Dal dissidio col corpo alla disforia di genere

quando si rompe l’equilibrio fra natura e cultura

Il Satyricon di Petronio e le (dis)avventure di Encolpio a Crotone https://www.gruppoarcheologicokr.it

Quando Encolpio  si trova davanti la giovane che si è invaghita di lui rimane abbagliato dalla sua ineffabile bellezza e tutte le sue membra prendono fuoco al solo pensiero di sfiorarla. Che cosa lo ha colpito? i lunghi capelli  ondulati che ricadono sulle spalle, la fronte piccola, le sopracciglia ben disegnate, gli occhi chiari, le narici appena ricurve  e la boccuccia uguale a quella delle statue di Prassitele. A seguire mento, collo, mani e candore dei piedi.  Ma ciò che lo ha fatto smarrire  sono il sorriso e l’armonia seduttrice  della voce.  In questa descrizione apparentemente fisica a ben vedere manca proprio il corpo.  Non c’è alcun riferimento alla statura, alla stazza, ai colori e soprattutto manca qualunque accenno alle zone in cui si concentra la femminilità: le labbra, il seno, i fianchi, le cosce. Eppure non siamo nel dolce stil nuovo e l’amore di Encolpio non è etereo e disincarnato. La donna non è messaggera di Dio ma di Venere, promessa di reciproco piacere. Ma, a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare, l’occhio non corre dalle labbra al seno ai glutei: la materialità del corpo è corretta dall’insistenza sullo sguardo e dall’avvolgente sonorità della voce.

Gaio Petronio https://www.romanoimpero.com

Nel racconto di Petronio l’amplesso non finisce bene perché la fiamma del desiderio di  Encolpio non regge al contatto fisico e si spenge.  La povera Circe – questo è il nomen-omen della donna – frustrata e resa insicura, prima accusa se stessa: forse ho l’alito cattivo per il digiuno, forse le mie ascelle emettono un odore fetido di sudore, poi se la prende con Eumolpo che sul più bello non se l’è sentita di tradire il suo giovane amante e l’ha colpevolmente illusa..

La vicenda è ambientata a Crotone, in quel mezzogiorno d’Italia dove la romanità si intrecciava con la cultura greca e la rusticità del  mos maiorum cedeva ai costumi disinibiti delle antiche colonie elleniche.  Si avverte una impressionante naturalezza nei rapporti interpersonali, assoluta  parità fra maschi e femmine, totale  libertà nelle scelte sessuali e sovrapposizione fra erotismo omo ed eterosessuale: l’amore a prima vista, la passione, la gelosia e un oscillare fra rude materialità e aggraziata leggerezza. Si respira un’aria di assoluta libertà, non teorizzata ma vissuta, in cui il candore scivola nell’oscenità e l’osceno mostra il suo volto ingenuo. Un gioco, ma un gioco serio in cui il corpo, quello maschile e quello femminile, non viene esaltato fino al punto di uccidere lo spirito: al contrario, come nella statuaria, nelle forme contenute della virilità e delle femminilità la nudità sublima la suggestione erotica e la risolve in pura razionalità.

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Colpisce l’accettazione del proprio corpo e la piena libertà nelle scelte sessuali, sullo sfondo del riconoscimento della “normalità” richiesta dalla specie e implicitamente riconosciuta nel costume. Questo tratto distintivo della cultura greca corrisponde ad un atteggiamento comune a tutto il mondo antico. A questo proposito ricordo che la severità di costumi della Roma repubblicana riguarda essenzialmente l’onestà personale, il senso del dovere, la salvaguardia del pubblico bene, non entra nella sfera squisitamente privata dei sentimenti e delle pulsioni erotiche. La stessa rigida legislazione augustea mirava alla solidità sociale e alla salvaguardia dei patrimoni familiari: il dilagare dei divorzi e degli adulteri rappresentava una minaccia per la tenuta delle istituzioni. In Giovenale come negli altri scrittori che rimpiangono il mos maiorum non c’è traccia di sessuofobia  – così come in tutta la letteratura antica si cercherebbe invano un compiaciuto erotismo – ma l’esigenza di un ritorno alla responsabilità sociale: non si fustigano l’amore né la ricerca del piacere ma la fuga dai propri doveri, come fa la matrona che abbandona la casa e i figli per un gladiatore.    Accettazione del proprio corpo che è anche una versione pratica e popolare di una convinzione filosofica: il sinolo, il tutt’uno di materia e forma che si esprime nel corpo vivente, nel calore, nel movimento, nell’arte e nel pensiero che si fa azione, negli stessi valori che da parole e concetti astratti diventano stili di vita. E anche in quelle dottrine di esasperato spiritualismo di ispirazione pitagorica o platonica che consideravano la corporeità il carcere da cui l’anima tende a liberarsi non c’è dissidio col proprio corpo come immagine di sé ma come peso che la sua materialità comporta, un peso che ci tarpa le ali e ci preclude il mondo ideale. Giusto il contrario di chi è scontento del proprio corpo perché ne vorrebbe uno diverso.

