“Un Galantuomo re Umberto II di Savoia” Ultima puntata

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Umberto tornò a parlare agli italiani in un’intervista televisiva del 1976. Nessun accento polemico, ricordò soltanto che Carlo Alberto rimase in esilio tre mesi, “io trent’anni”, un nodo gli serrò la gola e con la mano fece cenno di non voler aggiungere altro.
Struggente rivedere quella testimonianza di un galantuomo che mai si macchiò di corruzione, di menzogna o di truffe, ma visse in maniera riservata il suo dovere di stato. Fu provato dal mondano sti- le di vita dei figli in gioventù, senza mai far mancare loro il proprio affetto di padre…
Si spense il 18 marzo del 1983 all’età di 79 anni nell’Ospedale Cantonale di Ginevra, con la parola Italia sulle labbra e tenendo tra le mani una scatoletta contenente una zolla di terra che una contadina italiana gli fece dono al momento della partenza per l’esilio. Il 24 marzo la sua salma trovò dimora nell’Abbazia di Hautecombe, in Savoia.
Per le sue esequie erano presenti diecimila persone, ma neppure un ministro italiano presenziò e la RAI non trasmise la diretta televisiva; l’unico segno di lutto fu portato dai calciatori della Juventus per volontà di Giovanni Agnelli.
Umberto II ha voluto che nella propria bara fosse riposto il sigillo reale, un grande timbro che si trasmette di generazione in generazione quale simbolo della legittimità nella linea dinastica; così facendo non passò nessuna consegna ai suoi eredi.
Questo sovrano signore, che non volle spargere altro sangue nella sua amata terra, ebbe una grande devozione per il Sommo Pontefice. Appena nominato Luogotenente (8 giugno 1944) rese omaggio a Pio XII; il 14 maggio 1982 incontrò Giovanni Paolo II a Fatima e al Papa donò, per volontà testamentaria, la Sacra Sindone.

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Fra le carte di Re Umberto II si rinvenne nella sua scrivania uno scritto di suo pugno, che riportava un passo della lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 4, 3-4), ricopiata in latino e tradotta in italiano: “Mihi autem pro minimo est ut a vobis iudicer (aut ab humano die). Sed neque meipsum iudico. Nihil enim mihi conscius sum: sed non in hoc iusticatus sum; qui autem iudicat me, Dominus est”, “Poco importa a me d’essere giudicato da voi (o da un tribunale di uomini…) né mi giudico da me stesso, poiché non ho coscienza di aver commesso alcunché; ma non per questo sono giustificato: mio giudice è il Signore”.

Michele Manzi

da A Civetta

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