Con quale diritto?

“E’ l’unico governo democraticamente eletto del Medio Oriente!”.

E con questo chiudono ogni questione sulla legittimità di come Israele conduce lo scontro con i Palestinesi.

Ora, è vero che il governo israeliano è stato democraticamente eletto, ma ciò non significa affatto, quando il termine richiamasse i concetti di libertà, giustizia, equità, pari opportunità, che democraticamente agisca.

Prendiamo, ad esempio, gli USA, e giusto perché storicamente sono stati la prima democrazia moderna a livello mondiale, e quindi assumono meglio il ruolo di termine di paragone, più di altri paesi che comunque non possono certo vantarsi di essere migliori. Dobbiamo constatare che sganciare una bomba atomica su Hiroshima e ( ancora più colpevolmente ) una seconda su Nagasaki, a distanza di soli tre giorni, quando ormai il messaggio all’Unione Sovietica per limitarne le pretese ideologiche e geopolitiche con la prima bomba era già stato abbondantemente…irradiato, oppure orchestrare e foraggiare il golpe di Pinochet in Cile contro il governo ( a proposito, democratico ) di Salvador Allende, oppure aver costruito e fornito prove false sul possesso di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein per avere il pretesto di invadere l’Iraq, non è esattamente esercitare la democrazia.

Detto questo è facile ( le tante Risoluzioni delle Nazioni Unite di  cui non ha mai tenuto minimamente conto lo dimostrano), ricavarne che Israele spesso è tutt’altro che democratico. Dopo il 7 ottobre e il massacro perpetrato da Hamas, davvero possiamo credere che il comportamento più valido ( sia dal punto di vista strategico che morale ) per trovare armi nascoste nei cunicoli, eliminare gli affiliati di Hamas e liberare gli ostaggi, corrisponda a quello scelto da Netanyahu e dal suo governo? O, dato il procedere indiscriminato dei bombardamenti su scuole, strade, moschee, ospedali, chiese e su interi quartieri con  la giustificazione che sotto di essi ci potrebbero essere dei cunicoli con la presenza di militanti di Hamas, o magari il suo quartier generale ( nonostante il tentativo di affermare il contrario, le immagini e i fatti parlano, e le ultime dichiarazioni di colui che pure è il suo più fidato alleato, il Presidente americano Biden, pure ) siano accettabili? 

Affamare, privare dell’energia elettrica ( non si pensi solo all’oscurità che ne è la conseguenza tutto sommato meno grave, ma alla impossibilità, per esempio, di tentare di comunicare con chi non si sa se è vivo o morto attraverso internet, o di pompare acqua fino agli ultimi piani degli edifici ), e soprattutto assetare un popolo di 2 milioni e 300.000 persone che non possono fuggire perché bombardate da tutte le parti e fatte spostare da nord a sud, e poi da sud a nord passando per una zona mediana alla fin fine non più sicura delle altre, con qualche ora di preavviso affinchè lascino le loro case e portino con sé  le loro cose e le loro famiglie, compresi i vecchi e i malati, è accettabile?

Colpire la Croce Rossa perché invece di feriti ( a proposito, fin’ora sono circa 60.000 ) potrebbe trasportare terroristi, colpire i rappresentanti di Amnesty International e Medici senza Frontiere, che non sono né un’emanazione di Israele né di Hamas, è accettabile?

E’ accettabile che Save the Children il 13 dicembre “con profonda tristezza” abbia dovuto confermare che il giorno prima “un membro del suo staff e la sua famiglia [moglie e quattro figli] siano stati uccisi da un attacco aereo israeliano a Gaza”?

Riguardo nello specifico Medici senza Frontiere, che dire della loro testimonianza secondo cui la maggior parte del tempo la dedicano ad amputare arti, e a farlo senza anestesia e servendosi per antisettico dell’aceto?

