Politica Nazionale

NOSTALGIA DELLA DC?
Nel 1975: 1.730.000 iscritti. ‘Si stava meglio quando si stava peggio’
Dalla Cisl all’Azione Cattolica. Le alleanze. I suoi dirigenti di spicco

NOSTALGIA DELLA DC?
Nel 1975: 1.730.000 iscritti. ‘Si stava meglio quando si stava peggio’
Dalla Cisl all’Azione Cattolica. Le alleanze. I suoi dirigenti di spicco

La spinta immediata sembra essersi affievolita, almeno nelle ultime ore, ma l’idea di una “casa comune” dei cosiddetti moderati benedetta dalle alte gerarchie ecclesiastiche aleggia da qualche tempo sul sistema politico italiano.

Non si parla più di “unità politica dei cattolici” ma, in un qualche senso (ed in molte espressioni di dirigenti locali e periferici) si esprime una sorta di “nostalgia della DC” che si accompagna con un rimpianto del tipo “si stava meglio quando si stava peggio”, dei bei tempi del proporzionale e dei governi fatti in Parlamento (un rimpianto cui ha dato il suo autorevolissimo avallo, qualche giorno fa dalle colonne del “Corriere della Sera” lo stesso prof. Sartori.)

Abbiamo ritenuto utile, allora, ai fini del mantenimento di una corretta memoria storica di analizzare, dal punto di vista squisitamente “politico”, la realtà rappresentata dalla DC in quasi cinquant’anni della storia d’Italia: una ricostruzione schematica e sicuramente lacunosa, tesa semplicemente a ricostruire alcuni passaggi che, a nostro giudizio, è bene ricordare e riconoscere.

Tra il 1945 ed il 1992 la DC ha avuto il consenso della maggioranza relativa degli italiani, riuscendo a conquistare (almeno sino alle elezioni del 1983) in media circa il 40% dei voti e fornendo, in conseguenza, fino al giugno 1981, tutti i Presidenti del Consiglio.

Per tutto questo periodo la DC concluse alleanze di governo con tutti i partiti, salvo che con i comunisti e l’estrema destra, dai quali tuttavia accettò il sostegno parlamentare, allorquando questo risultò necessario per conservare il potere. Avvalendosi dell’operato di un’ampia varietà di iniziative collaterali (dalla CISL all’Azione Cattolica) la DC riuscì a penetrare in larghi settori della popolazione.

Nella politica interna il suo maggior alleato fu rappresentato dalla Chiesa Cattolica, mentre nella politica estera dagli USA: entrambi hanno appoggiato la DC in pressoché tutte le campagne elettorali del dopoguerra. Il Partito democristiano fu costituito nel 1942, per effetto della fusione di gruppi cattolici antifascisti ed i resti del PPI, formazione cattolica fondata nel 1919 e sciolta dal regime fascista nel 1926.

Subito dopo la sua costituzione la DC prese parte attiva all’alleanza antifascista formata dai vari partiti italiani, diventandone con il PCI una forza determinante. Nel Luglio del 1944, con il “Manifesto di Milano”, la DC elaborò un programma da partito politico interclassista, rivolgendosi a tutti gli italiani non marxisti e non fascisti. Il gruppo dirigente del nuovo Partito proveniva in prevalenza dal PPI e la sua base, che nel 1945 contava più di mezzo milione di iscritti, sin dall’inizio ha rispecchiato pressoché tutti gli strati della popolazione.

Negli anni dell’immediato dopoguerra, la DC ebbe qualche vantaggio rispetto ad altri partiti, non solo perché aveva recuperato il personale e l’elettorato del vecchio Partito Popolare, ma anche perché offrì una nuova patria politica ai seguaci del Partito liberale, il quale dopo essere stato per lungo tempo il Partito della grande borghesia, si era però screditato a causa della collaborazione prestata da molti suoi esponenti allo Stato fascista.

Il vantaggio della DC divenne più tangibile grazie all’appoggio della Chiesa che, con un’Azione Cattolica forte di 800.000 iscritti (1946) servì a costruire una solida base organizzativa: nel 1945 furono fondate 12.000 sezioni democristiane, due terzi per iniziativa del clero locale o direttamente dalla stessa Azione Cattolica.

