Un banchiere al timone

 L’Italia che Mario Draghi si appresta a governare è una nazione che deve affrontare, in comune con le altre, una vera mission impossible, come una mongolfiera che non riesce a levarsi da terra per la troppa zavorra. Una zavorra formata dai troppi debiti accumulati nell’anno del Covid sia dagli operatori economici che dallo Stato; e partendo da una situazione già molto compromessa. 

 

Missione compiuta! Si trattava della “esportazione della democrazia” in Iraq mediante bombardamenti e occupazione militare. Mi corre il confronto con l’illusione di domare la natura con sempre più tecnologia

 Draghi, come presidente della BCE, dovette affrontare una situazione simile nell’annus horribilis 2012 e nei seguenti, quando sembrava che l’euro fosse prossimo ad implodere. Oggi, fatte le debite proporzioni in peggio, è chiamato a gestire l’emergenza Covid, ossia, in estrema sintesi, un’economia con la marcia indietro e, di converso, la consapevolezza della minaccia ambientale.

Se durante la sua presidenza BCE seguì l’esempio del suo collega Ben Bernanke allaFederal Reserve americana, passato alla storia come l’uomo dell’helicopter money (coniato da Milton Friedman già negli anni ’60) in realtà né all’uno né all’altro il termine si addice, in quanto esso equivarrebbe a mettere in pratica la parabola semi-seria di John M. Keynes dello Stato che mette soldi in tante bottiglie per poi seppellirle e lasciarle riscoprire dalla gente

In realtà, sulla scia di Bernanke, Draghi ricorse al QE (Quantitative Easing), ossia al massiccio acquisto di obbligazioni e titoli di Stato, nonché all’abbassamento drastico dei tassi d’interesse, immettendo moneta di base nelle casse dello Stato e stimolando le banche a concedere prestiti abbordabili a famiglie e imprese. Il tutto allo scopo di far risalire l’inflazione in un’eurozona in ristagno economico e al tempo stesso di svalutare l’euro onde favorire le esportazioni. 

Il QE ebbe effetti tangibili negli USA, ma assai più contenuti in Europa, che tristemente seguì la strada più che decennale del ristagno economico del Giappone, anche per la riluttanza delle banche a concedere prestiti. L’altro tasto sul quale si sarebbe dovuto pigiare era la riduzione delle tasse, intesa come equivalente ad un’immissione di soldi nelle tasche di cittadini e aziende.

In sostanza, l’operazione anti-deflazione doveva essere condivisa da tutti i membri del team BCE-Banche-Governi, mentre fu un’operazione in solitaria della BCE, almeno in Italia. L’avvento del Covid non ha fatto che peggiorare questa situazione già sbilanciata, con l’aggiunta di un altro fattore a complicare le cose: la tardiva consapevolezza del problema ambientale.

A differenza dell’Italia ante-Covid, oggi i soldi non mancano, anzi non mancheranno, con 209 miliardi in arrivo dall’UE, ma soggetti a parecchie condizionalità, prima fra tutte, appunto, la tutela dell’ambiente. Di qui la proposta, avanzata dal M5S e fatta propria da Draghi, di creare un nuovo dicastero per la “transizione ecologica”. Un Ministero da far tremare le vene e i polsi a chi andrà a dirigerlo, dovendo coniugarla con il “partito del Pil”: sviluppo e ambiente, infatti, sono stati i due corni del dilemma sin dagli anni ’50; e il termine “sviluppo sostenibile” è sempre suonato come un ossimoro. 

