Alcune note su “Portami il girasole…” di Eugenio Montale

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi nel fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Forse di tutta la lirica, i versi (collegati tra loro da enjambement) di più difficile interpretazione sono quelli che recitano:”e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti / del cielo l’ansietà del suo volto giallino”. Cosa significano?
Il poeta si rivolge a un “tu” che risulta generico, ma un poco meno rispetto a tanti altri “tu” montaliani.
E’ una persona? E’ l’alter ego del poeta? E’ un’ Irma Brandais ante litteram? E’ la prosopopea del tempo che verrà? E’ la voce della speranza? E’ un Aladino amico? Uno spirito, se non un angelo, custode? Non lo sappiamo.
Sappiamo però che fa di questa poesia una delle poche di “Ossi di seppia” in cui le sbarre della prigione esistenziale anche se non cedono, qualcosa concedono: un misto tra colore, musica e persino danza (“si esauriscono i corpi nel fluire / di tinte: queste in musiche”).
E la cosa paradossale è che il “salvarsi” dei corpi è dato dal loro dissolversi.
Le “cose oscure” richiamano il tema della gnosi, di concetti criptici e profondi.
Ma basta leggere il verso seguente: “si esauriscono i corpi nel fluire / di tinte” per capire che in parallelo sono anche gli oggetti ad essere interessati dal processo di affinamento intellettuale che si traduce in smaterializzazione, e persino in modo più icastico (la qual cosa significa che non in sostituzione ma in aggiunta, il gruppo nominale di cui sopra si intenderebbe più compiutamente se fosse scritto come “cose scure” oltreché come “cose oscure”.