A metà degli anni’50 il vecchio gruppo dirigente, che proveniva – appunto – in gran parte dal Partito Popolare, venne sostituito dalla nuova generazione dei dirigenti formatisi soprattutto nell’opposizione al fascismo. Per la prima volta, allora, emersero chiaramente quelle contraddizioni che poi caratterizzarono a lungo la vita della DC.

I lavoratori cattolici trovarono una loro specifica espressione in due correnti di sinistra nate nel 1952-53, mentre gli imprenditori e i notabili del Sud facevano capo soprattutto alla destra del Partito. La distensione tra Est e Ovest, e il ritiro del Vaticano dalla politica interna italiana (avvenuta sotto il pontificato di Giovanni XXIII, nelle cui encicliche l’anticomunismo passò in secondo piano, a favore delle dottrine sociali della Chiesa) concorsero poi a determinare un clima, grazie al quale nel 1963 la DC poté formare con il PSI una coalizione di centrosinistra, il cui fine principale era quello di coniugare una modernizzazione del capitalismo (da realizzare, fra l’altro, attraverso una programmazione dell’economia) con il riformismo sociale.

All’inizio degli anni’70, dopo aver bruciato ulteriori possibilità di coalizione e di fronte alla svolta a destra dei ceti medi non-dipendenti (commercianti, piccoli proprietari, ecc.) così importanti per la DC, verso la quale spingevano tanto la crisi dell’economia e la crescente insicurezza interna, quanto la crescente pressione dei sindacati, il Partito si staccò dalla linea politica del centrosinistra per ritornare dal 1972 a governi formati da coalizioni di centro o monocolori.

Dopo la fase della “solidarietà nazionale” (1976-1978), caratterizzata dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro, la DC ritornò all’alleanza con il PSI attraverso la formula del “pentapartito” (comprendente anche PSDI, PLI e PRI) nel 1981, ma nel quadro politico si manifestavano già i segnali di una crisi di fondo, dalla quale la DC risultò fortemente colpita soprattutto per tre ragioni principali:

a) La “spoliticizzazione”, ovverosia la liberalizzazione del cattolicesimo, indebolì il più importante fondamento ideologico della DC. Anche l’anticomunismo, che costituì da sempre il cemento più potente dell’eterogeneo elettorato democristiano, perse di forza e di ragione con il crollo dei regimi dell’Est (1989);

b) Il prolungarsi della crisi economica, che mise in pericolo la legittimazione della DC come partito permanentemente detentore della massima parte del potere politico;

c) L’accentuata divisione in correnti rese impossibile una politica unitaria e coerente della DC. All’interno della DC operò così un equivalente della cosiddetta partitocrazia, che può oggi ben essere definita come correntocrazia, vale a dire una situazione in cui la politica del Partito dipendeva strettamente dai rapporti di forza di volta, in volta esistenti tra le correnti

Struttura

Anche se la composizione dell’elettorato democristiano offre ancor oggi l’immagine di un Partito che comprendeva tutte le classi ed i ceti sociali, è nondimeno evidente come in esso prevalessero ancora in grande misura i gruppi d’orientamento cattolico e per lo più conservatori, presenti soprattutto fra i ceti professionali non-dipendenti e le casalinghe. Ciò si spiega anche con il fatto che, originariamente, quasi la metà dei suoi elettori provenisse da addetti al settore agricolo e, come strada facendo risultassero in aumento i “non occupati” (casalinghe, pensionati, studenti).

Fra coloro che svolgevano un lavoro dipendente, invece, diminuiva la presenza degli operai a vantaggio dei ceti medi. Dal punto di vista della distribuzione geografica, i bastioni elettorali della DC vennero tradizionalmente costituiti dalle “province bianche” del Nord-Est fortemente influenzate dall’Azione Cattolica (nel 1976, anno preso d’esempio perché si verificò il minimo scarto tra DC e PCI in occasione delle elezioni politiche, nel collegio Bergamo-Brescia la DC riportò il 53,5%, mentre in quello Verona-Padova il 55,5%). In queste zone il PCI rimase sempre al di sotto della soglia del 30% dei suffragi. Al contrario la DC era debole nella “fascia rossa” dell’Italia Centro-Settentrionale, dove sempre nel 1976 riportò il 31,3%. Complessivamente si può comunque affermare come, a dispetto dei forti spostamenti di popolazione, la distribuzione regionale dei voti della Dc rimase stabile dal 1946 al 1992, allorquando si fece sentire il fenomeno dell’affermazione leghista.

