SPIGOLATURE – SE IL MAR NOSTRO È COME IL FONDO DEL SAND CREEK

VOCE. Ogni giorno conviviamo silenziosamente con una immensa tragedia umana che riguarda la sorte dei bambini in tutto il mondo. Sono loro le vittime innocenti di violenze inaudite, di diritti negati, di privazioni e sofferenze indicibili. Loro ai quali è stata rubata la vita. Nell’aridità delle statistiche i numeri aiutano a rendere meno retorica, meno astratta la Giornata Mondiale dell’infanzia. Quanti sono i morti? Molti, ma anche uno solo sarebbe uno di troppo. Siamo al cospetto di uno scandalo perenne da mettere sul conto dell’indifferenza, o peggio ancora, della strumentalizzazione politica dei migranti; in altre parole della follia umana. Con la sua musica struggente Fabrizio De André ha narrato il calvario dei piccoli indiani che dormono sul fondo del Sand Creek, massacrati senza pietà dai soldati nell’uniforme turchina. Altri bambini giacciono laggiù in quell’altro Sand Creek che è diventato il Mediterraneo, teatro di un dramma infinito. E noi tutti dobbiamo ricordare quei bimbi in fondo al fiume, ai quali tutto è stato tolto, persino il tempo di un sorriso. Laggiù “dove i pesci ancora cantano” – sono le parole dell’autore – senza che nessuno ascolti la loro voce. 

INCIVILTÀ. Fanno accapponare la pelle le bestialità che a volte capita di leggere quando si parla dei migranti. Ai deliranti leoni della tastiera che infangano i social non par vero di dare libero corso al loro livore con scelleratezze inaudite. Eccone un campione tra i più rivoltanti: “I barchini vanno fermati anche con le armi. O ti fermi e torni indietro o vai giù. Taciti e invisibili partono i sommergibili, diritto e sicuro parte il siluro”. Detto che la strofa viene pari-pari da un inno originale dell’era fascista, lascia ammutoliti l’implicito richiamo all’uso delle cannonate per eliminare il problema. I social – si sa – sono indipendenti dai giornali su cui compaiono, ma di fronte a un tale abominio, frutto di una mente bacata, prenderne le distanze sarebbe un gesto di civiltà contro lo sfregio dell’inciviltà. Qui noi lo facciamo!

AFFINITÀ. Che Trump torni o non torni su Twitter in tutta sincerità non ce ne può importar di meno. Affar suo. La vicenda, al centro di un cacofonico concerto mediatico, presenta però un risvolto che potrebbe avere un certo peso in Italia dove Elon Musk, controverso proprietario del network, ha i suoi convinti ammiratori. Al punto che stendere il tappeto rosso per Mister Tesla è parsa un’opportunità che fa gola a Matteo Salvini, pronto a spalancargli le porte del suo ministero in cerca di sostanziose affinità. Comunque sia, la coppia è abbastanza strana e fa discutere, tanto più che l’azienda col cinguettio sta attraversando una fase piuttosto turbolenta. Musk vuole essere considerato un idealista, ma dopo le ultime vicende non sembra sia messo sulla strada giusta. 

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VISIONE. Nel suo editoriale su Repubblica, Ezio Mauro pone il tema del sovranismo che crea nuovi confini attraverso la normalizzazione dell’estrema destra anti-liberale. L’allarme è di impellente attualità poiché fotografa con grande precisione i contorni di un argomento che riguarda da vicino la tenuta delle democrazie. La riflessione parte, a tale proposito, dall’analisi in cui versa la sinistra moderna, in Europa e nel suo complesso. Al sovranismo non si risponde in ordine sparso ma presentando una visione condivisa e con valori idealmente forti che si faccia portatrice di speranze. In Italia, nel solco del dibattito che si è aperto dopo la sconfitta elettorale, la palla passa nel campo del Pd chiamato a un deciso sforzo di rinnovamento assieme agli alleati disponibili. Il progetto vale la pena se saprà guardare oltre le dinamiche interne per configurarsi in una visione di più ampio respiro.

SILENZIO. In un luogo dove i diritti umani hanno come minimo un’esistenza tribolatissima, a volte calcio e politica sanno rialzare la testa per farsi sentire sfidando le convenzioni ed i divieti. Nel Qatar, dove vanno in scena i mondiali più controversi del secolo, c’è stato un momento preciso in cui niente e nessuno hanno potuto soffocare un atto di rivolta coraggioso. È accaduto quando i giocatori della nazionale dell’Iran sono rimasti a bocca chiusa mentre risuonavano le note del loro inno nazionale. Quel silenzio assordante era una risposta in mondovisione contro le violenze perpetrate dal governo degli ayatollah dopo l’uccisione di Mahasa Amini, alfiere delle donne che non accettano l’imposizione del hijab. Sono stati tre minuti carichi di emozioni che faranno la storia di questo mondiale perché in essi è racchiuso il dramma di un Paese.

GENIO. Se qualcuno vi dice che ha letto Proust e non che lo sta leggendo, è assai probabile – soleva ripetere il filosofo ungherese György Lukacs – che non abbia fatto né l’una né l’altra cosa. A modo suo l’illustre pensatore magiaro coglieva perfettamente nel segno. La lettura di Proust e del suo capolavoro “Alla ricerca del tempo perduto” non si affronta come se fosse un bestseller di facile consumo. Al contrario è un esercizio ininterrotto che continua appunto nel tempo, va ripreso, meditato, e segnato dalle pause di riflessione. Insomma non ha mai fine. Di Proust si commemora quest’anno il centenario dalla morte, avvenuta il 18 novembre del 1922, a 51 anni. Un secolo dopo il suo genio non smette di ispirarci, di elevarci e di meravigliarci in un susseguirsi di straordinarie affabulazioni. Di invenzioni inaspettate nelle quali si mescola il profumo irresistibile delle leggendarie “madeleine” portandosi dietro la nostalgia di un mondo.

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