ADATTARSI

È questo il verbo che echeggia con insistenza sulle bocche di tutti. Il mondo sta cambiando a velocità accelerata e ciascuno dovrebbe adattarvi i suoi ritmi, le sue competenze, il suo ingegno, insomma la poliedrica abilità italica ad “arrangiarsi”, per non soccombere. La lezione di Darwin, insomma, estesa dalla giungla alla società umana.
Ciò è tanto più vero dal fatidico marzo 2020, quando la Cina ha dato mostra di essere davvero vicina, regalando al resto del mondo un morbo che ha sconvolto ogni nostra abitudine, stile di vita, scala di valori.
Come in ogni tragedia, c’è una piccola frazione che se ne avvantaggia e la vasta schiera residua che ne subisce i colpi.

Vedo dalle pagine ormai ingiallite di questo libro, tratto dalla mia biblioteca, quanti anni sono passati dalla sua uscita, nei primi anni ’70. Il suo messaggio è stato recepito, un quarto di secolo dopo, ma snaturato per adattarlo alle sempiterne regole del capitalismo. Se penso che a distribuirlo oggi è anche Amazon, il colosso distruttore di milioni di piccole imprese…

L’inizio delle grandi mutazioni sociali, stando ai numeri, prese l’aire il 2004, quando si ebbe il picco della società emersa dopo la precedente mutazione degli anni ’70 e ’80, che vide i grandi agglomerati industriali, con masse di lavoratori impiegati in strutture produttive concentrate in fabbriche e relativi uffici, iniziare a frantumarsi in una miriade di piccole attività indipendenti: il popolo delle piccole e medie partite Iva. Sembrava fosse il trionfo del concetto “piccolo è bello”, che i più lungimiranti pensatori dei decenni postsessantottini avevano preconizzato e auspicato, in ogni campo, dalle industrie alle banche, dagli impianti di produzione energetica al famigliare “fai-da-te”. Il concetto era venuto sviluppandosi per opposizione alle grandi corporation, domestiche o multinazionali, che facevano il bello e cattivo tempo nei confronti dei lavoratori. Come spesso accade, la reazione a diffusi e disturbanti fenomeni finisce col cristallizzarsi in ideologia, acclamando tutto ciò che è contrario all’assetto precedente. Col pericolo di precipitare in una situazione ancor più grave di quella che si voleva combattere.
La polverizzazione del mondo del lavoro raggiunse l’apice, come già detto, nel 2004; dopo di che il fenomeno cominciò a sgonfiarsi. Ma non in meglio. Ne seguì un‘emorragia delle micro attività e un costante peggioramento delle condizioni di lavoro presso le grandi aziende, quando il governo Renzi pensò di risolvere il problema della disoccupazione con la precarizzazione del lavoro. L’insieme dei due fenomeni subì un’inopinata accelerazione con l’arrivo della pandemia, che sconvolse ancor più il quadro sociale, penalizzando ulteriormente il popolo delle partite Iva e, di converso, arricchendo a dismisura i nuovi colossi dell’e-commerce, come Amazon, mentre il governo lasciava cadere qualche goccia di “ristoro” alle piccole aziende, ormai disidratate dalla troppo prolungata siccità.

Qui c’era una volta un fiume. Così è ridotta una buona parte del piccolo commercio. E quel poco di acqua che la diga statale vi ha riversato servirà a placare solo in parte la fame degli  “sfollati del Covid”, prima che a pagare gli arretrati di tasse e sanzioni varie che il governo si ostina a non cancellare

Ne è emersa un’Italia ancora più povera, fortemente indebitata a livello statale e senza più il supporto dei pochi risparmi che avrebbero permesso di tamponare un breve calo di attività, certo non la chiusura per mesi e mesi, con il protrarsi al buio di misure emergenziali imposte per legge. Si calcola che da inizio pandemia ad agosto 2021 siano “evaporate” 302 mila partite Iva, che spaziano dai negozi ai professionisti: tutti lavoratori che spendono per lo più nelle proprie realtà locali. [VEDI e VEDI] Che ne è stato, che ne sarà di costoro? Dovranno arrangiarsi.
Quindi oggi, a fronte di previsioni ottimistiche sulla “ripresa”, riportata come la migliore a livello UE, c’è un invisibile sottobosco di persone in miseria, vuoi per la chiusura improvvisa di società che abbandonano un’Italia con scarsa propensione o meglio impossibilità di tornare a spendere e dare fiato all’economia locale, vuoi per la chiusura forzata della propria piccola attività, stroncata dalle misure anti Covid e con l’incubo dell’imminente tam tam di un fisco famelico ed opprimente che affila le armi per stanare anche gli evasori di necessità. [VEDI] Ecco, per tutti costoro si profila un periodo nel quale dovranno “adattarsi”, ossia, in termini più colloquiali e brutali, “arrangiarsi”. Come se fosse facile improvvisarsi un lavoro, con la graduale perdita di resilienza ed adattabilità man mano che gli anni passano.

