Dal maschio padrone al maschio perbene

Incrostazioni barbariche e religiose nella culla dell’occidente

“Beverei prima il veleno che un bicchier che fosse pieno dell’amaro e rio caffè”, scriveva il Redi nel trionfo di Bacco e Arianna. E veramente amaro e rio mi appare quasi sempre il caffè che quotidianamente Gramellini fa sorseggiare ai lettori del Corriere. Ma quello di sabato scorso mi è rimasto particolarmente indigesto: pretende infatti di far passare per modello di comportamento un signore, fittiziamente indicato con la sigla M.P., di cui riassumo  la vicenda. L’uomo, sposato e con un figlio, rientrando a casa trova la moglie sconvolta che gli confessa di essere nei guai. Aspetto un bambino, gli dice, ma non è tuo. L’ho avuto da un adolescente, che ovviamente non ne vuol sapere e per di più ho subito una denuncia che si è risolta nella condanna a una pena detentiva. L’uomo supera rapidamente lo sgomento iniziale, rassicura la donna, si prenderà cura del nascituro con tutto l’amore di un padre per il tempo che lei sarà dietro le sbarre dopodiché  vivranno tutti felici e contenti. Cosa racconteranno al figlio della coppia non ci viene detto. Questa esulta Gramellini, dopo tante storie di uomini possessivi, violenti, narcisisti è davvero una bella storia, una storia edificante  e M. P. sta evidentemente per Maschio Perbene.

Il mercato degli schiavi, di Gustave Boulanger (Wikipedia)

Parto da una premessa: nessuno appartiene a nessun altro, nemmeno se si sottomette volontariamente,  e anche chi in certe culture e in certi periodi storici è socialmente o giuridicamente un servo o uno schiavo sub specie humanitatisrimane libero nello spirito e nella persona. Su questo punto, spero, non ci dovrebbero essere obbiezioni. Certi storici che probabilmente non hanno mai letto un libro insistono su una presunta economia schiavistica nell’antica Roma. La verità è che il “servus”, frutto di una società militare al quale si aggiunse già in età arcaica il risarcimento per insolvenza attraverso la cessione della propria forza-lavoro, creava un grande imbarazzo all’interno di una cultura che aveva maturato il concetto dell’uguale dignità di tutti gli uomini (dove uomo sta per maschio e femmina), Un imbarazzo che si traduceva nella pratica diffusa dell’affrancamento dei servi e nella repentina ascesa sociale dei servi liberati. Ne è una  ulteriore dimostrazione l’assenza di manifestazioni di ossequio, di riverenza, di sudditanza.  Ai tempi di Cicerone o di  Seneca sarebbe stato inconcepibile che ci si dovesse sdraiare davanti al principe: un’eredità delle culture orientali alle quali la rivoluzione cristiana aprirà le porte.

Corollario di questa premessa è l’assurdità – e la barbarie – del concetto stesso di adulterio.  Per natura chiunque, uomo o donna, quale che sia il suo status sociale, è libero di fare quel che vuole se non nuoce agli altri e di fare col suo corpo e del suo corpo quel che gli piace fare. Tanto per ricordare che livelli può raggiungere ed ha effettivamente raggiunto la stupidità umana, soprattutto quando è ispirata dalla religione – e/o dalla scienza -,  ancora nell’Europa del ventesimo secolo, trecento anni dopo l’avvento dell’età dei lumi,  i preti terrorizzavano gli adolescenti con le pene dell’inferno se si fossero masturbati  e i medici, dal canto loro, rincaravano la dose  con la pazzia alla quale sarebbero andati incontro. Un’eredità anche questa del mondo semitico-cristiano, che però gli ebrei avevano messo in soffitta al contrario dei cristiani che col passare dei secoli l’hanno progressivamente esasperata con la loro idea balorda della purezza, un concetto che andrebbe riservato all’acqua. E non l’adulterio in astratto ma la donna adultera  diventa uno scandalo  che l’evangelico “chi non ha peccato scagli la prima pietra”  non è servito ad attenuare. E se i cugini dell’Islam hanno continuato a lapidarla,  nell’Europa moderna la morale borghese ha fatto sua quella cristiana e ha trasformato il peccato in reato, facendo rimpiangere anche sotto questo riguardo la Roma imperiale liberata dal moralismo augusteo, dove la matrona viveva con assoluta disinvoltura la sua sessualità con piena libertà di passare da un divorzio all’altro. Ma questa, si dirà,è corruzione. No, è libertà, semplicemente libertà.

