Tra dubbi e certezze

 

Il prof. Pier Franco Lisorini ci prende per mano e ci conduce attraverso i meandri del pensiero umano per bocca dei suoi più rappresentativi esponenti: i filosofi. Naturalmente lo fa attraverso le sue proprie lenti, per cui, più che un compendio di filosofia, che sarebbe riduttivo pretendere di confinare in un volumetto di poco più di 200 pagine, si tratta di una visitazione di quelli che egli giudica i punti salienti della speculazione filosofica, in continua oscillazione tra “scepsi e mathesis”, come appunto titola il libro. Vista la vastità dell’argomento, anziché farne una recensione, esprimerò i pensieri che la sua lettura mi ha suggeriti, intervallati da alcune citazioni di supporto, in corsivo, riprese dal libro stesso. 

 

1509-11. Raffaello. La Scuola di Atene. Musei Vaticani. Al centro i due maggiori filosofi antichi, Platone e Aristotele, contornati dai fondatori di altre scuole, come Parmenide, Eraclito, Pitagora, Euclide. Grande assente è Pirrone, l’uomo del dubbio scettico, che mai avrebbe pensato di fondare una scuola, Lo scetticismo, suo malgrado, attraversò i secoli in forma quasi carsica, per erompere nell’era moderna, passando gradualmente dai circoli filosofici alla vita reale, col crollo delle certezze. Il nichilismo di oggi è il lontano figlio dello scetticismo tardo antico e convive con la matematizzazione estrema che governa ogni nostro gesto, atteggiamento e pensiero 

Se per mathesis vogliamo intendere la costruzione di sistemi appartenenti al regno della speculazione mentale, entro cui la matematica si propone come l’esercizio più prossimo alla “verità” (mentre le religioni rivelate pretendono di averla, ciascuna in esclusiva, e di imporla), la scepsi ne costituisce la visione opposta, essendo il regno della doxa, dell’opinione e del dubbio metodico, che per contro affonda le sue radici proprio in concomitanza col periodo d’oro delle poderose visioni sistematiche di Platone e Aristotele, che pur partivano dall’umile “so di non sapere” di Socrate. Mi riferisco allo scetticismo di Pirrone, che esortava alla sospensione del giudizio, in quanto non rientra nelle capacità dell’uomo esprimere giudizi certi, in qualsiasi ambito egli si trovi ad affrontare una scelta, sia comportamentale che attributiva. 

Sia attraverso l’età ellenistica che per tutto il Medio Evo, lo scetticismo fu succube del peso degli assolutismi, soprattutto di stampo dapprima misticheggiante, per l’influsso delle religioni, dapprima orientali, e poi cristiana, con una Chiesa che aveva teorizzato, attraverso i suoi Concili, il credo quia absurdum, per far accettare dogmi talmente lontani dalla comprensione da qualificarli come “misteri della fede”. Il “mondo del credere” e delle risposte fornite ancor prima delle domande ai possibili interrogativi dei fedeli, dominò quasi indisturbato per circa un millennio fino al suo ordinamento teorico nella scolastica, culminante nel tomismo: a Tommaso d’Aquino va riconosciuto il merito di aver dato forma all’edificio dottrinale in cui tutta la cristianità si doveva riconoscere, sempre comunque all’interno di una dottrina monolitica: un solo dio, una sola autorità, una sola verità, soprattutto come argine contro la minaccia islamica; fino a mostrare le prime crepe nel Trecento, in Italia attraverso le opere letterarie del Petrarca e del Boccaccio, i quali furono spettatori e partecipi del trionfo del profano sul sacro. […] Eppure, il primo avverte la presente incombenza del suo ‘duro avversario’, il diavolo, l’urgenza del pentimento e la vanità dei beni e delle occupazioni mondane; l’altro, in preda al rimorso, terrorizzato dalla prospettiva della dannazione, rinnega e vorrebbe bruciare la sua opera. 