 

Helicopter money. L’immagine rende l’idea di soldi creati dal nulla dalle banche centrali, come la BCE, con l’intento di stimolare i consumi dei cittadini, mentre sono finiti alle banche, simboleggiate dai grattacieli

Mi risuonano come una eco contrapposizioni del tipo “inquinamento o disoccupazione”, “sviluppo o miseria” et sim. Il Partito Verde, che si riproponeva di conciliare i due corni, si è purtroppo ridotto a tamponare a valle gli effetti di un’industrializzazione e di una cementificazione selvagge, la cui ricchezza prodotta era traducibile soltanto in soldi creati a spese del territorio e della salute della popolazione, per giunta con il corollario di attività malavitose che non hanno fatto che esacerbare gli esiti perniciosi di questa politica, frenata anche da una burocrazia il cui solo scopo era (ed è) quello di far incassare oneri di urbanizzazione ai Comuni, malati di cronica anoressia per i mancati contributi statali. Quanti Comuni hanno svenduto pezzi del loro territorio in cambio di soldi o di qualche campo sportivo o ripavimentazione di una strada? E quante plaghe hanno ricevuto il placet di tutti gli enti interessati per convertire una zona a pretta vocazione agricola in un mostro industriale, spesso poi chiuso per fallimento e lasciato andare in degrado, costituendo nei decenni a venire una bomba inquinante?

Il nuovo Ministero per la transizione ecologica e quello dello Sviluppo saranno come i due estremi di una coperta dove ciascuno tirerà dalla propria parte: quello dello Sviluppo con l’appoggio poderoso di industriali e sindacati, mentre l’altro, per sopravvivere, dovrà essere la versione verde dello Sviluppo. L’importante sarà creare lavoro e occupazione, in entrambi i Ministeri. 

Lo “spirito del tempo” in cui viviamo è quello di sopperire alla sostituzione dell’uomo con le macchine creando lavoro alternativo, col risultato invariato di procedere verso un mondo artificiale, dove a una foresta sarà più politicamente corretto sostituire un parco attrezzato, ad un lago o a una cascata il bacino di una diga, e così via. È così che si è venuto formando il concetto di “sviluppo sostenibile”, trascurando il fatto che ci attende il compito immane di smontare pezzo a pezzo tutte le filiere del nostro modo di vivere, che generano tutti questi artificiosi propositi.

 

Quando mastichiamo carne è come se masticassimo un pezzo di albero della foresta pluviale amazzonica. L’UE, che mira alla verginità ecologica in patria, ha minacciato di vietare l’acquisto di carne dal Sudamerica. Ma ai buoni propositi non sono seguite azioni concrete. La “Nuova Italia” di Draghi non potrebbe cominciare a dare il buon esempio? Quanti campi incolti in Italia attendono di tornare a produrre?

Prendiamo ad esempio il rapido passaggio, in pochi decenni, delle nostre abitudini alimentari dalla dieta normalmente vegetariana e solo saltuariamente carnivora a quella della “carne quotidiana”. L’impatto sull’ambiente di questa svolta a U è confrontabile con quello della pretesa di possedere ciascuno un’automobile. Non molti, infatti, collegano la bistecca nel piatto alla sua origine, in gran parte dovuta ad una lontana deforestazione in America del Sud, un semi-continente che svolge dal punto di vista alimentare dell’Europa la medesima funzione della Cina e dell’Estremo Oriente per quanto concerne gli articoli di uso domestico e industriale. 

 

 

Poggio Santa Cecilia (Siena): un borgo abbandonato, uno tra le migliaia sparsi per l’Italia. Quanti soldi del Recovery Fund potrebbero essere usati per ridare vita a questi borghi, non per farne magioni di ricchi turisti, ma per tornare all’originaria vocazione agricola? Le braccia per l’agricoltura non sono mai troppe

Il risultato di questa esternalizzazione della produzione ha reso l’Europa il continente più virtuoso, o meglio meno inquinante, del pianeta. Abbiamo semplicemente trasferito lo Sviluppo lontano da noi e ci sentiamo la coscienza (quasi) tranquilla (quasi perché non si contano i buchi nelle maglie verdi che Bruxelles continua a consentire, con entrambi gli occhi chiusi su pesticidi –vedi moria delle api-, OGM e tutta una serie di omissis in tema di regole ecologiche che le varie associazioni tipo Greenpeace non fanno che denunciare). Per non dire di veri e propri crimini, come lo sversamento di sostanze tossiche qui e là per la Penisola, di cui la Terra dei Fuochi è un esempio tutt’altro che isolato. Ecco, su tutti questi fronti, che gravitano o esulano dal territorio nazionale, che iniziative assumerà il nuovo governo? Siamo disposti a tagliare i rapporti diplomatici con nazioni, considerate “canaglia”, perché stanno barando sul nucleare o anche perché hanno torturato o ucciso un nostro connazionale. Giustamente. Ma perché si continuano invece a siglare contratti di importazione a zero dazi con nazioni, come il Brasile o la Cina, che devastano il pianeta con azioni i cui effetti travalicano i loro confini e ricadono su scala globale?  

 

 

Che per il nuovo Ministero per la transizione ecologica si sia scelto un fisico e tecnologo, e non un biologo o un ecologo, acuisce le mie perplessità circa un indirizzo ambientalista ancora dominato dalla presunzione di guardare alla natura come qualcosa da modificare al nostro servizio tramite la tecnologia

Ecco, sarà in base ai comportamenti, decisi, non i soliti diplomatici tentennamenti, che Mr Draghi e i suoi ministeri chiave assumeranno, che deciderò se questo nuovo governo sarà una vittoria o un’ennesima sconfitta del nostro derelitto ambiente.

E in quali modi il nuovo dicastero scoraggerà le aziende che non tengono i ricambi meccanici e digitali, costringendo gli utenti a buttare un’intera apparecchiatura nei rifiuti?

Governo a parte, sono anche i nostri comportamenti quotidiani, che devono andare nella direzione di consumare di meno, nel cibo, nell’abbigliamento, nell’uso dell’auto, del cellulare, ecc. 

Il successo del M5S, che aveva fatto dell’ambientalismo dall’alto il suo leit motiv, mi aveva fatto ben sperare. Fino alla graduale, crescente delusione al vedere ogni suo tema sopraffatto dal sempre vincente “partito del Pil”, ossia proprio quello che si applaude oggi, e che si ritiene incarnato proprio dal nuovo premier e dal neo ministro Giorgetti allo Sviluppo Economico. Come riuscirà a conciliare l’anelito dilagante di “tornare come prima”, di “uscire dal tunnel” col rispetto dell’ambiente? Sarà una sfida epocale: the millennium challenge.

Questa sfida parte dall’Europa; e sotto questo profilo sono un europeista anch’io: se aspettavamo che fosse l’Italia a farsi promotrice di un green deal, campa cavallo. Pur con le sue mancanze, di non poco conto, cui ho già fatto cenno.

 

Circa la sensibilità ecologica del governo uscente (e forse anche di quello entrante) si veda il progetto del Ponte sullo Stretto, indicato per “creare lavoro” e far risalire il Pil. Col plauso di mafia e ndrangheta.

Tra i vari propositi su come spendere i soldi del Recovery Fund, quello che più mi sconcerta è il progetto, mai morto, del Ponte sullo Stretto. Eh, i mega progetti sono quelli che piacciono di più alle grandi imprese, ai committenti statali e alle mafie: una greppia per tutti. Mi vien fatto di dire: prendete e mangiatene tutti, ma almeno che siano opere davvero di pubblica utilità, non cattedrali, spesso pure incompiute, create solo per dividersi dei soldi pubblici.

Ma torniamo alle altre azioni che Draghi, non più al timone monetario, può svolgere come Capo del governo, per alleviare la situazione drammatica di debiti alle stelle. Di soldi se ne intende.