Organizzazione

La Dc sviluppò su larga scala la propria organizzazione soltanto dopo la prima segreteria Fanfani. Fra il 1953 ed il 1959 il numero degli iscritti salì da 1.100.000 a 1.600.000 giungendo nel 1975 a 1.730.000. La densità dell’organizzazione della DC risultò notevolmente più elevata al Sud che al Nord, dove il Partito continuò ad appoggiarsi alle organizzazioni cattoliche. Per quanto, dal 1970, fosse stata messa in piedi una influente organizzazione regionale (dal 1973 i delegati al Congresso Nazionale vennero eletti dalle assise regionali) la DC non venne mai gravata da conflitti verticali tra il centro e la periferia.

Al contrario i contrasti più stridenti ed i dibattiti interni più importanti si svolsero orizzontalmente fra le diverse correnti, le quali erano organizzate a tutti i livelli del Partito, dalle sezioni fino al Consiglio Nazionale.

Fino al 1964 gli organi dirigenti vennero eletti in base ad un sistema maggioritario: più precisamente, mentre fino al 1956 la lista delle correnti vittoriose si aggiudicava i 4/5 dei seggi al Consiglio Nazionale, dal 1956 al 1964 essa guadagnava i 2/3.

Successivamente venne introdotto un sistema proporzionale, con un quorum minimo del 15% nelle elezioni per il Consiglio Nazionale, e del 10% in quelle delle istanze regionali e provinciali.

Dal 1976 il Segretario Generale non venne più eletto dal Consiglio Nazionale, come in precedenza, ma dai delegati al Congresso a scrutinio segreto: primo segnale dell’avvio dell’affermazione, nel sistema politico italiano, del meccanismo della “personalizzazione della politica”.

Tendenze, gruppi, conflitti

La DC viene comunemente ricordata, come un deplorevole esempio di Partito litigioso e diviso.

In realtà si dimentica, con troppa facilità, che le correnti per la DC non comportavano soltanto conseguenze negative, ma furono al contrario elementi portanti della sua egemonia, consentendo a tutti i gruppi vicini alla DC un’articolazione degli interessi all’interno del Partito e, quindi, una loro continua presenza.

La struttura interna alla DC venne, fin dall’inizio, caratterizzata dall’esistenza di tre grossi blocchi. Fra la sinistra sindacale e cattolico-progressista del Nord e la destra agrario-conservatrice del Sud si collocava il centro mediatore, il quale era interessato in primo luogo al conservazione del proprio potere e, poi, all’unità del Partito, e a questo scopo concluse notevoli alleanze ora con la destra, ora con la sinistra. Già nel 1946 il Partito si divise sulla questione monarchica, e anche nel periodo degasperiano si ebbe la formazione di schieramenti che si richiamavano apertamente alla tradizione del PPI, ma i gruppi organizzati erano pochi e deboli.

Rifondandosi, nel corso del secondo conflitto mondiale, la DC appariva composta da un nucleo di ex-popolari sopravvissuti al fascismo, e da una miriade di quadri giovanili forniti dalle organizzazioni cattoliche. Il personale politico di governo fu ovviamente preso dagli ex-popolari, e tra questi primeggiò subito De Gasperi, per statura, abilità politica, coraggio, visione generale. Ai giovani il gruppo storico della DC appariva compatto ed uniforme, da Gonella (il “teorico” più ferrato) a Scelba (che passava per erede, figlio spirituale di Don Sturzo) a Gronchi (che appariva il più spostato “ a sinistra”).

I principi della dottrina sociale della Chiesa (dignità della persona umana, proprietà privata come diritto naturale, interclassismo o solidarismo sociale, famiglia come società naturale indissolubile e una, Stato come istituzione storica garante del bene comune, pluralismo politico) veniva applicata in funzione dell’unità politica dei cattolici, e dell’affermazione della “centralità” democristiana.

