Libertà e responsabilità (Quarta parte)
LIBERTA’ E RESPONSABILITA’ IV
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LIBERTA’ E RESPONSABILITA’ IV
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Chi sono gli irresponsabili? Possiamo essere tutti noi quando ci dimenticassimo che al mondo non ci siamo solo noi con i nostri problemi piccoli o grandi, con la nostra “personalità”, i nostri interessi, i nostri gusti e disgusti e la nostra volontà di potenza; quando ci dimenticassimo che i nostri pensieri, le nostre parole parlate o scritte, i nostri atti e i nostri gesti e, insomma, il nostro comportamento e le nostre idee non riguardano solo noi ma tutta l’umanità presente e futura; quando ci dimenticassimo che la nostra libertà non è illimitata ma finisce (o dovrebbe finire) nel punto esatto in cui comincia quella degli altri o danneggia la società nel suo insieme, altrimenti non si tratta più di libertà ma di arbitrio e di prevaricazione; quando ci dimenticassimo che noi tutti potremmo diventare dei banali burocrati del male come Adolf Eichmann se abdicassimo alla nostra responsabilità di esseri umani obbedendo a ordini criminali; quando ci dimenticassimo che ciascuno di noi non ha solo diritti ma anche doveri verso se stesso e verso il prossimo presente e futuro; quando ci dimenticassimo che le risorse naturali non sono illimitate e che l’aria, l’acqua, la terra, il sole, il sottosuolo, le piante e gli animali non rappresentano soltanto beni da sfruttare e da consumare a nostro piacimento; quando non riconoscessimo i nostri errori, le nostre colpe, le nostre precise responsabilità imputando sempre a qualcun altro la causa dei nostri guai, come se, prima o poi, non dovessimo rendere conto di quello che abbiamo detto o non detto, scritto o non scritto, fatto o non fatto se non altro alla nostra coscienza (se ne abbiamo una). Il fatto certo è che se siamo arrivati a questo punto di caduta e a mettere persino a rischio la sopravvivenza stessa della vita su questa terra, al di là della pandemia e pur a fronte delle mirabilie tecnologiche e dell’allungamento della vita media (almeno nella nostra parte di mondo) la responsabilità è di tutti noi, a cominciare of course dalla classe dirigente e in particolare politica e scendendo giù giù per li rami fino all’ultimo degli impiegati “di concetto”, del netturbino più innocente e, con rispetto parlando, del più ignaro scaricatore di porto. Una categoria particolarmente odiosa di irresponsabili è quella dei cosiddetti cyberbulli che prendono di mira vigliaccamente i più deboli o qualche ingenua ragazzina, in alcuni casi spingendola al suicidio. C’è da chiedersi come questi cyberbulli incoscienti possano dormire la notte. A quanto pare dormono benissimo dal momento che si sentono protetti dall’anonimato e dal tacito consenso dei tanti leoni da tastiera che scagliano le loro pietre canagliesche contro il nemico di turno nascondendo la mano, come è accaduto nei confronti del Presidente Sergio Mattarella reo, secondo i suoi detrattori, o meglio, i suoi hater, di non aver sciolto la Camere e indetto elezioni politiche anticipate, solo per impedire la sicura vittoria di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Ebbene, non nascondo la soddisfazione che ho provato nel leggere su La Stampa del 12 marzo 2021 che ci sono dieci leoni da tastiera indagati per gli insulti e le minacce al Presidente della Repubblica. Chi sono? “Gli indagati hanno un’età compresa tra i 45 e 61 anni e sono quasi tutti antieuropeisti, populisti, simpatizzanti della destra estrema, qualcuno addirittura con un passato in Forza Nuova”. Costoro dovranno rispondere davanti a un giudice del loro comportamento da irresponsabili che non hanno nemmeno la scusante della minore età (neanche di quella mentale). “Il materiale informatico sarà ora attentamente esaminato proprio per accertare il sospetto di un’unica rete sovranista… Inquirenti e investigatori hanno scoperto che gli hater sono persone esaltate che portano avanti teorie no-vax e antieuropeiste e che durante il lockdown nazionale hanno utilizzato il web come megafono per contestare le misure adottate per il contenimento della pandemia”. Questo è quanto. Confesso che sto aspettando di provare una soddisfazione analoga, ma con implicazioni etico-valoriali ben più coinvolgenti anche dal punto di vista emotivo, alla notizia che