Telefonami tra vent’anni, Ministro: se nel frattempo avremo ancora voglia di parlare
Telefonami tra vent’anni, Ministro: se nel frattempo avremo ancora voglia di parlare
Quando Lucio Dalla scriveva “Telefonami tra vent’anni / Io adesso non so cosa dirti”, forse non immaginava che un giorno un ministro dell’Istruzione avrebbe preso alla lettera quelle parole, provando a silenziare un’intera generazione in nome dell’educazione. Eppure, la notizia è chiara: Giuseppe Valditara vuole vietare i cellulari anche nelle scuole superiori, persino per uso didattico. Non solo: auspica anche il divieto d’accesso ai social sotto i 15 anni.

Il Ministro Valditara
L’Italia che vuole educare togliendo la parola è la stessa che, trent’anni fa, non capiva come parlare con i propri figli. E oggi, anziché trovare una lingua comune, decide di spegnere tutto. Il telefono, appunto. Ma come cantava Dalla, “Forse è solo un po’ di nostalgia / Per quello che non abbiamo vissuto mai”. Forse è proprio questo il punto: il ministro confonde l’educazione con la rimozione, la crescita con l’isolamento.

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Certo, il problema c’è. I dati lo confermano: 700 mila adolescenti dipendenti da social e videogiochi. Ma la risposta non può essere il silenzio coatto. Sarebbe come chiudere le scuole perché gli studenti sono ignoranti. Una generazione iperconnessa non si disintossica togliendole la presa, ma insegnandole a usarla. “Ma come fai a capire se non hai neanche un ricordo?”, chiedeva Lucio. Ecco: come si può insegnare la consapevolezza se si priva l’esperienza?
Il paradosso è che Valditara non vuole solo vietare lo smartphone in classe. Vuole escluderlo anche per scopi didattici. Ma allora il problema non è il telefono: è la sfiducia nel corpo docente. È il sospetto che nessuno, nemmeno l’insegnante, sia più in grado di distinguere tra distrazione e strumento educativo. È come se la scuola dichiarasse fallimento nel suo compito principale: guidare, non proibire.
E poi c’è il nodo dei social. Proibirli sotto i 15 anni è un’operazione che parte da una giusta preoccupazione, ma si muove come un bulldozer giuridico in un campo di fragilità psicologiche. Non basta alzare muri digitali: bisogna costruire ponti relazionali. “Telefonami tra vent’anni / E magari ci ridiamo sopra”. Ma ridere di cosa, se spegniamo la luce prima ancora di aver guardato in faccia il disagio?
Infine, il ministro parla del docente che ha minacciato la figlia della premier e lo definisce “incompatibile con l’insegnamento”. Su questo non c’è discussione: la violenza è sempre da condannare. Ma c’è una coerenza da mantenere. Se la scuola deve essere palestra di responsabilità, allora servono esempi alti, non solo punizioni esemplari. “Non è colpa mia / Se quando parli sembri stanco / Se quando ridi sembri finto”. Anche questo Dalla lo aveva capito: i ragazzi non credono più agli adulti che parlano con superiorità ma senza autenticità.
Il rischio, così facendo, è che tra vent’anni nessuno richiami. Che quella telefonata non arrivi. Perché avremo tagliato ogni filo prima ancora che potesse diventare cordone ombelicale tra scuola e vita, tra adulti e ragazzi. La scuola, oggi, dovrebbe insegnare a parlare – anche online – non a tacere. Dovrebbe mostrare la via dell’uso consapevole, non della censura preventiva.
E allora, Ministro, ci sentiamo tra vent’anni. Sempre che nel frattempo i nostri figli abbiano ancora qualcosa da dire. E qualcuno disposto ad ascoltarli.