Brain washing di massa. Come far accettare l’inaccettabile

La proprietà privata è sacra e inviolabile; la libertà di informazione e la libera circolazione delle idee  sono garantite da tutte le costituzioni nazionali e dalle convenzioni internazionali e possono essere limitate solo se recano offesa alla pubblica morale o rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale; le persone non  possono essere discriminate sulla base della loro razza o della loro nazionalità; sono principi irrinunciabili che soltanto in caso di guerra e con la legge marziale in vigore possono essere violati. Invitare i propri connazionali a lasciare un Paese, chiudere le fonti di informazioni provenienti da quel Paese lasciando filtrare solo quelle di un’opposizione vera o presunta e gli arresti e le vessazioni di cui sarebbe oggetto senza averne direttamente acquisito o controllato la fonte, sequestrare i beni e bloccare i conti dei cittadini di quel Paese sono atti di guerra. Ed è palesemente è un atto ostile fornire armi destinate ad essere usate contro quel Paese. Ed è un’ovvietà che se dalla televisione di Stato o dagli stessi ambienti governativi viene dato del pazzo o del criminale al capo di Stato di quel Paese questo è un comportamento ostile che espone a qualunque tipo di ritorsione. Sono implicite dichiarazioni di guerra.

Bene: il governo Draghi, col silenzio assenso del capo dello Stato, l’avallo dell’ammucchiata che compone la sua maggioranza e l’entusiastico consenso degli ex missini ora Fratelli d’Italia, quindi di tutta la nostra sciagurata classe politica, ha implicitamente dichiarato guerra alla Russia. E l’ha fatto non per difendere interessi nazionali o per reagire ad una minaccia o a un’azione ostile: l’ha fatto per difendere un Paese straniero, al quale non ci lega alcun trattato di alleanza o  di mutua difesa, che si è impelagato in un conflitto armato con la Russia per non recedere dal proposito di installare missili Nato, cioè americani, ai suoi confini e per non voler interrompere bombardamenti e colpi di artiglieria che si protraggono da anni in barba agli accordi di Minsk sulle regioni del Donbass russofone e russofile alle quali doveva essere assicurata l’autonomia, o meglio l’indipendenza. (mi fa specie riferirmi all’altra giustificazione sbandierata da Draghi: “interveniamo per difendere i nostri valori”. Sai a quali valori si riferisce!). E a questo proposito è bene ricordare ai compagni di casa nostra fieramente avversi al sovranismo che l’Ucraina è il Paese europeo (in senso geografico) con la destra sovranista, o piuttosto sciovinista, numericamente più forte, politicamente più aggressiva e più vicina ai centri del potere e soprattutto connotata, come le sparute frange dell’ultradestra tedesca e scandinava, da una funerea ideologia neonazista e razzista.

Ora è troppo facile suscitare solidarietà e umana simpatia per le centinaia di migliaia di profughi, in massima parte donne e bambini costretti a lasciare le loro case e i loro padri e mariti, civili vittime di inevitabili danni collaterali di ogni conflitto armato; è troppo facile far leva sull’orrore della guerra, mostrare i corpi straziati, i villaggi e i quartieri distrutti per imporre vicinanza ai più deboli e odio verso i più forti e giustificare così la compattezza del fronte antirusso. Ma dov’erano le cancellerie europee, i partiti politici europei, i giornalisti europei quando la Nato stringeva in una morsa la Russia e si apprestava a conficcarle un pugnale nel centro del suo corpaccione? E dov’erano in tutti gli anni in cui i governi filooccidentali che si sono succeduti in Ucraina hanno terrorizzato, imprigionato, ucciso i dissidenti e martellato con i colpi di mortaio – un nostro giornalista, Andrea Rocchielli, ci lasciò la pelle – le regioni alle quali gli accordi internazionali avrebbero dovuto garantire la piena autonomia; dov’erano le cancellerie europee, dov’era l’informazione, come funzionava il mainstream europeo, di cosa si occupavano i partiti europei? E dov’erano quando una bomba ucraina in pieno stile mafioso e terrorista fece saltare l’auto con dentro il generale comandante l’esercito della repubblica autonoma di Doneck, Zacharĉenko. Com’è possibile che le voci che giungevano dalla Russia e dalla stessa  Ucraina  nascoste fra le pieghe dell’informazione – e mi riferisco, per non andare lontano, ai reportage su Repubblica – siano rimaste senza alcun seguito? E infine com’è possibile che nemmeno l’amico Berlusconi (meglio averlo come nemico, evidentemente) o il valvassino questuante Salvini (e non dico dei grillini, che, si sa, sono un po’ ondivaghi) non si siano accorti che la sola ipotesi di un ingresso dell’Ucraina nella Nato era una mostruosità, una bomba a orologeria nel cuore dell’Europa? Impossibile, incredibile, inverosimile ma è successo.

