La favola mia
Due, tre anni? No, forse cinque o sette, quando si comincia a capire di più. Ma perché proprio a quell’età? A dieci sei già “troppo grande”?
E ti dicono:
«Alla tua età ancora ti fai raccontare le favole?».
Dalla mamma, dal papà, dai nonni, dagli zii, dalla baby-sitter… o da chi altro?
La verità è che non esiste un’età delle favole, perché le favole sono la fantasia positiva della vita.
Nell’infanzia aiutano a fare la nanna.
Nell’adolescenza a rilassarsi.
Nell’età adulta, a tornare bambini.
Oggi però le favole viaggiano via Bluetooth, con l’iPhone nel passeggino, perché non si ha più tempo.
Oppure si fa dell’altro.
E pazienza se, proprio nel momento in cui la fiaba descrive un sentiero nella foresta, parte la pubblicità di “Gioca Responsabile”, della Wind o di Spotify.
Una volta si diceva (e si dice ancora):
«Mio figlio ha già smesso di credere alle favole…».
E ha le chiavi di casa già in seconda elementare.
Così quando rientra sa già cosa deve prendere dal frigo, perché alle 14 ha palestra. E lì c’è quello figo.
Altro che favole d’Egitto.
Se nomini Hansel e Gretel, Biancaneve o Cenerentola, con aria orgogliosa ti rispondono:
«Ma sono nomi che non fanno tendenza… chi sono?
Mamma, ma c’è una storia su Instagram su di loro?
O sono quei libretti sul cassettone che pensavo avessi già messo su Vinted o Wallapop, sperando di farci dieci euro… in tutto».

PUBBLICITA’
Eppure la parola “favola”, o “fiaba”, è stata tra le più usate nelle canzoni per decenni, e non stancava mai.
Perché nelle favole c’è tutto: le verità non dette, i sogni, i misteri, le curiosità, le avventure, i colpi di scena, personaggi affascinanti.
Un universo che, nel luogo protetto della nostra fantasia buona, trova sempre una collocazione sana e pacifica.
Senza bisogno di passare al livello successivo o di staccare la testa al nemico virtuale per rendere il gioco “adrenalinico”.
Un anziano maestro del mio quartiere popolare diceva sempre:
«Non abbiate fretta, non bruciate le tappe.
Se avete già letto Topolino o Pluto, non passate subito a Eva Express o Cronaca Vera che legge la mamma.
Rileggetevi Paperino del mese scorso: sicuramente c’è qualcosa che vi è sfuggito.
E non togliete le rotelle alla bici dell’amichetto solo perché “a sei anni ormai è ridicolo”…
Cercate piuttosto di tenerle anche voi, se lui ne ha ancora bisogno: è questo che fa un vero amico».
E quante volte, nelle favole, trionfa l’amicizia e la solidarietà?
Tante.
Quasi tutte.
Quasi sempre.
Sarebbe meraviglioso poter leggere una favola a chi non ha avuto nessuno che gliela raccontasse, e tornare indietro nel tempo per rileggerla insieme ai nonni.
Magari addormentarsi un po’ più tardi, solo per godersi ancora un po’ la loro voce, il loro sguardo.
In certe favole è custodito il passato.
E tanto del futuro è già lì, descritto con dolcezza, senza violenza, rancore, rabbia o vendetta.
Le fiabe contengono alcune delle frasi più vere, autentiche e toccanti della vita.
Nei “C’era una volta” c’è l’interesse sincero, la voglia di leggere, il piacere dell’ascolto.
Senza notifiche, senza beep, senza urgenze.
E quel «vissero tutti felici e contenti», che oggi sembra una bugia, era invece – nei secoli – il più sincero e coraggioso messaggio di speranza.
Un messaggio che nessuno dei potenti del mondo oggi sembra voler ascoltare.
Forse, tra gli aiuti umanitari, dovremmo cominciare a spedire anche pacchi di libretti di favole ai bambini feriti sotto le bombe, che magari non potranno nemmeno leggerli.
In Cappuccetto Rosso c’è la bambina, che rappresenta l’umanità.
La nonna, che rappresenta la sicurezza.
E il lupo, che rappresenta la paura.
Ma oggi?
La nonna è a ballare latino americano.
La bambina è su TikTok.
E il lupo non ha più i denti aguzzi e le orecchie lunghe.
È vestito alla moda, ha un lavoro.
E quindi, automaticamente, è ritenuto “bravo”.
Anche se è troppo presto per una relazione, anche se “i tuoi anni sono pochi per pensare al futuro”.
Come cantava Antonello Venditti: “I tempi sono questi”.
Tutto è una corsa per vedere se il mio video ha più like del tuo.
E quel vecchio libretto di fiabe lo usiamo per sollevare il telefonino mentre mangiamo.
O come spessore per il computer.
Sarebbe bello, un giorno, poter tornare bambini veri, non “superdotati virtuali”.
Con la scusa di essere “nativi digitali”.
Dare un vero senso di pace alle parole.
E allora, prima di dormire, pensate a una delle frasi più belle del mondo delle favole.
Quella del film Balto, ispirato a una storia vera.
Una bimba gravemente malata, la tormenta di neve, un farmaco a cento chilometri di distanza.
I protagonisti sono i cani.
E il narratore dice:
«Un cane non può fare un viaggio come questo. Morirebbe.
Ma forse un lupo… ce la può fare».
E così il lupo – lo stesso lupo sempre dipinto come “il cattivo” – compie il miracolo.
Perché nella vita, a volte, il vero bene arriva da chi non ti aspetti.
E i cattivi del mondo, quelli veri, non smentiscono mai la loro indole. Anzi, la peggiorano. Ogni giorno.
E allora quel “vissero felici e contenti” sembra impossibile.
E la nostalgia di un abbraccio rassicurante si fa più forte.
Quello della persona cara che, con una fiaba e una luce soffusa, anche nei momenti più bui, spingeva la notte un po’ più in là.
Fino a vivere – davvero – una favola.