 

Duemila anni separano questi due pensatori, accomunati dal disconoscimento di ogni autorità, filosofica il primo, religiosa il secondo

L’uomo tardo medioevale, insomma, non riesce a liberarsi dalle paure profonde instillate da una dottrina tanto monolitica quanto minacciosa e invasiva delle anime dei contemporanei. In Italia, per un risveglio senza più remore dal lungo indottrinamento della Chiesa, bisognerà aspettare ancora un secolo: il Rinascimento, che nasce col Quattrocento e si rispegne nel Cinquecento e Seicento, sotto i processi, le torture, le condanne e i roghi dell’Inquisizione, ultimo feroce tentativo di sopravvivenza della primazia del sacro sul profano, della Rivelazione sulla ragione. Tentativo che perirà a sua volta nel Settecento, con l’affermarsi dell’Illuminismo. Vale per l’effimera vivacità di pensiero quattrocentesca quanto Lisorini afferma a proposito di Scoto Eriugena, monaco e filosofo irlandese che in pieno Alto Medio Evo, nel IX secolo, tentò l’operazione inversa a quella in precedenza diffusa, tramite lo Pseudo Dionigi, di cristianizzazione del neoplatonismo. Nel suo fervore neoplatonico, infatti, egli “sostenne la superiorità di una concezione apofatica di Dio, quella che più tardi sarà chiamata teologia negativa”, che troverà nel cardinal Cusano, ossia mezzo millennio dopo, il suo più efficace assertore nel De docta ignorantia. Due secoli prima l’opera di Scoto fu condannata al fuoco da papa Onorio III. È la dimostrazione di quanto difficile e tormentato sia stato il riemergere dall’oscurità della cultura occidentale e di quanto sbagliata sia una ricostruzione lineare [progressista] della civiltà umana.

Il Quattrocento fu un secolo davvero “anomalo”, schiacciato tra gli ultimi rantoli del Medio Evo e la sua violenta restaurazione (la Controriforma) ad opera di una Chiesa che, già al suo sorgere, aveva mostrato di far propri i metodi coercitivi dei suoi precedenti persecutori, con la barbara esecuzione dell’ultima filosofa e scienziata pagana, Ipazia. 

Fuori d’Italia, invece, il freno della Chiesa fu assai meno incisivo, tanto da assistere, già nel Trecento, in contemporanea alla timida primavera italica dei due letterati sopra menzionati (coetanei di Dante, uomo ancora tutto medioevale), ad una crisi del pensiero unico, con Guglielmo di Ockam, che minò dalle fondamenta l’edificio scolastico, segnando così la crisi del Medio Evo. Egli attaccò il principio di autorità, la concezione del principato come braccio secolare della Chiesa, la pretesa di farsi garante della salvezza, in sostanza la fine della teocrazia mediante il potere assoluto esercitato dal clero sulle coscienze. Privata di questi scettri, la Chiesa si riduce ad un semplice principato laico, che trae il potere solo dalle sue armi, anziché dal soggiogamento delle anime. Ockam rivendica i limiti della conoscenza umana, racchiusa entro l’orizzonte dell’esperienza, sulla scia di Ruggero Bacone. Inoltre, sia pure su base meramente speculativa, attacca tutta la concezione dello spazio come realtà assoluta, con un unico centro e coordinate spaziali fisse, riallacciandosi alla definizione di Dio, poi estesa all’universo, esposta nel XII secolo sul misterioso trattato sapienziale “dei xxiv filosofi”: sphaera infinita cuius centrum est ubique, circumferentia nusquam (sfera infinita col centro ovunque e la circonferenza da nessuna parte): criterio ispiratore di una corrente di pensiero, di derivazione boeziana, in cui spicca Alano di Lilla, “che ambiva a costruire una teologia scientifica come sistema di proposizioni tendenzialmente dotato di coerenza interna e rigore formale.” [VEDI] Un tentativo in più, eludendo il principio dell’indefinibilità di Dio, proprio della teologia negativa, di suggerirne una similitudine alla ragione umana attraverso l’astrazione geometrica delle sfera infinita e del punto senza dimensione, e di coniugare religione e scienza: un connubio impossibile nel caso delle religioni rivelate mediante supposti incontri (o immedesimazione) tra un profeta e Dio.

