Come il potere si legittima agli occhi del popolo

Come il potere si legittima agli occhi del popolo

Come il potere si legittima agli occhi del popolo

Nel 1° capitolo del libro La moneta copernicana,*  scritto a quattro mani con l’economista Nino Galloni, Marco Della Luna passa in rassegna gli espedienti escogitati dall’uomo nel corso dei millenni per giustificare il potere di una elite sul resto del popolo. Ne riporto qui la mia chiave di lettura.

Preoccupazione prioritaria di ogni forma di potere è quella di trovare una legittimazione che sia esterna ad esso, in quanto un’auto-legittimazione fondata solo sulla forza sarebbe, alla lunga, poco convincente, e quindi poco duratura. In altri termini, si tratta di fondare il proprio ascendente più sulla potestas che sulla potentia, più su un’indiscussa investitura esterna che su una usurpazione del potere mediante la mera forza bruta; basato insomma su un potere di diritto piuttosto che su un potere di fatto.

 

Gli sforzi per apparire ai sudditi come designati da un’autorità superiore riconosciuta da tutti hanno caratterizzato ogni ascesa al potere da quando l’uomo è passato dallo stato primitivo a forme più organizzate di società, regolate da un ordinamento giuridico.

Il primo espediente, cui ricorsero i primi re e faraoni, fu quello di attribuirsi una natura divina: in pratica si spacciavano per déi in terra, con ciò giustificando il loro diritto a legiferare e governare. In questa forma di governo arcaica re e dio venivano a coincidere.

Quando questa attribuzione cominciò ad impallidire, si finse di essere creature generate o chiamate da un’entità soprannaturale a governare con saggezza e giustizia il proprio popolo. Nasce così la figura dell’intermediario tra gli uomini e la divinità, in pratica la religione “di Stato”, dove una casta di sacerdoti avalla il potere del re o faraone, in un vincolo di comune interesse: l’uno giustifica l’altra, ed entrambi si reggono a vicenda.

Quando Roma passò dalla repubblica all’impero, i suoi reggenti tesero sempre più a spacciarsi per emanazione degli déi, di cui si proclamavano tramite con la plebe, quando addirittura non déi essi stessi.

Questa tendenza verso l’unificazione di Cesare e Dio in un’unica persona non resse, alla lunga, all’urto di un monoteismo ferreo quale fu l’ebraismo e la sua evoluzione nel cristianesimo (e nell’islamismo). Il meccanismo alla base del conferimento del diritto al regno terreno da parte di un’entità trascendente riprese vigore dopo la promozione del cristianesimo a religione ufficiale, con i papi eletti in conclave direttamente dallo Spirito Santo quali vicari di Dio.

E nel tempo la distinzione tra Cesare e Dio andò sempre più sfumando, possedendo i pontefici le vesti dell’uno e le chiavi verso il Regno dell’Altro.

Di più, dalla caduta dell’impero romano alla Riforma, il potere non si limitò al dominio dei corpi dei propri sudditi, ma si estese a quello delle loro anime. E certo non esiste sistema di controllo del comportamento delle masse più efficace di quello di far loro credere di poter disporre dei loro destini in un’altra vita, data comunque per certa. Si pretende così di prolungare il potere sugli individui per l’eternità!

L’avvento dei Lumi settecenteschi fece vacillare le precedenti granitiche certezze nell’autorità asseritamente proveniente dalle celesti sfere, col risultato di una graduale laicizzazione della legittimazione esterna del potere. I sovrani ottocenteschi erano tali “per grazia di Dio”, sì, ma anche “per volontà della nazione”: cominciavano le prime concessioni, naturalmente solo formali, al “popolo bue”, in una delle più subdole mistificazioni della storia umana. Si dava a credere che quella che un tempo era la “plebe” avesse assunto qualche importanza, pur continuando a privarla di ogni strumento per intervenire nelle decisioni prese dai governanti sopra la testa di tutti.

Nel Novecento, teatro di una tumultuosa secolarizzazione, apparve sempre meno credibile un’auctoritas conferita ai sovrani da Dio, e si decise allora di dare più spazio alla seconda parte del motto, e cioè alla “volontà della nazione”. Si sviluppò così un’illusoria forma di partecipazione: le democrazie occidentali, tanto osteggiate dai regimi “forti”, quali il fascismo e il nazismo, che non si dettero affatto la pena di mascherare la presa del potere con ipocrite legittimazioni esterne, insistendo di più su valori “interni”: un blando Dio formale quasi scalzato dalla decisa sottolineatura di “patria e famiglia”. La legittimazione esterna veniva semmai ricercata nelle tradizioni ancestrali, dagli antichi Romani cui si ispirava la propaganda fascista, ai Celti e Germani di ispirazione nazista.