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Che poi i rapporti di coppia siano di norma esclusivi questo è nell’ordine naturale delle cose ma non è un imperativo morale né può essere un obbligo giuridico. La fedeltà non è un pegno da pagare e non deve diventare un impegno ma è la naturale, spontanea, libera conseguenza dell’amore e del rispetto reciproco. Ogni uomo e ogni donna devono sapere che il fatto di essere stati attratti l’uno dall’altra  non comporta alcun obbligo futuro; può capitare  che quella attrazione si trasformi in un legame più forte e più duraturo: qualche volta amore ma anche bisogno di sicurezza, voglia di avere una famiglia, calcolo economico; sono scelte e responsabilità squisitamente private, fatti salvi gli impegni di natura economica. Ma in ogni caso l’idea che si acquisiscano diritti sul corpo dell’altro, che purtroppo sopravvive anche in occidente, è una barbarie, un esempio clamoroso della eterocronia nello sviluppo della civiltà, che non consiste nel “progresso” ma  nella liberazione della persona.

Detto questo è del tutto evidente che il diritto di disporre del proprio corpo – e della propria affettività – espone ogni membro di una coppia  a quello che viene  percepito come un “tradimento”, che è senza dubbio una ferita narcisistica. Spesso entra in gioco la patologia della coppia, un sistema che paradossalmente  si regge proprio sulla possibilità che le tensioni  interne o le frustrazioni di uno dei membri   si  scarichino all’esterno.  Ma se l’uomo o la donna scoprono la presenza di un altro o di un’altra partner, occasionale o stabile, in quella che presumevano essere la loro area affettiva esclusiva non resta loro che prenderne atto e valutarne  insieme o singolarmente la compatibilità col funzionamento del sistema.  E se ogni scelta è degna di rispetto non è però tollerabile la reazione esplosiva,  che denuncia la pretesa di dominio sull’altro anche nella forma di una relazione d’appoggio. Lo dico brutalmente: ci possono essere avvisaglie che qualcosa non funziona nel rapporto, ci possono essere sospetti di “infedeltà”, metto le virgolette perché il concetto è in sé assurdo, ma la gelosia è una malattia che fa male a sé e all’altro, sconfina in una sindrome paranoide e una seria educazione sessuale dovrebbe  insegnare a stare alla larga da individui gelosi o possessivi. Di nuovo ci si trova a fare i conti con la base barbarica della nostra cultura, che permea gli atteggiamenti, il costume e persino l’impianto giuridico. La parità di genere è riconosciuta da  tutti, almeno in occidente, ma poi, soprattutto nella valutazione dei comportamenti,  fa capolino l’ancestrale dominio del maschio.

