Tagliano le gomme ai fungaioli

Tagliano le gomme ai fungaioli

 

Tagliano le gomme ai fungaioli

Con grande evidenza la stampa locale ha reso noto l’atto di vandalismo avvenuto ai danni di cercatori di funghi in un paese della Val Bormida. Pare che siano state lacerate le gomme a diverse auto lasciate parcheggiate nella prossimità di boschi e prati, luoghi stagionalmente battuti dagli appassionati di porcini e ovuli.

Certo che partire con l’idea di passare una bella giornata all’aria aperta, magari con il sogno di un buon piatto di tagliatelle ai funghi, e ritrovarsi poi ad aspettare il carro attrezzi è una cosa che metterebbe di cattivo umore chiunque. Tanto più che oggi ci si munisce di tesserini appositi, cestini adatti, stivali e tutto quel che la legge regionale prevede circa la raccolta dei funghi. Ci si sente insomma dalla parte della ragione, o perlomeno dalla parte della legge. In conseguenza di ciò il sentimento che si deve provare verso chi ci taglia le gomme deve essere come minimo la biblica “ira dei mansueti”, da cui si dice appunto sia meglio guardarsi… Ma cosa induce persone tranquille e oneste per tutto l’anno a trasformarsi in biechi sabotatori?


Forse i cittadini fanno fatica a comprendere la campagna, e la cosa è reciproca. Chi vive in città è inserito in un reticolo evidente di diritti e doveri, di individualismo opportuno, di confini netti tra Casa Propria Privata e Resto del Mondo Pubblico. In campagna “casa propria” è una vasta area, un territorio che va al di là dei confini catastali. In ogni caso i funghi sono un prodotto prezioso e non coltivato, per cui non richiede fatica, dedizione, concime, recinto, irrigazione. È un frutto spontaneo, nasce su terreno privato, ma è di chi lo prende. Momento… Non è che sia proprio così: il fungo nasce sempre nei “suoi” posti, che sono costiere, chiaggie (dal latino medievale plagia, pendio, costa di monte) o tagliate, non sono boschi selvaggi, non sono le foreste dello Yosemite National Park. Saranno 3000 anni che gli uomini solcano questi boschi, coltivandoli. All’occhio cittadino il bosco è bosco. Di quale distinzione abbisogna un insieme di alberi d’alto fusto? E invece ce ne sono molte distinzioni. Vorrei solo dire che il bosco “coltivato”, tagliato con cadenza ventennale, curato, ha certe caratteristiche, diverse dal bosco selvaggio e naturale. Al cittadino piace il bosco coltivato, con l’erbetta, i passaggi ampi e comodi tra le piante, sentieri e strade.


Ad alcuni piace il bosco selvatico, naturale (si vedano le posizioni dell’associazione Wilderness, propugnatrice di un ritorno al bosco SENZA l’uomo). Fatto sta che il bosco coltivato è reso tale da una frequenza antica, da un lavoro diuturno e faticoso, che ora si va perdendo per motivi di convenienza economica. Ma quel bosco è molto più che “proprietà privata”. Questo bosco è “nostro”, è del paese, della gente del posto, che lo conosce e lo frequenta, e con cui ha un rapporto di scambio che dura appunto da secoli. I frutti spontanei, in quest’ottica, non sono poi così spontanei. E se riportiamo tutto a qualche decennio fa, parlando coi soliti vecchi, scopriamo che pochissime erano le occasioni per fare entrare in casa del denaro contante, con cui comprare vestiti, zucchero, fiammiferi, o (dio non voglia) medicine. Una di queste occasioni era la nascita dei funghi. Ogni cercatore aveva i suoi posti, ogni famiglia aveva (o meno) la fama di grandi fungaioli, e ognuno aveva i suoi canali di vendita preferenziali. I funghi erano un pezzo di libertà, di gusto, di evasione da una vita dura. Ecco dunque il senso atavico di deprivazione che prova un abitante dell’Appennino, quando vede le odiate vetture degli ancor più odiati cittadini. Sente montare dentro di sé la rabbia perché i cittadini sono un vero esercito, vociante e festoso, che allaga prati e boschi, raspa, annusa, raccoglie, e se non trova funghi prende mele, fichi, pere, uva, le verdure negli orti, la legna per scaldarsi… Naturalmente non tutti i cittadini sono così, anzi, vale dire che non tutti i cercatori di funghi sono necessariamente cittadini. Ma nell’impeto dell’odio non si fanno distinzioni, e ci si comporta esattamente come certi razzisti a riguardo degli stranieri: rubano il lavoro, sporcano e ci portano via le donne…

 
dal SECOLOXIX

È pur vero che molti cercatori spariscono appena finisce la stagione dei funghi, per non farsi rivedere per un altro anno. E questo è anche un peccato: è salubre passeggiare nei boschi ad ogni stagione: mentre il gelo avvolge le poche foglie secche ed il cielo azzurro elettrico ci accompagna; fra la nebbia leggera della stagione nuova; al risveglio dei ruscelli e dei germogli; nel pieno del vigoroso caldo estivo, per cercare refrigerio e pace. E il bosco andrebbe vissuto e conosciuto, frequentato in modo da farlo diventare davvero “nostro”, fino ad esserne parte, a conoscerlo, e conoscere evidentemente chi ci vive e ci lavora, conoscendone le essenze, le leggende e le proprietà. Entrare in un bosco da padroni, solo perché ne abbiamo diritto, è poco. Ben ricordando a chi pratica il taglio degli pneumatici che commette un reato, che è uno sfregio odioso e vigliacco, e che bisogna sempre trovare una strada per convivere meglio che si può, facendosi sentire, partecipando, discutendo, facendo conoscere agli altri le nostre ragioni. Aspettando infine che la politica si occupi ANCHE di questo, pure se sembra un problema marginale, cioè quello di fare sentire il bosco, il paesaggio, davvero un bene comune per trecentosessantacinque giorni all’anno.  

 

Alessandro Marenco 27 ottobre 2013

 

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