 

Più di duemila anni passano tra questi due filosofi scienziati: Ipazia e Niccolò Cusano. Perseguitata fino all’assassinio dai cristiani la prima; scampato al rogo inquisitorio il secondo grazie all’esser uomo del ‘400

Vorrei tornare su Niccolò Cusano, che Lisorini ricorda proprio per la sua apertura verso la nuova astronomia copernicana, che “declassa” la Terra da centro dell’universo a corpo celeste qualsiasi, uno fra tanti, ciascuno ruotante attorno al proprio sole, per aggiungere che Cusano si distinse anche per l’apertura verso altre religioni, in specie quella islamica, nell’ottica di una tolleranza reciproca, considerando ogni religione come una strada diversa verso un unico Dio. Questo atteggiamento conciliante, irenismo (dal greco ερήνη «pace»), anticipò l’attuale ecumenismo, entrambi tesi a smussare le differenze dottrinali, madri di innumerevoli guerre di religione. Con lo stesso spirito accomodante, il Quattrocento assistette al poderoso sforzo di riunire la religione ortodossa e quella cattolica, dopo lo Scisma d’Oriente del 1054. Uno sforzo che sembrò dare il frutto sperato nel Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-39, pur restando poi, di fatto, lettera morta. 

Questo evento ebbe tuttavia il merito di avvicinare una schiera di dotti bizantini in Italia, con tutto il loro bagaglio platonico e aristotelico, ma anche con le incrostazioni di una letteratura tardo-ellenistica di tipo mistico-sapienziale, miscela di pitagorismo, cabala ebraica, gnosi e altri filosofi esoterici. Aggiungo la presenza, tra i dotti bizantini, del filosofo platonico Gemisto Pletone, le cui idee fecero enorme impressione sulla cultura del tempo. Pletone predicava un ritorno alla prisca sapientia dei grandi pensatori attraverso le epoche: da Zoroastro ad Ermete, Orfeo, Pitagora, Solone, Platone, Plotino e i suoi discepoli, sbarazzandosi sia del cristianesimo che dell’islamismo, con un ritorno al paganesimo. In sostanza, un tardo revival dell’imperatore Giuliano l’Apostata. Si trattava di prendere atto che le religioni pretendono ciascuna di fornire la verità; e poiché la Verità proclamata non può che essere una, ciascuna guarda all’altra come deviante e i suoi seguaci come infedeli. Bastava poco per passare agli scontri, che in effetti non mancarono. 

Posizioni concilianti come l’irenismo solo il Quattrocento era capace di tollerarle: un secolo dopo sarebbero finite sotto il torchio di Torquemada e giustizieri suoi pari. Non diversamente sul versante opposto, allora come oggi, intollerante e violento.

Lo spazio di un articolo mi impedisce di proseguire oltre in questo mio contributo se non accennando per sommi capi dove la demitizzazione della religione cristiana è andata a parare, fornendo l’ennesima dimostrazione che la storia procede in un’alternanza dei contrari, cosicché oggi ci troviamo in una situazione sbilanciata, con il mondo islamico rimasto fondamentalista e quello cattolico svuotato dei suoi dogmi e quindi con una religione ridotta a un misto di etica, politica e affarismo, sacre liturgie e secolarismo. L’Illuminismo, partito come lecita critica di un potere ecclesiastico che pretendeva di dettar legge sia al cittadino che alla sua anima, arrogandosi il ruolo di mediatore con la divinità, ha finito col trasferire quello stesso ruolo alla scienza e, oggi, alla tecnologia, passando per il positivismo ottocentesco e lo scientismo novecentesco.

L’ardore scientista di un Francesco Bacone, la sua incarnazione in uomini della levatura di Newton e Leibniz, trovarono riscontro nei risultati pratici che il capitalismo seppe trarre dalle loro scoperte tramite i progressi della tecnica, a partire dalle macchine a vapore del primo Ottocento, e ingenerarono un clima di entusiasmo crescente e di fede nei nuovi angeli in camice bianco al servizio dei nuovi dei: dai padroni degli opifici di ieri ai finanzieri in doppio petto di oggi.