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I due componenti della coppia condividono in pratica gli stessi ruoli: entrambi partecipano alla conduzione della casa, entrambi si occupano dei figli e entrambi lavorano fuori casa e fuori casa hanno relazioni sociali: entrambi, quindi, sono potenzialmente esposti all’attenzione da parte di individui del sesso opposto ma mentre la donna è tenuta a chiudersi dentro un virtuale burka quanti uomini sfuggirebbero con pudica ritrosia alle avances di una donna avvenente. Le considererebbero un dono piovuto dal cielo e la maggioranza di loro giudicherebbe folle o poco virile chi si lasciasse scappare l’occasione. Ho in mente il caso di persone, maschi e femmine, che non vanno attivamente in cerca di un partner alternativo  ma si trovano esposti per mestiere a tentativi di seduzione. Gli uni e le altre possono esserne infastiditi o lusingati, possono resistere o cedere alla tentazione ma millenni di educazione barbarica assolvono il maschio e condannano la femmina. Tuttavia, nonostante il persistere di pregiudizi  popolari imbellettati e razionalizzati  dalla psicoanalisi, nella gestione del proprio corpo e della propria sessualità maschio e femmina sono per natura identici e a mano a mano che i controlli esteriori, le regole sociali e i diversi modi in cui si esprime  una morale eteronoma vengono meno questa identità fa sentire tutti i suoi effetti, la natura prende il sopravvento sulla cultura. Insomma fondati motivi estrinseci per rispettare la monogamia non ce ne sono, imperativi interiori nemmeno quindi il sistema-coppia risulta terribilmente permeabile.

da Donna moderna

Con ciò dovrei concludere con il riconoscimento della normalità – in senso etico – della coppia aperta? Nemmeno per sogno, dopo aver dato per scontato che ognuno è libero di fare quello che vuole, devo ribadire che la coppia stabile è non solo la normalità statistica ma una tendenza naturale e una convenienza personale e sociale. Voglio solo rimarcare che la coppia  non è una scatola sigillata ma chi c’è dentro deve essere e sentirsi libero di uscirne in qualunque momento, che  la monogamia non è una condizione apriori né può essere imposta da alcun tipo di autorità esterna, fisica o morale che sia, e che la fedeltà – come la fede – a differenza di quello che si continua a far credere non è  un valore. Se lo fosse si dovrebbe concludere che la donna sposata che si innamora è una peccatrice o una prostituta, giudizi che per l’appunto ci riportano alla subordinazione della donna, all’esclusiva maritale sul suo corpo e alla doppia morale rispetto al maschio.

Ma non voglio essere equivocato: l’innamoramento presuppone una disponibilità che origina da un vuoto sentimentale e comunicativo all’interno della coppia. Quando questa si è formata per il convergere simmetrico di due individualità che si attraggono reciprocamente di norma la disponibilità erotica si esaurisce all’interno senza il ricorso a patti, impegni o giuramenti. L’amore non è una luce intermittente che si accende e si smorza per poi accendersi di nuovo con un altro incontro. Quelle sono scariche emotive che contrassegnano una affettività ancora immatura. Per evitare il trauma – non solo emotivo – della rottura o di quello che è vissuto come un “tradimento” non vedo altra strada che un’educazione del carattere  al rispetto della propria e dell’altrui persona, a considerare il rapporto con l’altro come un libero scambio e a non ritenere niente come acquisito una volta per tutte. Col monito costante che per quanto forti ci appaiano i vincoli – ricordi, esperienze comuni, beni o figli che siano- ognuno rimane libero e deve essere considerato libero. Se le consuetudini o le leggi urtano contro questa evidenza è per il  fondamento barbarico della nostra cultura, un fondamento di cui ci dobbiamo liberare se non altro di fronte allo spettacolo dei guasti che ha provocato e provoca in culture storicamente e fisicamente vicine alla nostra come quella islamica.

Tornando quindi al caffè di Gramellini e alla sua pretesa di far passare per modello il signore che si trova la moglie pedofila e magnanimamente  intende continuare con lei la vita di coppia integrandovi il figlio che porta in dono, ribadisco che ognuno è libero di compiere le scelte che ritiene per sé più convenienti  e lo è anche M.P. ma questo non significa che vada preso per esempio di fronte a chi nei suoi panni prenderebbe atto – senza ira, senza sentirsi tradito ma con la consapevolezza di essere lui ad aver preso un abbaglio – che il suo matrimonio è fallito o, più semplicemente, che non ha mai avuto senso.

Pierfranco Lisorini

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