18.700 morti, di cui 8000 bambini, sono accettabili? Non viene il sospetto che distruggere il 60% delle case non sia proprio la maniera più utile per scovare il nemico? Quando bombardo una casa, come posso sapere se sotto il cumulo di macerie in cui la trasformo sono morti i terroristi o anche qualcun altro o solo qualcun altro, e quanti vivi ci siano ancora che moriranno perché le mani dei sopravvissuti sono troppo poche e troppo stanche per salvarli? Non viene insomma il sospetto che si stia nascondendo dietro l’esigenza di fare giustizia per la strage subìta, il piano di rendere invivibile ai gazawi  il territorio della Striscia così da sostituirli con i coloni, come del resto sta avvenendo da anni in Cisgiordania?

Se questa operazione militare, “Spade di ferro” , che anche nel nome non smentisce lo spirito marziale della precedente “Piombo fuso”, continuerà fino a che, come il governo israeliano assicura, non sarà catturato o ucciso l’ultimo terrorista ( cioè virtualmente ad infinitum e ad libitum, in quanto si può sempre sostenere che qualche terrorista ancora si nasconde da qualche parte), e quindi Tsahal si insedierà nella Striscia, che cosa bisognerà dire?

Secondo la Loewenthal, la Neumann Dayan, la Nirenstein o Ugo Volli, per citare alcuni nomi di opinionisti difensori a spada ( di ferro? ) tratta di Israele, è assurdo nonché ìndice di antisemitismo dire che per i palestinesi chiusi nella Striscia ( poiché la loro autonomia è limitata dal controllo militare israeliano sia per terra che per mare) e semichiusi nella Cisgiordania, si tratti di apartheid, o di pogrom, o di pulizia etnica o di razzismo, o di diaspora forzata. Va bene. Ma solo a patto di chiarire come bisogna chiamarla una situazione in cui un popolo viene ridotto allo stremo e non ha da che parte voltarsi né di che sostentarsi perché glielo si impedisce.

Una situazione gravissima adesso, ma già molto pesante prima del 7 ottobre. Infatti, tanto per esemplificare, già prima di questa data l’autorità israeliana concedeva il porto d’armi a più del 99% dei richiedenti israeliani, e lo negava a più del 99% dei richiedenti palestinesi; altrettanto accadeva per le richieste edilizie, per cui il territorio assegnato a suo tempo dalle Nazioni Unite ai palestinesi si è più che dimezzato e, fattore tutt’altro che secondario, frammentato artatamente a macchia di leopardo, cioè in una conformazione difficilissima da gestire con criteri e strutture che permettano una reale autonomia di tipo statuale. Una situazione in cui la legislazione prevede istituzionalmente due pesi e due misure, sicché, tra le altre cose, a differenza degli israeliani, i palestinesi, se arrestati, non hanno diritto di conoscere il motivo dell’arresto, quanto saranno trattenuti in “detenzione amministrativa” ( rinnovabile ogni sei mesi ), e nemmeno di incontrare un avvocato. Quale, dunque, la parola che si può usare? Forse “discriminazione”? A sentire un colono intervistato da “La Stampa” dell’11 dicembre 2023 , assolutamente no. Inevitabile allora restare senza parole, e lasciar parlare l’intervistatore e l’intervistato:

Giornalista: “Lei si definisce un colono, giusto?”

Yonatan Shay: “Secondo la mia educazione ebraica ogni israeliano è un colono perché essere coloni è un imperativo per rispondere alla volontà di Dio” e “ è importante colonizzare questa terra e fare sì che sempre più ebrei occupino questa zona, per la nostra sicurezza e per il futuro, perché fa parte del nostro rapporto con Dio”

Giornalista: “Perché la definisce <cosiddetta> [occupazione]? E’ un’occupazione di fatto”.

Yonatan Shay: “Non lo è. [ … ]. Non si può occupare qualcosa che è già tuo da 3.000 anni”

Cerchiamo allora ragione di ciò, e troviamo però che quando gli israeliti si affacciarono dopo un lungo peregrinare per il deserto sulla Terra Promessa, questa non era disabitata, e la dovettero portar via con la forza a chi già c’era prima di loro:

“Allora il popolo [ di Israele ] lanciò il grido di guerra e si suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città [di Gerico] crollarono; il popolo allora salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città. Votarono poi allo sterminio, passando a fil di spada, ogni essere che era nella città, dall’uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e perfino il bue, l’ariete e l’asino.”  

Dalla Bibbia: Giosuè 6, 20-21

Fulvio Baldoino

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