La caduta di questi due regimi tolse i principali ostacoli al diffondersi del concetto di democrazia quale legittimazione dei nuovi governi in quanto espressioni della volontà popolare attraverso il voto. Persino oltrecortina l’oligarchia comunista legittimava il proprio dominio assoluto attribuendosi l’etichetta di “repubblica popolare”. Insomma, la democrazia era diventata la comoda giustificazione di governi scelti attraverso c. d. libere elezioni, ossia consultazioni popolari fatte in base a campagne pubblicitarie dai dubbi finanziamenti: nel senso che chi le pagava esigeva poi congrui ritorni.

Ma anche questa legittimazione subiva la veloce corrosione del tempo, a suon di corruzione dei partiti e dei loro rappresentanti, costituitisi in una casta auto-referenziale, sempre meno espressione di chi li aveva votati se non attraverso un clientelismo che per beneficiare alcuni penalizzava i più.

Oggi viviamo una generale, profonda delegittimazione della classe politica, sempre più distaccata da quel popolo che pure invoca per continuare a legittimarsi. La democrazia ha già consumato la sua breve stagione, per cedere il posto all’ultima legittimazione, cui tutti sembrano disposti a inchinarsi: i mercati.

Nell’ultimo biennio abbiamo assistito alla dipendenza, esasperata mediaticamente, di ogni decisione politica alle leggi di un mercato dai contorni confusi, lontani, impalpabili. Dietro i quali si muovono come ombre vari attori sino a poco prima sottaciuti: fondi d’investimento, fondi pensione, fondi speculativi, banche centrali, banche d’affari internazionali, agenzie di rating: una elite di persone senza volto che ha usurpato la scena politica senza apparire direttamente ma solo attraverso quotazioni di Borsa, spread, debiti pubblici, declassamenti di banche e addirittura di Stati.

Mario Draghi
Su questo terreno è apparso quasi normale in Italia che un governo, da anni aduso a strillare di essere espressione del popolo, pur con la contraddizione di avergli negato la scelta dei propri rappresentanti, passasse le consegne da un giorno all’altro ad un governo legittimato, non più dal suffragio popolare, bensì proprio “dai mercati”. 

Del resto, l’Unione Europea non è una federazione di Stati, ma solo un’espressione monetaria, con un parlamento eletto sì dai cittadini, ma inabilitato a promulgare leggi, quindi solo consultivo. In loro vece fluiscono direttive da un gruppo di commissari burocrati non eletti; come non eletti sono i membri della BCE che, pur privata, dirige la politica monetaria pubblica. Ciò che questi oligarchi sanciscono determina le varie “manovre” che i governi sono obbligati a varare: ecco la nuova legittimazione del potere attraverso ordinanze che portano sempre la stessa giustificazione: “lo vuole l’Europa”.

Via Dio, via i divini reggitori, via gli intermediari del paradiso, via la parvenza del popolo sovrano, oggi siamo alle dipendenze dei “mercati”. E chi comanda davvero sono i signori del denaro; affetti però, per la prima volta, da una vistosa mancanza: una legittimità esterna. Quella che i signori di ogni epoca si sono sempre preoccupati di inventare. Quella che il teorema di Gödel lato sensu indica come indispensabile, quando afferma che i sistemi logici (e matematici) non possono essere dimostrati come autoconsistenti dall’interno, ma solo mediante un osservatore esterno al sistema.** In difetto, non sono logici. Così come sono espressione di mera forza, ma non di diritto, coloro che oggi manovrano i popoli. Sistemi siffatti sono altamente instabili; o “volatili”, come si dice oggi in Borsa; o, come si dice in fisica, troppo lontani dall’equilibrio, che solo una legittimazione esterna e riconosciuta può conferire. 

 

* Nino Galloni – Marco Della Luna, La moneta copernicana, Nexus Ed. , 2008

** Enzo Tiezzi, Verso una fisica evolutiva, Donzelli Ed., 2006

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                        12 febbraio 2012

 

marcogiacinto@graffiti.net 

 

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