TRENT’ANNI FA TANGENTOPOLI
Giulio Andreotti campione inarrivabile di battute al fulmicotone sosteneva che i panni sporchi vanno lavati in casa. Ma si trattava appunto soltanto una battuta. Difatti non fu certo al riparo di un privatissimo elettrodomestico casalingo che si consumò la prima scossa della sconvolgente indagine di Mani Pulite diventata famosa col nome di Tangentopoli. In quel fatidico 17 febbraio 1992, ovvero il giorno esatto di trent’anni fa in cui tutto ebbe inizio, nel Paese si scatenò il terremoto che a un ritmo forsennato avrebbe travolto la classe politica mettendo fine al sistema delle mazzette, dei fondi neri e degli affari riposti, ereditato dalla Prima Repubblica.
Fatta eccezione per il crollo del Muro di Berlino che ridisegnò gli assetti usciti dalla guerra, mai prima di allora si era assistito nelle democrazie occidentali a un tale stravolgimento, a un tale repulisti che lasciò la Nazione percossa e attonita. L’impressione fu enorme anche all’estero. Adesso, trent’anni dopo il botto che fece saltare il coperchio del vaso di Pandora, la domanda delle cento pistole che ci si pone è di capire che cosa sia realmente cambiato nell’Italia di oggi rispetto a quella di ieri.
Ovvero se in chiave morale Tangentopoli sia veramente finita. Nel leggere le cronache d’attualità sui problemi legati alla corruzione il quadro che se ne ricava è come minimo in chiaroscuro.
Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori