Racconto

Un racconto di Orlando Defrancisci
MORSO

Un racconto di Orlando Defrancisci
MORSO
Mi piaceva stare seduto li, su quel grosso sasso a cui l’acqua aveva scavato intorno, era un bellissimo punto d’osservazione, il bosco che mi stava tutto intorno si apriva esattamente davanti a me e tra due grandi lecci ed un pino, vedevo il mare, come una cartolina, una bella foto fatta da un fotografo professionista che oltre ai colori sapeva cogliere il senso profondo delle immagini. Il mare li, in lontananza appariva calmo e luccicava al tramonto che s’apprestava, sullo sfondo s’intravedeva uno scorcio dell’isola, un traghetto che cavalcava la linea dell’orizzonte, e di fianco le colline che si tuffavano nel mare. Si decisamente quello era proprio uno dei posti più belli, il sole colorava il cielo con tonalitài bellissime e il bosco piano spegneva le sue luci, venivo abbastanza spesso ultimamente a vedere il tramonto da questo punto, era un modo per raccogliere i brandelli di un’esistenza che si sgretolava, o forse solo un attimo di pausa in quella marea di problemi che montava in continuazione. Non era stato facile capire, ma a pensarci adesso i segni c’erano tutti, una certa stanchezza latente, scarsa voglia di fare e ancora meno di mangiare, poi i continui mal di testa, ma come sempre accade, o almeno così mi son sentito dire, sei portato a non dare peso, la vita convulsa i ritmi che questa c’impone ti portano a non soffermarti molto su niente, tutto si consuma tanto velocemente che a volte non si riesce nemmeno a sentirne il sapore, poi il lavoro che ti prende sempre tanto con i sui tempi così accelerati, alla fine ti dici che si hai qualche problema, ma forse è solo stanchezza, stress da super lavoro, insomma sottovaluti.
Avevo fatto le analisi più perché mi ci aveva spinto Francesca, la mia socia che si ostinava a dire che mi vedeva “strano”, che per la reale convinzione che ce ne fosse il bisogno.
Che qualcosa non fosse proprio come doveva, lo avevo capito quando dalla clinica dove ero stato per fare tutti gli esami, mi era arrivata una telefonata in cui mi si chiedeva un appuntamento perché il “professore” aveva bisogno di parlarmi, il resto è stato un incubo durato pochi mesi passati tra esami e diagnosi, sempre le stesse, e luminari di turno che alla fine avevano emesso più o meno la stessa sentenza: cancro al fegato, inoperabile, solo pochi mesi di vita e un futuro prossimo di morfina!
Fai presto a dire “tanto si deve morire tutti prima o poi” è facile quando credi ancora di essere immortale, quando stai bene e non sei nel “miglio verde” della vita, ma quando la morte è li ed ha già bussato, allora tutto è diverso.
Avevo tentato qualche cura, e il cranio rasato era una delle conseguenze, i risultati scarsi, e i dolori erano sempre più frequenti ed intensi, avevo pensato, lo confesso, spesso al suicidio, ma credetemi non è così semplice come sembra, la vita anche la peggiore è un’amante che non si vuol fare abbandonare, trova sempre qualche argomento per convincerti, ed io ero qui ad osservarne uno, questo dolce tramonto che come un soffio scaldava il mio viso e mi riempiva di tristezza il cuore; bene sarei rimasto ancora una volta a vedere il tramonto da quella pietra, fumando l’ennesima sigaretta, tirai fuori dalla tasca il pacchetto con le sigarette e l’accendino che come al solito mi era caduto per terra, sembrava che anche le cose mi sfuggissero di mano come la vita, chinarsi a raccogliere l’accendino tra i sassi e l’erba fu un gesto automatico.
Il dolore era stato forte, lancinante, come un colpo inferto con un punteruolo, in un decimo di secondo avevo realizzato, il movimento rapido nell’erba ed il dolore alla mano. Riconoscevo i segni caratteristi del morso della vipera, i due fori erano netti e leggermente colorati dal sangue e dal siero che mi aveva iniettato, sapevo che dovevo stare calmo, avevo tutto il tempo, il veleno non uccide rapidamente e potevo tranquillamente arrivare al più vicino pronto soccorso, ma non riuscivo ad alzarmi da quel sasso, come se non fosse successo nulla mi ero acceso la sigaretta e stavo lanciando sbuffi di fumo al tramonto che velocemente infuocava
l’orizzonte, si, sarei rimasto li a vedere il sole morire.

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