettura (in stile Asia Argento): Fillide è da elogiare per aver umiliato Aristotele dopo averlo sedotto, infliggendogli la giusta punizione per aver ceduto alla concupiscenza.

 

 

L’immagine della donna è rimasta quella della succube delle insane voglie maschili: lei non è mai intesa come soggetto, ma sempre e soltanto come oggetto della concupiscenza di torme di uomini arrapati. Questa è la visione che emerge nel tam-tam dei media, che assecondano l’onda della scalata femminile al potere su quelle che saranno le ceneri del potere maschile, nonché nelle dilaganti cause per molestie nelle asettiche aule dei tribunali. Si è passati, disinvoltamente quanto velocemente, dalla figura della Fillide subdola lusingatrice della debolezza della carne anche di un vecchio saggio (che rimane schiavo dei sensi fino alla tomba), a quella della romantica damigella minacciata dalle basse profferte maschili. Se colpa ha da essere, vivaddio, che sia almeno concorso di colpa. La donna sembra non essere mai consenziente, soltanto oggetto passivo della libido maschile.

 

 Questo stato di cose accresce l’insicurezza dell’uomo, fino a paralizzarlo. Il che si traduce nella ricerca di strade diverse per sopperire a questa cattiva accoglienza. Di conserva, salgono i casi di impotenza e di pratiche solitarie, cui Internet offre un ampio ventaglio sin dalla più giovane età. E in altri casi, l’uomo cerca il conforto negato da una compagna in un compagno: un tempo condannato come peccato e oggi addirittura osannato nel vari gay pride. Non essendo più neanche una colpa (tranne in alcuni Paesi, dall’URSS al modo arabo), si corrono meno rischi in un rapporto omosessuale che nei tentativi di imbastire un rapporto ortodosso uomo/donna, all’ombra di possibili ricatti e denunce, specie se lui è magari danaroso e attempato, beccandosi la qualifica di orco (che Berlusconi subì per decenni). E l’ingresso delle donne nella magistratura non ha fatto che acuire questo sbilanciamento di giudizi, essendo quasi inevitabile che una donna-giudice riesca a non considerarsi di parte.

Il diavolo (nel colpo di vento) e l’acqua santa. Quant’è dura la castità!

Da sottolineare inoltre il maschilismo di molte ragazze “avanzate”, nel senso che ambiscono ad un rovesciamento di ruoli, diventando come uomini, anziché valorizzare le doti tradizionali della donna. Un maschilismo opportunamente occultato quando si tratta di precedenze o attenzioni da usare verso il “gentil sesso”, nei quali casi la parità “non sta bene”.

Mi rendo conto che questo articolo, in quanto controcorrente al pensiero unico su questi temi, non incontrerà il favore di molti lettori, in particolare lettrici; ma per fortuna c’è ancora libertà di espressione; e me ne avvalgo, nella speranza che non venga mai meno.

  

 Marco Giacinto Pellifroni         11 luglio 2021 

 

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