sono stati individuati gli hater – sulla cui matrice politica e ideologica non possono sussistere dubbi – della senatrice a vita Liliana Segre, divenuta l’obiettivo di un odio ignobile e razzista a causa della sua esperienza di sopravvissuta alla Shoah e della sua instancabile opera di testimonianza contro la bestia immonda del nazifascismo che, malgrado le tesi dei negazionisti e degli irresponsabili minimizzatori e banalizzatori di complemento, non è ancora sepolta e si aggira tuttora per la civile Europa e per l’America. Purtroppo, leggendo le cronache dei quotidiani e guardando i telegiornali, si ha l’impressione di essere circondati più da irresponsabili che da responsabili; prendiamo le indagini sulle responsabilità del crollo del ponte Morandi a Genova, quello che sta emergendo è l’agghiacciante e criminale irresponsabilità di chi era tenuto a controllare la stabilità e la sicurezza di quel viadotto che da tempo dava segnali di cedimento. Anche qui, quei tecnici che addomesticavano le perizie per motivi di interessi aziendali e, in definitiva, di lucro, sotto gli occhi distratti dei dirigenti dell’azienda che gestiva (e gestisce tuttora fino a prova contraria) le autostrade italiane, solo preoccupati di non perdere un solo euro dei loro ingenti profitti, come potevano dormire la notte? Potevano dormire sonni tranquilli nella misura in cui credevano di non dover mai rendere conto a nessuno del loro agire fraudolento. Nemmeno alla loro coscienza, dal momento che alla coscienza hanno sostituito il profitto, con buona (si fa per dire) pace tanto dell’etica dei principi quanto di quella della responsabilità delineate da Max Weber nel saggio Tra due leggi del 1916. Questo è il punto: una volta venuti meno i principi etici universali che distinguono gli esseri umani dai bruti (cfr. Dante, Inferno, XXVI, vv. 118-120) tutto è permesso, come anche afferma Ivan Karamazov a proposito dell’assenza di Dio. Max Weber L’irresponsabilità dilagante che caratterizza l’attuale società definita, appunto,” liquida” dal sociologo Zygmunt Bauman, per significare non solo il disincanto nei confronti di quei valori in cui ancora credevano i nostri padri, capaci di combattere e di morire in nome dei loro ideali di fratellanza, di umanità, di giustizia, di libertà da e di libertà di, secondo la distinzione richiamata da Norberto Bobbio nella voce Libertà scritta per l’ Enciclopedia del Novecento nel 1978, ma proprio l’indifferenza nei confronti di qualsiasi ideale, viene messa in relazione dalla filosofa Elena Pulcini all’appannarsi delle “passioni empatiche” come il senso di colpa, il rimorso, la pietà e la vergogna: “La vergogna, quella passione che insorge di fronte al timore del giudizio dell’altro, è oggi quasi del tutto scomparsa, si tende a scaricare l’onere su altri o a denegare qualsiasi coinvolgimento, o addirittura a rivendicare i comportamenti più turpi, spacciandoli per legittimi. Eppure la vergogna, l’ammissione di una colpa sarebbero il segnale del senso di responsabilità e il primo passo verso la possibilità di riparazione del male” (Responsabilità, sul sito online Doppiozero, 13 marzo 2016). Hans Jonas Altro che, come raccomanda Hans Jonas nel Principio responsabilità (Das Prinzip Verantwortung) del 1979, essere responsabili significa non solo prendersi cura del prossimo attuale ma anche del prossimo che verrà dopo di noi: responsabilità significa prendere coscienza dei rischi che corre l’umanità proprio a causa del mito del progresso illimitato e del potere di una tecnica fine a se stessa che, come nell’apologo dell’apprendista stregone, potrebbe sfuggire di mano e da serva potrebbe diventare padrona di chi l’ha creata, e invece di consegnare un mondo migliore alle future generazioni prepareremmo loro un mondo in cui le macchine intelligenti solleveranno gli umani da ogni responsabilità decisionale politica, militare, economica e medica; anche questo à prendersi cura non solo di noi stessi e dei nostri cari ma dei diversi e dell’altro da sé. Il nuovo imperativo categorico secondo Jonas è questo: “Agisci in modo tale che gli effetti delle tue azioni siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”. Il che significa non subumana ma nemmeno superumana. Per Jonas l’umanità non ha bisogno di superuomini ma di esseri umani coscienziosi, solidali e responsabili. Prima che se ne perdano le tracce. |