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L’estetica del linguaggio poetico non sempre ammette sottigliezze filosofiche, e d’altra parte la poesia è tale proprio perché non deve spiegare tutto.
Resta comunque che in “Ossi di seppia” una buona dose di dualismo anima-corpo cartesiano non manca, sebbene temperata dalla mediazione di una sua specifica e ineffabile ghiandola pineale.
Ne deriva che la “vita quale essenza” la si riesce a pensare soltanto secondo un percorso il quale prima trasfonde i corpi in tinta, e poi li “vapora” ulteriormente per farli (disfarli in) musica, quasi fossero misteriose odalische che danzando, sempre più si avviluppano nel loro bianco velo ed in quel lucore scompaiono lasciando nell’aria il ricordo, o forse il residuo emotivo, sia dei loro impalpabili drappeggi trasparenti, sia del tintinnìo di cavigliere e bracciali ormai invisibili.
Fuochi fatui benevoli per i quali davvero ci si chiede se lo svanire come “ventura delle venture” non possa rappresentare una sorta di morte contenta, appagata.
Il “tu”, si diceva, un poco meno generico di quello che Montale è solito rivolgere al lettore.
Ebbene, si passa dal “tu” sottinteso del primo verso della prima strofa, al primo in anafora della terza, dove si constata come sia anche l’anastrofe con l’inversione tra soggetto e verbo, che enfatizza il ruolo essenziale, insostituibile dell’individuo cui il poeta si rivolge.
Quell’individuo, e non altri, dovrà far fronte alla richiesta, quasi al comando.
Nell’incipit era solo un “Portami”; ora è un “Portami tu” (tu, proprio tu), che è assai più forte, perché pare come il frutto di una scelta consapevole compiuta su una alternativa o una rosa più o meno ampia di altri.
Infatti non è un’incarico qualsiasi.
Nei primi due versi il girasole è taumaturgico: il “mio terreno bruciato dal salino” è chiaramente l’animo dell’io-lirico: quindi è importante. Ma risulta ancora più importante nell’ultima strofa, perché lì il poeta non viene semplicemente “curato”, ma, incredibile per la poetica montaliana degli “Ossi”, quasi portato in salvo da questo interlocutore che lo conduce “dove sorgono bionde trasparenze / e vapora la vita quale essenza”.
Resta che non è così chiaro se il potere lenitivo (questa singola poesia ci consentirebbe di parlare addirittura di salvezza, ma la decisione ribadita negli “Ossi” di una poetica dissenziente a un tale esito non lo permette) sia da attribuire in maggior misura alla persona che si assume l’onere di procurare il tramite della salvezza, o al girasole, tramite del tramite, verso ciò che, ancora, appare in bilico tra essere un ulteriore tramite e un traguardo: le bionde trasparenze.
Sembrerebbero i passaggi che progressivamente avvolgono i personaggi-anima del Paradiso, sempre maggiormente evanescenti nel loro ascendere. Ma in Dante, di cielo in cielo, di coro in coro, di luce in luce, arrivano a Dio.
In questo componimento di Montale invece si ha solo un paradiso prorogato fino al raggiungimento di una sorta di Nirvana.
Nella sequela delle rarefazioni delle “cose oscure” verso le “bionde trasparenze”, l’anelito alla e della conoscenza, arriva al dissolvimento del soggetto, al suo svanire.
La ventura delle venture, la morte, pertanto non come Sventura, ma come Svanire.
Questo termine è scritto con la maiuscola, ed è una piccola disdetta essere oggettivamente impossibilitati a capire se è perché segue il punto fermo o perché di per sé, come sinonimo di traguardo-paradiso, l’avrebbe richiesta.
La meta in sé non si raggiunge se non nel consumarsi nel di lei desiderio, come fu per Eco che amò Narciso. E’ questa la sorte delle sorti. Forse il sortilegio.
Il luogo “dove sorgono bionde trasparenze” è il sole, perché dal sole si spande la trasparenza della luce, con la sua magia di frapporsi fra noi e le cose mostrandocele anziché nascondendocele.
E se più luce, più trasparenza. Fino a che i colori, e la musica che richiamano, vengono riportati al loro esistere primevo, antecedente alla separazione dell’iride, nella luce che dal girasole ripercorre a ritroso il cammino fino, di nuovo, alla “chiarità”.
Di fronte ad una scena sospesa tra fisico e metafisico, in cui il girasole è co-protagonista, lì per lì stupisce il volto “giallino” con cui Montale lo denota.
Sembra strana la sua scelta di scolorire con un diminutivo un elemento che è perno della lirica. Addirittura si fa per un attimo strada il sospetto che sia forzato per fare rima con “salino”, e che a questo si riduca la sua presenza.
Sospetto subito messo da parte quando ci si rende conto che intanto sarebbe stato un escamotage troppo smaccato, e poi, soprattutto, che quel “giallino” non sta a dire di una tinta menomata, ma fa il paio con l’ “ansietà” che il fiore ha di perdere contatto con il viaggio del sole sull’eclittica, di non poter più essere rifocillato dal nutrimento della sua luce.
Il “giallino” è la timidezza del girasole, la timidezza di una semplice ninfa che non può fare a meno di amare ma si sente inadeguata a pretendere di essere riamata, nientemeno che da un dio.
Essere incappati in un elemento formale come la rima, ci induce, questa volta non per scartare un’ipotesi ma per sostenerla come ciò che può sciogliere la difficoltà interpretativa più grande del testo, ovvero l’enigma di quegli “azzurri specchianti / del cielo”, a ritenere che essi forse si possano intendere nel loro genuino significato, collegando concettualmente il terzo verso al decimo.
Prima però di addentrarci nel ragionamento, serve far notare che lo schema di rime è alternato, ABAB, nella prima quartina; e incrociato, ABBA, nella seconda e nella terza. Tuttavia in quest’ultima se “conduce” rima con “luce”, “trasparenze” rima in modo imperfetto con “essenza”.
Sarebbe stato semplice per Montale costruire il verso al singolare, e il gioco delle rime sarebbe regolarmente riuscito, mantenendo l’endecasillabo.
Anziché “dove sorgono bionde trasparenze”, avremmo avuto “dove sorge la bionda trasparenza”.
Non lo ha fatto. E siccome si tratta di un’incongruenza rimica facilmente superabile, allora vuol dire che proprio il plurale era irrinunciabile nell’espressione di quel significato.
Riprendiamo con il collegamento tra terzo verso e decimo, e per farlo chiediamoci innanzitutto cosa sono gli “azzurri specchianti”.
La risposta non è semplice, e il fatto che vari commenti critici se la cavino un po’ all’ingrosso sostenendo che “azzurri specchianti” stia per cielo tout court senza tuttavia darne motivazioni esaurienti, induce ad essere scettici e a tentare un’altra strada su cui in parte, trattando poc’anzi della luce, ci si è già avviati.
Orbene, se il girasole fosse un fiore come gli altri, Montale avrebbe tranquillamente scritto (e anzi più volentieri scritto, perché non sarebbe stato costretto a sacrificare la rima perfetta) “dove sorge la bionda trasparenza”. Ma non è un fiore come gli altri.
Esso ha la peculiarità di seguire il sole volgendosi verso di lui, a specchio.
E’ l’oggetto-simbolo del sole in terra.
E’ Clizia che vuol restare unita al suo amato Apollo e non lascia un momento di bearsene e di abbeverarsi alla sua luce.
Altri fiori si affisano nel sole, ma per un tempo limitato, quando quest’ultimo è, in una data ora, in una data porzione di cielo. Quest’ultima sarebbe quella che specchia (specchiante, appunto) la rosa, la camelia, la margherita di campo…Ma ” [il girasole] mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti / del cielo l’ansietà del suo volto giallino” ci dice appunto che questo fiore segue il corso del nostro astro finché dura la luce, e ne consegue che tutte le porzioni di cielo lungo il suo tragitto sono gli azzurri specchianti del cielo dove la bionda trasparenza è moltiplicata per quante esse sono, e diventa plurale.
Meno problematica, per restare al terzo verso, la voce verbale “mostri”. Nel senso che essa mette davanti alla scelta tra due lezioni le quali, tuttavia, nonostante individuino un soggetto diverso, non cambiano la sostanza del messaggio.
In un caso si avrebbe:

“Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e [lui] mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino”.

Nell’altro caso si avrebbe:

“Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e [io] mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino”.

Come si vede, il messaggio è pressoché identico.
Infatti la funzione lenitiva, e idealmente salvifica, del girasole, non viene intaccata.
Nel primo caso il mostrarsi è una conseguenza (prevista e voluta) derivante dall’averlo trapiantato “nel mio terreno bruciato dal salino”. Nel secondo è l’io-lirico a compiacersi nel mostrare il girasole affinché il sole se ne compiaccia.
La pianta dunque conduce alla sorgente della luce (“dove sorgono bionde trasparenze”) per l’analogia del microcosmo che essa è rispetto al sole.
Tuttavia ciò non sarebbe possibile se dal suo piccolo angolo di orto “bruciato dal salino”, essa non si torcesse per, innamorata, illuminare chi la illumina da quella porzione di cielo che è l’unica che conta per lei.

FULVIO BALDOINO

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One thought on “Alcune note su “Portami il girasole…” di Eugenio Montale”

  1. Caro amico, voglio prima di tutto ringraziarti per queste tue originali e profonde letture degli “Ossi” montaliani, le quali, pur rimanendo aderenti al testo poetico di volta in volta proposto e commentato, mi fanno volare con il pensiero verso orizzonti sconosciuti , per lo più marini, ma anche terrestri e celesti, come è il caso di quest’ultimo, fiore nato nell’humus del simbolismo e, per certi versi, del misticismo orientale e alla sua assunzione della morte come uno svanire nella luce, non nel buio del nulla eterno foscoliano. Qui si sente ancora l’eco dell’Infinito leopardiano e del mare in cui naufragare è dolce. Un’altra eco che ancora risuona in questo girasole “impazzito di luce”, a me pare, è quello delle “Correspondances” baudelairiane, con tutto il loro corteggio di profumi, di colori e di suoni che si inseguono e si fondono insieme i quella misteriosa e profonda unità che solo il poeta è in grado di intuire. Tra tutti rimane, , dominante, il tema della morte come sbocco naturale del tendere là dove “sorgono bionde trasparenze” non verso le tenebre dell’Ade. Alla fine del viaggio c’ è lo Svanire nella luce …Ma questo tema è troppo grande per essere anche solo sfiorato in questo breve spazio; ragione per cui mi riprometto di approfondirlo altrove, magari in un prossimo articolo. Intanto, nel complimentarmi ancora una volta per la tua acutezza e profondità interpretativa, ti auguro, per quel che è possibile in questi tempi oscuri, una serena estate.

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