Un filo diretto collega le due immagini: mentre il primo perde il lavoro ed entra nella schiera degli incapienti, il secondo accumula denaro sulla sua disgrazia, con il grosso problema di non sapere come spendere la pioggia di miliardi, tra mega yacht e voli spaziali

E qui devo spezzare una lancia a favore del Reddito di Cittadinanza (RdC), oggetto di critiche feroci in quanto invoglierebbe a non lavorare. Critiche che dimenticano che, senza di esso, non godono di ammortizzatori sociali, a differenza dei lavoratori dipendenti, tutti i lavoratori autonomi dei quali ho appena profilato lo stato di indigenza assoluta qualora siano costretti a chiudere l’attività. Arrangiarsi è un termine troppo sbrigativo: cosa dovrebbero fare costoro? Appellarsi al buon cuore dei parenti? Chiedere l’elemosina? Spacciare droga, rubare o comunque delinquere? Vale per loro lo stesso discorso degli immigrati clandestini, lasciati allo sbando dopo il generoso permesso di approdare sulle nostre coste. Anzi peggio, perché per questi ultimi è previsto un obolo di sopravvivenza (e di ingrasso per le cooperative che se ne occupano). Aggiungo che questa platea di indigenti deprime ulteriormente il commercio locale, generando altre chiusure, in una spirale perversa che si autoalimenta, mentre non si perde occasione per demonizzare il RdC.
In una situazione così fosca mi rattrista sentire ancora parlare di fascismo e vedere ad es. un giornale come La Stampa dedicare a questo trito argomento intere pagine, compresa la prima.

Pier Paolo Pasolini. Già nei primi anni ’70 aveva intravisto dove l’Italia sarebbe andata a parare. Genuinamente di sinistra, veniva guardato con sospetto dalla sinistra “ufficiale”. Anche (l’ex?) compagno Massimo Cacciari è guardato con diffidenza dalle sinistre, oggi che non liscia più loro il pelo (meglio tardi che mai)

Mi sembra di essere tornato ai plumbei anni ’70, quando era pericoloso mostrarsi per strada con in mano un giornale che non fosse rigorosamente di sinistra. O sei un compagno o sei un fascista. Questa era l’alternativa allora, e tale si ripresenta oggi.  Questo schema mentale sembra creato apposta per sviare l’attenzione dai problemi che ho appena delineato, specialmente nel clima elettorale che vede i “giornaloni” trasformati in araldi della sinistra, se non in forma diretta, demonizzando la destra e accomunando Lega e FdI a formazioni che ricorrono alla violenza per far valere le proprie idee.
Quasi che la violenza sia solo quella scatenata nelle piazze e non quella felpata che ti toglie il pane di bocca o ti perseguita con tasse e sanzioni se sgarri a regole sempre più invasive e iugulatorie pur sotto la rassicurante insegna della democrazia, ormai sfociata in una tirannia mascherata alla quale è obbligatorio battere le mani.

Ultim’ora: il governo sta decidendo una nuova proroga per il pagamento delle tasse; non tanto per buon cuore, quanto perché conscio che spremerebbe il proverbiale sangue dalle rape. Ad es., un negoziante, dopo aver pagato merce, affitti e bollette dell’esercizio, deve far fronte a vitto, alloggio e spese condominiali di casa. Ma gli incassi scemano e non può adeguare i suoi prezzi al crescere di tutti gli altri, pena perdere clienti. Cosa gli resta allora per pagare anche le tasse?

Che il giornale degli Agnelli abbia scelto come direttore Massimo Giannini, ex redattore di Repubblica, lascia dedurre da che parte stia la sinistra, anzi quella che ancora si definisce tale in virtù delle sue invettive contro la destra parlamentare, arrivando a chiedere la chiusura dei partiti extraparlamentari di estrema destra. Come si fa, appunto, nelle dittature.
Marco Giacinto Pellifroni                           17 ottobre 2021

Condividi

One thought on “ADATTARSI”

Rispondi a francesco Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.