 

 

Newton e Leibniz, due scienziati matematici del ‘600, rivali sulla paternità del calcolo infinitesimale: il salto qualitativo che permise di determinare area e volume di figure tonde, con una precisione piccola a piacere, ma non nulla. Nelle operazioni di integrazione e di passaggio al limite una quantità variabile procede verso una quantità fissa, senza mai raggiungerla, così come π sfugge ad una razionale definizione numerica

Eppure, qualcuno aveva preconizzato molto in anticipo in quale tipo di società saremmo finiti: Thomas Hobbes col suo Leviatano, pubblicato nel 1651: uno Stato che, col pretesto della nostra sicurezza, utilizza la raffinata tecnologia informatica per schedarci tutti, sostituendosi al confessore di un tempo, col disvelamento ad oscuri burocrati di ciò che avrebbe dovuto restare in interiore homine. D’altronde, l’uomo-massa così forgiato è ben felice di aprire la propria intimità sia nella casa aperta dei reality che nei salotti televisivi di Maria de Filippi.

Nel clima imposto dall’odierno stile di vita, che impedisce il raccoglimento, l’attitudine a stare in compagnia di se stessi, per conoscersi meglio attraverso la meditazione e lo studio, siamo sommersi dalla quantità di informazioni provenienti dalla televisione che entra in tutte le case nei momenti di maggiore recettività, che sono anche quelli in cui sarebbero possibili raccoglimento e ritiro entro le mura domestiche. Preclusi da un regolare incontro con il proprio io e plasmati da un ossessivo flusso di informazioni, il dissenso diventa qualcosa di malvagio, deviato, da curare o eliminare, il traguardo è quello del riallineamento, è il trionfo del conformismo e del pensiero unico. In questo scenario non c’è posto per la filosofia. 

Così conclude il suo libro Lisorini, al quale vorrei aggiungere un mio commento, pure conclusivo: oggi possiamo dire di essere riusciti nell’ardua impresa di far convivere scepsi e mathesis, entrambi presenti in questa civiltà che alberga un entusiasmo infantile per le realizzazioni della scienza + tecnologia, sotto l’ombrello matematizzante, insieme al disincanto, al nichilismo, al disprezzo per ogni valore fondante di ogni società degna di chiamarsi civile. Eppure, condannare senza appello nichilismo e scetticismo equivarrebbe a gettare il proverbiale bambino con l’acqua sporca, come non si stancava di ripetere il prof. Giorgio Girard, da poco scomparso, a partire dal suo “Psicologia debole”, sulle orme di Jung, Hillman, Heidegger, Vattimo. 

 

Lo stile di vita Amish sembra indicare una risposta esterna al dilemma tra scepsi e mathesis [VEDI]

Io stesso vivo questa contraddizione, in quanto vivrei malissimo l’ipotetica mancanza di computer e cellulare, pur essendo ben consapevole (come espresso nel mio scorso articolo [VEDI]) dell’offesa ambientale che sta dietro entrambi. Ho rinunciato alla TV e all’automobile, per coerenza, ma non si riesce ad essere uomini totalmente al di fuori del proprio tempo. Guardo con un misto di ammirazione e di perplessità gli Amish, [VEDI] che si sono fermati alla civiltà pre-illuminista, resistendo alle seduzioni della modernità, ma avvalendosi con criterio e parsimonia delle sue conquiste più irrinunciabili, specie in campo medico. Hanno trovato il modo di salvare le regole di una vita sana e semplice, con un’oculata accettazione di quanto la modernità può offrire, senza stupide rinunce ideologiche. Sono forse l’unico esempio concreto di risposta alla domanda che mi sono posta tante volte: se non sia possibile tenere solo la parte positiva delle conquiste della scienza e scartare quelle nocive. 

P. S. Mi piacerebbe approfondire altri punti del libro di Lisorini, in particolare dove parla degli “scienziati filosofi”, seguendo l’onda della mia formazione classico-scientifica. Se quanto sopra susciterà sufficiente interesse, potrebbe costituire l’inizio di un proficuo scambio di idee, portando temi “alti” dalle riviste specializzate alla comprensione della gente.

  

Marco Giacinto Pellifroni         21 marzo 2021 

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