Un commento al discorso di Napolitano

UN DISCORSO ALLA NAZIONE
Un commento al discorso di Napolitano: esempio di retorica “alta” nel triviale frastuono delle  retoriche “basse” del populismo al potere

UN DISCORSO ALLA NAZIONE
Un commento al discorso di Napolitano: esempio di retorica “alta” nel triviale frastuono delle  retoriche “basse” del populismo al potere
  

Non c’è futuro senza passato. Su questo credo che nessuno possa avanzare dubbi; ma non appena ci domandiamo quale futuro è più desiderabile per il popolo italiano, e, in particolare – come il Presidente della Repubblica ha tenuto a sottolineare nel suo tradizionale, ma non scontato, discorso di fine anno – per i giovani che guardano al loro avvenire con crescente e giustificata apprensione, le risposte sono tutt’altro che unanimi.

Certo, nessuno osa dissentire apertamente o criticare il quadro che Giorgio Napolitano ha delineato della società italiana e il suo forte e preoccupato richiamo alla responsabilità della classe politica in primo luogo – come già in altre recenti occasioni – e a tutte le componenti della vita economica ed istituzionale, e di ogni singolo cittadino: “ognuno deve fare la sua parte, guardare avanti con realismo e fiducia, cogliere l’occasione per uscire dall’abituale frastuono e da ogni calcolo tattico”; ma è evidente che il richiamo presidenziale riguarda soprattutto chi ha responsabilità di governo.

“Se non apriamo a questi ragazzi nuove opportunità, la democrazia è in scacco…….”, qui il Presidente evoca addirittura il pericolo di una incombente crisi istituzionale, crisi dovuta anche al crescente distacco tra classe politica e società civile, tra i cittadini elettori e la loro rappresentanza parlamentare, tra i problemi e i bisogni concreti del “popolo italiano” e le incomprensibili manovre e congiure di un Palazzo i cui inquilini sembrano aver smarrito, tutti presi dalle loro alchimie e dai loro giochi più o meno limpidi, il contatto con la realtà, anzi, con l’anima profonda del Paese.

Ma esiste ancora (e, verrebbe la tentazione di chiedere, è mai esistita) quest’anima? A chi parla, in realtà, il Presidente della Repubblica? A tutti gli italiani o solo a quelli che si riconoscono nella Costituzione nata dalla lotta di Liberazione dal nazifascismo? A tutte le forze politiche, o solo a quelle che considerano la Repubblica “una e indivisibile”? A tutti i cittadini, o solo a quelli che non “se ne fregano” delle istituzioni repubblicane e delle procedure giuridiche? A quale Italia parla il Presidente della Repubblica? “Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e senza coscienza del passato. Nulla può oscurare il complessivo bilancio della profonda trasformazione, del decisivo avanzamento che l’Unità, la nascita dello Stato unitario nazionale e la sua rinascita su basi democratiche hanno consentito all’Italia.” Nulla? Ne siamo proprio sicuri? Siamo sicuri che tutti gli italiani riconoscano – o addirittura conoscano – lo stesso passato?

E siamo sicuri che tutti gli italiani riconoscano nel “comunista” Giorgio Napolitano il loro Presidente? Ricordo che un autorevole (?) giornalista come Vittorio Feltri dichiarò , due anni or sono, di non considerarsi rappresentato da un ex dirigente del vecchio Partito comunista, che, in quanto tale, ha parteggiato per l’Unione Sovietica all’epoca della guerra fredda. Nondimeno il Presidente si dice “convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il valore dell’unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario come presidio irrinunciabile nell’era del mondo globale.” Si rivolge anche ai giovani padani che vagheggiano una nuova “Repubblica del Nord”? Ma quanti lo avranno ascoltato la sera di fine anno? No, temo che le alte e nobili parole del Presidente Napolitano siano destinate a cadere ancora una volta nel vuoto, anzi, nell’ “abituale frastuono” di chi ha orecchie per intendere solo i propri “calcoli tattici”. Per andare dove, non si sa.

Fulvio Sguerso

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