Moltissime piccole e medie imprese, se non hanno già chiuso, si sono coperte di debiti per pagare almeno le spese più improcrastinabili. Il governo può alleviare le sofferenze: a) iniettando ristori in misura enormemente superiore a quanto sin qui fatto dal governo Conte; b) ridurre le tasse, non solo future, ma pregresse, arrivando fino ad un condono fiscale e contributivo di tutti i debiti esistenti. Infatti, ripartire gravati da pendenze antecedenti significa non ripartire affatto, considerando che il terreno sarà in erta salita prima di raggiungere l’altopiano della normalità.

Se la soluzione a) fa già parte del suo bagaglio personale come banchiere centrale, i condoni saranno certamente visti come fumo negli occhi, in sintonia con le sinistre, che li hanno sempre esecrati come “incoraggiamento all’evasione”, nonché con le banche stesse, che cessano di perseguitare i loro presunti debitori solo nei casi di comprovata usura e relativa sentenza di un tribunale. In assenza di un condono in stile giubileo, gli eventuali ristori, per quanto corposi, serviranno solo a pagare parte delle tasse: una partenza col freno a mano tirato.

 

Condivido in pieno la protesta contro i condoni edilizi in un’Italia preda dei signori del cemento. Ma ben diversi sono i condoni fiscali per chi è oberato da tasse e debiti, che più si accumulano e più impediscono di rialzarsi. Eppure, la remissione dei debiti fa parte della cultura millenaria sia degli Stati che delle religioni

Condono tombale per le piccole imprese e partite Iva

Salvo l’improbabile caso di ristori a livelli tedeschi, come possono cavarsela migliaia di PMI indebitate per il lungo mancato lavoro e far fronte alla costellazione di spese che si aggiungono in misura crescente a quelle di base, come affitti, stipendi, merce? Come si fa a lavorare con l’acqua alla gola, sotto la gragnola di solleciti, fino alle minacce, da parte dei creditori, specie i più impietosi, dal fisco all’Inps, dai rentier agli strozzini? Si abbia l’accortezza di discriminare i grossi evasori, che possono permettersi sedi fantasma in paradisi fiscali, come ad es. il Lussemburgo, [VEDI] dai piccoli evasori di necessità, che si trovano davanti al dilemma se mangiare o soddisfare il fisco. 

Guardiamo all’immediato: oggi, domenica, è san Valentino. Hanno addirittura accorciato di un giorno le 2 settimane di zona gialla per impedire che i ristoranti prendessero una boccata di ossigeno. E poi altre 2 settimane di zona arancione: una mazzata dietro l’altra. E a fine mese riprende il tam tam delle cartelle fiscali: su quali utili?

Il nodo ambientale

Sullo sfondo della moltitudine di tragedie economiche individuali si staglia un pianeta vivente che, per continuare a vivere, non chiede soluzioni tecnologiche, il cui prezzo è sempre incompatibile con la vita, ma l’instaurarsi concreto di un segno meno ai consumi e alla demografia. Sino a pochi decenni fa sapevamo come ridurre i consumi e gli sprechi; ma quella consapevolezza è andata persa con l’instaurarsi della società dell’usa-e-getta. 

 

Le due anime del M5S: il trasformista Di Maio e il “duro e puro” Di Battista. Simboli nello stesso partito di due visioni opposte, come evidenziato dal voto sulla piattaforma Rousseau: un partito spaccato in due

Al nuovo premier e al suo staff di ministri spetterà l’arduo compito di promuovere la società del risparmio, quindi della minor produzione di beni (col suo risvolto di meno lavoro e quindi maggior disoccupazione), in subentro alla società attuale, di cui ho già elencato una minima parte delle tare. Per un banchiere, abituato a vedere ogni cosa col cartellino dei prezzi, dai quali è sempre escluso il consumo dell’ambiente (il suo ecological footprint), ciò comporterà un cambio di paradigma a 360°, ancor più ostico per un over 70, quando la visione del mondo è ormai difficilmente rimodulabile. Riuscirà il nostro eroe a confermarsi salvatore di tutta la patria, e non solo della sua parte artificialmente produttiva?

 

  Marco Giacinto Pellifroni         14 febbraio 2021 

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