Il primo gruppo che avvertì l’esigenza di dare alla DC un corpo di riflessioni politiche organiche meno astratto della dottrina sociale della Chiesa e meno occasionale dell’empirismo democristiano, fu quello dei “professorini” Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati e della loro rivista “Cronache Sociali”: sulle cui colonne portarono avanti il discorso delle riforme e dell’efficienza delle forme di programmazione dell’economia, già presenti in Inghilterra e in Francia.

A partire dal 1959, all’interno di questa corrente maggioritaria, iniziò un processo di scissione da cui nacque una vera e propria costellazione di correnti, che spaziava dal centrosinistra al centrodestra con i suoi vari leader, quali Moro, Taviani, Forlani, Fanfani, Rumor, Piccoli, Colombo e Andreotti ( rispettivamente: morotei, pontieri, Nuove Cronache, Iniziativa Popolare, Impegno democratico).

Questo gruppo di correnti comprendeva all’incirca il 70% dei delegati ai congressi, ma risultava tutt’altro che unito.

Dall’inizio degli anni’50, alla sinistra del Partito si formarono due principali raggruppamenti : la “Base” cattolica di sinistra (De Mita, Marcora, Granelli, Bodrato) e il gruppo legato ai sindacati, di “Forze Nuove” (Donat Cattin) ciascuno con circa il 10%. La destra democristiana vide invece scemare la sua influenza all’inizio degli anni’60, quando ritardò (tentando anche una avventura di governo appoggiato dal MSI, respinto dalla sollevazione popolare del Luglio’60) ma non riuscì ad impedire l’apertura a sinistra.

Le correnti provenienti da “Iniziativa Democratica” rimasero al centro o, come i morotei, si spostarono su di una linea moderata di sinistra. Dopo il passaggio al centro della corrente Primavera (andreottiani), avvenuto a metà degli anni’60, la destra vera e propria della DC si ridusse al 3%.

Quando Zaccagnini venne eletto segretario generale dal congresso della DC del 1976, la divisione della DC sulla questione della collaborazione con il PCI emerse chiaramente ed ampiamente, in modo da estendersi a tutte le correnti. Per Zaccagnini, che rappresentava una linea di competizione costruttiva con i comunisti votò allora il 51,6% dei delegati ( i gruppi di sinistra, ed il centrosinistra che faceva capo a Moro, Rumor, Taviani) mentre contro di lui e per una linea di duro confronto si pronunciarono i gruppi di centrodestra e della destra (capeggiati da Fanfani, Forlani, Piccoli): una divisione evidenziatasi poi nello scontro tra “fermezza” e “trattativa” nel corso del rapimento Moro, il cui esito risultò decisivo per lo spostamento degli equilibri interni al Partito, dando origine al processo di alleanze che, all’inizio degli anni’80 avrebbe dato origine al patto di potere del cosiddetto CAF (Craxi, Andreotti, Forlani).

Posizione nel sistema dei partiti

Dal punto di vista ideologico la DC ha rappresentato fin dalla sua fondazione il centro del sistema partitico italiano, mentre dal punto di vista della pratica delle coalizioni ha condiviso questa posizione, a partire dal 1947 con una “piccola sinistra” (PSDI e PRI) e una “piccola destra” (PLI). Non appena la DC ebbe conquistata la maggioranza, iniziò subito una graduale espansione dei suoi legami politici in questi due settori dello schieramento partitico.

Questo accadde anche quando realizzò la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, nel periodo della leadership di De Gasperi (fra il 1948 ed il 1953) poiché il ricorso agli alleati serviva a fronteggiare con successo l’opposizione all’interno del Partito.

L’ampiezza della fascia di alleanze di governo nella quale la DC si mosse nell’arco dei quarantacinque anni di detenzione del potere ( dal PSI al PLI nelle coalizioni, dal PCI al MSI nel sostegno parlamentare) testimonia la capacità di difendere durevolmente il proprio predominio, contro l’opposizione di destra e di sinistra, fosse questa interna o esterna al Partito.

La DC, insomma, era aperta su entrambi i fronti.

L’ala conservatrice serviva da ponte sulla destra (verso il PLI e l’MSI), l’ala sinistra la teneva in contatto (per esempio attraverso i sindacati) con PCI e PSI.

Per concludere, quale indicazione per chi avesse in mente di ricostruirne le sembianze: un esempio classico di Partito “ a coalizione dominante”.

Savona, 16 ottobre 2011                                      Franco Astengo

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