Quando lo spostamento del baricentro dall’interiorità dell’Io alla esteriorità fisica avviene in una dimensione sociale gli effetti possono rimanere entro i limiti fisiologici dell’igiene e della cura del corpo, con tutto il seguito di accorgimenti per renderlo più aderente ai gusti del momento, dalle acconciature al’abbigliamento,  ma può anche presentarsi come canone fisico a cui corrispondere e a cui ispirarsi. Più solido è l’impianto sociale, maggiore è il numero di individui maturi e sicuri di sé,  più ampio è il ventaglio delle interpretazioni di quel canone, più spazio è riservato al gusto e alla libertà individuali. In una società come la nostra fortemente massificata, caratterizzata  dal rifiuto della tradizione, dall’ansia di novità, dal primato dell’effimero la convergenza sul modello diventa ossessiva. Poco male finché porta ad omologarsi sulla barbetta apparentemente incolta, sul braccio tatuato o i jeans strappati. I guai incominciano quando  non bastano più orecchini, campanelli al naso o messaggi sulla pelle ma si vogliono labbra carnose, zigomi alti, un seno prorompente e, come impone la moda nell’ultimo decennio, un sedere da venere steatopigia. Tutto favorito dal dilagare della chirurgia plastica diventata chirurgia estetica, grazie alla quale si fa strada l’idea che il corpo  non solo deve essere curato ma può essere trasformato.

4L’enfasi sul corpo, che è poi dominio del corpo, è un lascito del medioevo cristiano, quando il senso e il fine dell’esistenza erano collocati oltre l’esistenza, in un mondo di puri spiriti non contaminato dalla corporeità. Il corpo andava controllato, punito, assoggettato perché sentina di tutti i vizi e veicolo di Satana. Non sorprende che l’ossessione del peccato abbia sortito l’effetto indesiderato della enfatizzazione del corpo, del primato dei bisogni primari, della carnalità esasperata, di un erotismo traboccante. L’ipocrisia e il bigottismo della morale borghese  porteranno ad un ridimensionamento di questo materialismo reattivo ma il dualismo anima-corpo rimane  così come rimane la riduzione della persona alla sua immagine corporea. L’economia capitalistica ha fatto il  resto  imponendo standard  funzionali alla produzione, al consumo e al profitto nella moda, nella cosmesi, nell’alimentazione. Fra le conseguenze di questo nuovo materialismo , oltre alla mercificazione del corpo e al suo impiego come strumento per il successo sociale – un nuovo tipo di prostituzione – c’è il conflitto col proprio corpo, che invecchia e che non risponde ai canoni veicolati dalla pubblicità; un conflitto che espone tanti – soprattutto giovani donne – al rischio di compromettere la naturalezza e il piacere conviviale dell’alimentazione e di finire nel vortice di anoressia e bulimia.

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Il gruppo dei pari, l’ampliamento delle relazioni sociali grazie alla  scolarizzazione, i nuovi orizzonti della socialità virtuale esasperano i passaggi critici della preadolescenza e dell’adolescenza. E non è solo la sofferenza per un corpo che non ci piace o che si teme che non piaccia ma è anche il sesso che ci è toccato in sorte  che non corrisponde alle proprie pulsioni e a ciò che si percepisce di essere. La chiamano disforia di genere, come se fosse una malattia da curare e guarire. In realtà è una conseguenza di quella frattura interiore per cui non si è più il proprio corpo, non lo si avverte più come l’aspetto visibile del proprio Io ma è  il totem del corpo, il corpo socialmente imposto. L’adolescente, o il bambino, e la bambina,  che attraversano il complicato percorso di identificazione del genere veicolato dai rapporti altrettanto complicati con il padre e la madre sono attratti dal modello maschile o da quello femminile in sintonia o in contrasto col proprio sesso anatomico. Niente di più naturale: maschio e femmina sono due condizioni ben definite ma convivono entrambe  in ogni individuo e non sempre il sesso anatomico corrisponde a quello psicologico. E anche questo è assolutamente normale. Nel passaggio all’età adulta le pulsioni erotiche si incanalano  in una o un’altra direzione, seguendo le spinte ormonali, l’imposizione del sesso psicologico e i facilitatori culturali.

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Encolpio non ha dubbi sul suo ruolo maschile ed è anzi fiero della sua potenza virile ma il suo grande amore è un ragazzo benché non disdegni le grazie femminili. Il suo ragazzo, Gitone, è psicologicamente una femmina e considera naturale il suo ruolo femminile nella relazione con Eumolpo ma se capita è ben disposto ad un rapporto eterosessuale. Entrambi, Encolpio  e Gitone, pure nella oscillazione delle loro scelte sessuali e sentimentali, sono in accordo col proprio corpo e col proprio sesso anatomico. Una lezione che la mala educacin di questi tempi corrotti ha dimenticato portando all’abominio del cambio (apparente) di sesso per via chirurgica o, peggio ancora, del blocco dello sviluppo puberale. E, come al solito, dietro l’abominio c’è il denaro, il potere, il narcisismo di pochi e la supina indifferenza di molti. Quello che più mi ripugna, anche come psicologo, è la posizione vergognosa di psicologi,  psicoterapeuti e psichiatri e, ovviamente, dei medici. Noi siamo il nostro corpo e con quello bisogna non solo conviverci ma accettarlo ed amarlo; poi libero chiunque di seguire le proprie inclinazioni senza nuocere agli altri. Ai quali non spetta giudicare  e emettere sentenze; ma attenzione a chi ne trae spunto per attaccare la libertà di espressione e creare nuovi vincoli in una società di sonnambuli inebetiti.

p.s.

Sulle iniziative parlamentari di Gasparri  parola non vi appulcro: il coraggio uno ce l’ha o non ce l’ha. Se intendeva bloccare i trattamenti praticati su minori a Careggi doveva essere più esplicito e non ricorrere al sotterfugio della carenza di un supporto psicologico.

Pierfranco Lisorini

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