Commento al 16° Mottetto [da “Le Occasioni”] di Eugenio Montale
Il fiore che ripete
dall’orlo del burrato
non scordarti di me,
non ha tinte più liete né più chiare
dello spazio gettato tra me e te.
Un cigolìo si sferra, ci discosta,
l’azzurro pervicace non ricompare.
Nell’afa quasi visibile mi riporta all’opposta
tappa, già buia, la funicolare.
Personificazione bivalente quella dell’incipit. Può valere per lei o per lui o per entrambi.
Il fiore è sul bordo del burrato (espressione dantesca per dirci che è in bilico sull’inferno sottostante, e assai più a rischio di cadervi di quanto non furono Dante e Virgilio di volare senza Gerione in Malebolge, visto che accortamente
[Virgilio] si volse inver ‘lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la [corda] gittò giuso in quell’alto burrato.
Questo se lo si collega al ripetere “non scordarti di me”.
Se invece lo si collega allo “spazio gettato tra me e te”, rappresenta la relazione sentimentale interrotta e lo sconvolgimento che ne è scaturito: sappiamo anche cosa sia per Montale la morte: lontananza, distacco, solitudine, impedimento a conoscere che ne sia dell’altro…
La struttura metrica della prima strofa presenta dei tratti quanto mai originali. Ne segnaliamo alcuni:
– Il primo verso è un settenario, la cui parola finale,”ripete”, rima con la parola “liete” la quale conclude il settenario incistato nell’endecasillabo del 4° verso.
– Nello stesso tempo “liete” fa da interfaccia per rimare con una rima ancora più nascosta, quella data da “e te” alla fine del 5° verso; infatti foneticamente (che è ciò che conta nella rima) “e te” si pronuncia senza soluzione di continuità, diventando “ete” e perciò va a rimare con “liete”.
– Il verso centrale della strofa è un senario e si trova incastonato tra due coppie di imparisillabi, e come parisillabo ha un più forte tono di ritmo e definitività, funzionali all’esigenza che la richiesta, insita nel nome stesso del fiore, venga esaudita.
Passando alla seconda strofa, la distanza è sonoramente proposta nell’immagine della funicolare che produce un cigolìo (termine onomatopeico a richiamare la “sofferenza” degli organi meccanici di un oggetto non sufficientemente lindo per non emettere rumori a seguito dall’attrito…).
Infatti “si sferra” significa “nasce dal ferro, e “ci discosta” è usato per trasmettere l’idea che lascia la donna da una parte e il poeta dall’altra, opposta, della funicolare.
Si compie insomma con questo cigolìo che si sferra, l’addio; uno dei tanti che caratterizzano come un leitmotiv i Mottetti. E’ un pianto, un lamento. E in questo frangente l’afa soffoca.
Con l’afa si pensa al clima degli “Ossi”, tipico delle ore più calde e soleggiate. Invece no. Qui è un’afa serale, e perciò anomala, ammorbante.
Anche per questa seconda strofa, le notazioni relative alla forma si rivelano funzionali alla comprensione del messaggio.
Vediamo infatti che il suo 2° verso, ” l’azzurro pervicace non ricompare”, richiamando con la rima il 4° della 1^ strofa, “non ha tinte più liete né più chiare”, va a spiegarne il senso.
A condizione però che prima venga fugato un dubbio sul ruolo da assegnare a “pervicace”.
Non se ne riesce a capire il senso fino a che la soluzione la si cerca nel concetto.
La si trova invece nella grammatica: basta provare ad intendere “pervicace” non come aggettivo, ma come avverbio.
Inteso come aggettivo ci direbbe di una scena che dapprima si svolge sullo sfondo dell’azzurro del cielo, in palese contrasto con il “clima” generale della lirica.
Inteso invece come avverbio, cambia tutto. “L’azzurro ostinato” perché resisterebbe imperterrito nel cielo, diventa “l’azzurro che ostinatamente continua a non mostrarsi”. Il significato è l’esatto contrario.
A questo punto si può tentare una essenziale parafrasi della lirica:
Il fiore che dall’orlo del burrone chiede insistentemente di non essere dimenticato, poiché è sporto sul precipizio è ancora più cupo della distanza già angosciante che si è frapposta tra noi due.
E quando un cigolìo è segno che la funicolare su cui mi trovo comincia a muoversi e ad allontanarmi da te anche fisicamente, l’azzurro insiste con pervicacia a negarsi.
Così, mentre la funicolare mi porta in basso alla stazione successiva, laddove ormai è già buio, l’aria si fa pesante e stento il respiro.
Vediamo altresì come il penultimo verso (16 sillabe!) con la prima parte della parola in clausola “OPPOsta” richiami, anche in virtù della vicinanza (trattandosi della parola successiva) “tAPPA”.
E’ nell’opposta tappa che l’io lirico troverà il buio.
Ma c’è di più: la opposta tappa è opposta non semplicemente perché è dall’altra parte, ma perché si oppone, osta, impedisce, vieta; è vista come nemica.
E’ il passo definitivo del distacco. E infatti “opposta” rima con “discosta”.
Il cigolìo che si produce con la partenza della funicolare “si sferra” dall’attrito del ferro (delle rotaie con le ruote) della funicolare.
E forse questo rumore è reso, tra i tanti verbi possibili (si leva, è prodotto, si sprigiona etc.) proprio con “sferra”, anche perché è come se un pugno sferrato nello stomaco cancellasse l’ultima flebile speranza che l’azzurro ricompaia.
Ora il poeta è persuaso che la preghiera del nontiscordardimé non verrà esaudita.
FULVIO BALDOINO
Due note in margine a questo nuovo impeccabile commento montaliano del prof. Baldoino: 1) forse non tutti sanno che il nome greco del “Non ti scordar di me”, dal suono così dolce, “Myosotis” , significa “orecchie di topo”; probabilmente per la forma arrotondata e la superficie vellutata delle sue foglie. Il nome “Non ti scordar di me” invece è nato da una leggenda: due giovani innamorati stavano raccogliendo questi fiori lungo le rive del Danubio, quando il ragazzo cadde nel fiume e, mentre veniva trascinato via dalla corrente, lanciò il mazzolino dei fiori all’amata gridando: “Non ti scordar di me”. Di qui il Myosotis è diventato simbolo di amore eterno. 2) “Non ti scordar di me” è anche il titolo di una tristissima e bellissima canzone del compositore napoletano Ernesto De Curtis (Napoli, 1875 – Napoli, 1937), interpretata magistralmente da Claudio Villa e poi anche da Luciano Pavarotti. Anche il fiore sull’ “orlo del burrato” di del sedicesimo Mottetto montaliano, ci parla di un amore finito, che vive tristemente solo nel ricordo che “non ha tinte più liete né più chiare / dello spazio gettato tra te e me”. Nella seconda strofa protagonista non è più il fiore dell’amore infelice e perduto ma la funicolare di Genova che da Principe porta a Castelletto e oltre, immortalata anche da Giorgio Caproni nelle sue “Stanze della funicolare”. Qui i suoni sono stridenti, la luce è avara, l'”opposta / tappa” è “già buia”. e “L’azzurro pervicace non ricompare”, cioè, come interpreta giustamente Baldoino, “l’azzurro insiste con pervicacia a non mostrarsi” lasciando il poeta al buio non solo dell’ultima tappa della funicolare ma della sua stessa anima privata della luce irradiata dalla donna-angelo Clizia. Più triste di così, vien fatto di pensare, non c’è che la morte.