Qualcosa di cui è difficile capacitarsi, un rompicapo per il buonsenso ma è successo. E ha ricompattato con l’Ue la perfida Albione che l’aveva tradita e abbandonata, ha messo d’accordo popolari e socialisti, ha convinto i virtuosi del nord a perdonare gli spendaccioni del sud  e sotto il cielo italico ha riportato all’ovile dell’union sacrée la Meloni, pronta a baipassare gli “alleati” del centrodestra per stringersi direttamente in un abbraccio appassionato con Draghi (e con Biden). Davanti a questo trionfo dell’irrazionale cosa facciamo? riscriviamo l’erasmiano morias enkomion o cerchiamo di andare oltre l’assurdo e ne scopriamo la perfetta consequenzialità, l’ovvietà, l’inevitabilità? Che ci si impongono solo che abbandoniamo l’ingenua fiducia che abbiamo posto nelle etichette, nelle ideologie, nei progetti politici, nei riferimenti valoriali, nelle convinzioni personali, nei programmi di governo e in tutto quel mondo che si è rivelato un osceno sabba di maschere di carnevale. Cadute le maschere si scopre un’unica faccia, quella dell’opportunismo, dell’autotutela, del sentimento di comune appartenenza e del comune asservimento al padrone americano, garanzia di stabilità, di conservazione, e, dispiace dirlo, di conservazione del posto alla tavola imbandita che il patron d’oltreoceano attraverso i suoi emissari continentali garantisce di arricchire di nuove appetitose vivande. La dialettica fra  formazioni politiche di segno opposto, la politica tutta, colori e disposizioni spaziali, neri, rossi, centro, sinistra, destra,  la stessa democrazia  si sono rivelate finzioni: un teatrino, diceva Berlusconi in tempi ormai lontani e sembrava che lo condannasse quando invece il suo proposito era quello di poter calcarne la scena e recitarvi la parte del protagonista.

In tanti oggi si accorgono a cosa andava a parare la dittatura sanitaria: tastare il terreno, vedere quale fosse la risposta ai provvedimenti e alle costrizioni più assurde come il divieto di uscire di casa e la trasformazione di un’opportunità, quella del vaccino, in un obbligo a prescindere, indipendente dalla contagiosità. Chi si azzarda a obbiettare è un no-vax e dopo le prime caute prove di oscuramento e marginalizzazione sono arrivate le bastonate e gli idranti per chi scende in piazza e il silenziatore e l’arma del ridicolo per chi si esprime fuori dal coro. Tutto passato senza uno straccio di opposizione politica, con la convinta approvazione di tutti i partiti e il silenzio dei sindacati.

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Eppure fuori da quel teatrino che è la politica, nel mondo reale, nella società civile il malumore cresceva, anche fra quelli che si erano prudentemente vaccinati una, due o addirittura tre volte e l’avrebbero fatto anche se non costretti ma non accettavano la minaccia di sanzioni, la sospensione dal lavoro, il divieto di accesso nei locali pubblici per chi aveva fatto scelte diverse. La politica, che dovrebbe rispecchiare la società, la volontà popolare, gli elettori non solo non ha rappresentato quella cospicua minoranza che si rifiutava di sottostare all’obbligo vaccinale ma è rimasta indifferente anche nei confronti dei malumori, dei dubbi, delle perplessità della maggioranza che razionalmente fra due rischi aveva scelto quello minore. Mentre i media, dal conto loro, invece di informare si preoccupavano di mantenere un clima di paura, di allarme, di tensione e di alimentare l’odio verso i non vaccinati e quanti si mostravano riluttanti a ripetere l’inoculazione secondo le direttive governative. Tutta la stampa e tutte le emittenti televisive, in prima linea il Secolo d’Italia, che nessuno legge, al fianco di Repubblica e con toni più o meno fermi ma concordi le altre testate, con la furbesca eccezione di quella diretta da Belpietro, si sono allineate al pensiero unico e hanno parlato con un’unica voce. E, al di là del merito, si è avuta la dimostrazione che con notizie accuratamente selezionate, con un’informazione ad hoc ripetuta ossessivamente l’opinione pubblica finisce per allinearsi anche lei, i malumori si smorzano, l’opposizione si dissolve.

Prove generali non di dittatura sanitaria ma di dittatura tout court. E se ne vede ora l’applicazione a un ben più grave contesto. Provvedimenti che in altri tempi avrebbero causato una sollevazione di massa sono passati senza un fiato di opposizione. Chi, dai media, aveva spalle abbastanza robuste da potersi opporre alle veline e alle minacce è stato allontanato. Non c’è una voce libera che trovi ospitalità sulla carta stampata o nelle televisioni. Fra le quali si distingue per zelo la berlusconiana rete quattro, che ospita il conformismo banale e dolciastro di Sansonetti e il triste tramonto di un Guzzanti che, se si fosse ritirato a godersi la pensione, non avrebbe distrutto in due settimane la sua credibilità di giornalista costruita in mezzo secolo. Tutti passacarte dell’informazione taroccata elaborata e filtrata dai servizi americani e dallo stesso balocco di Biden, che non sarà un vero statista ma è sicuramente esperto di fiction. Ma il dramma è che le persone, da una parte e dall’altra, muoiono per davvero mentre l’Ue, con l’Italia in testa, l’Italia che contava poco prima ma ora con Draghi non conta più nulla, getta benzina sul fuoco.   A dirlo sembra uno scherzo di cattivo gusto: speriamo nei turchi…

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