SPIGOLATURE: ALL’INSEGUIMENTO DEL SUCCESSO

ALL’INSEGUIMENTO DEL SUCCESSO di Renzo Balmelli

PARABOLA. Ei fu. Quando scompare un personaggio discusso e sconcertante qual è stato Silvio Berlusconi dopo un’esistenza spesa all’inseguimento del successo, viene naturale chiedersi che posto avrà nei libri di storia. In attesa del verdetto a venire, non sembra fuori posto rimarcare che trent’anni di berlusconismo con tutto ciò che hanno significato possono più che bastare. A quella parte dell’Italia che lo accolse come il Salvatore non resta che voltare pagina e cercarsi un’altra famiglia. Il coro di superlativi da toni di beatificazione laica che abbiamo udito in questi giorni non può occultare la difficoltà di collocarlo nel ruolo di premuroso Padre della patria al quale ambiva più di qualsiasi altro riconoscimento. Il Cavaliere ha saputo costruite un sistema di potere unico nel suo genere anche passando per vie traverse. Però, non ha risolto i grandi problemi del Paese. Anzi.
A bocce ferme l’immagine che se ne ricava è quella di un protagonista abilissimo a coltivare i propri interessi sorretto dalle sue indubbie doti di comunicatore. Nel periodo di maggior fulgore ai suoi elettori usava presentarsi sempre accuratamente truccato, proprio come le sue irrealizzabili e irrealizzate promesse. La qualcosa gli valse l’aura di colui al quale tutto riusciva e tutto era concesso. E ora? Ei fu – in quest’incipit manzoniano è racchiusa la parabola di un uomo che di vite ne ha vissute tante e non ha esitato a definirsi “Unto del Signore”, con tanti saluti alla modestia. Chissà che idea se ne sarà fatta San Pietro? Come detto, sarà la Storia, che non fa sconti, a giudicare il suo operato. R.I.P.

DECLINO. Chi è stato davvero Silvio Berlusconi? Calato il sipario sulle solenni esequie nel Duomo di Milano, la domanda ha preso a circolare un po’ ovunque ai quattro angoli del pianeta. Domanda che si accompagna agli interrogativi sulle ricadute che la sua scomparsa potrebbe avere sulla tenuta della coalizione di governo, piuttosto litigiosa, e sulla sorte del suo partito. Il Cavaliere era famoso nel mondo intero anche per le sue gesta – pensiamo alle corna mostrate a un vertice dei grandi della terra – che a lungo hanno tenuto banco nelle cronache delle maggiori testate. Come puntualizzava Pier Luigi Bersani in una recente intervista, l’ex premier è stato un liberale immaginario. Con la sua discesa in campo ha portato la personalizzazione della politica a livelli mai visti prima. Nella “stanza dei bottoni” è riuscito nella strana impresa di sdoganare il neo/post fascismo e ad istaurare un populismo di stato fondato su slogan di facile suggestione. Forza Italia, che considerava la sua amatissima creatura, potrebbe adesso svuotarsi, nell’ora del declino, decretando davvero la fine di un’epoca non solo sul piano politico, ma anche etico e morale. Non avendo successori lascia un’eredità difficile da gestire mentre sullo sfiondo si staglia la destra reazionaria e conservatrice che non si è evoluta e difende sacche di privilegi.

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BLUFF. Donald Trump, considerato uno degli ipotetici imitatori di Berlusconi, le prova tutte nelle aule dei tribunali in cui si sta giocando la corsa del 2024. Ogni mezzo gli torna utile per non perdere terreno, cavalcando le paure della gente di fronte alle calamità che affliggono il mondo. L’ultima trovata messa in circolazione per catturare consensi è la pretesa di avere in tasca una soluzione in grado di porre fine alla guerra in Ucraina nel giro di 24 ore, non appena sarà stato rieletto. Se fosse davvero così avrebbe una sola cosa da fare, subito e senza secondi fini: renderla pubblica per il bene dell’umanità. Da ex presidente ne avrebbe l’obbligo istituzionale. Tuttavia, è altamente improbabile che sia in possesso di argomenti seri in grado di fermare il conflitto, a meno che non abbia nascosto le carte. Non sarebbe la prima volta. Il bluff d’altronde è talmente evidente che non ci cascherebbe neppure un pokerista alle prime armi. Su un argomento talmente grave e doloroso non si dovrebbe mai speculare spacciando illusioni un tanto al chilo, solo per raccattare voti a buon mercato.

CIMITERO. Ancora rimane nel cuore e nell’anima il ricordo dello strazio per il dramma di Cutro, e già dobbiamo registrare un’altra tragedia del mare che vede quali protagonisti i migranti abbandonati al loro destino. Una volta ancora, l’ennesima di una lunga e ininterrotta scia di morti, si ripete lo stesso film già visto e rivisto come se le tremende lezioni del passato fossero trascorse senza lasciare traccia. Una nuova “Cutro” si è consumata al largo di Salonicco. Uno dei più gravi naufragi di migranti della storia: uomini, donne, bambini partiti dalle coste libiche nella speranza di trovare rifugio nei centri di accoglienza hanno concluso il viaggio della speranza in fondo al Mediterraneo. Di fronte a immagini che tolgono il respiro, a scene di disperazione intollerabili, a quei bimbi che invocano le loro mamme sparite tra le onde, ci si chiede in un impeto di rabbia come possano ancora accadere cose simili. Non si conosce il bilancio definitivo della spaventosa sciagura e anziché pensare a come porvi rimedio per evitare che si ripetano, parte l’assurdo balletto del rimpallo delle responsabilità tra le capitali dei paesi coinvolti. E, nel sentire le reazioni ufficiali che esprimono “preoccupazione” per il ripetersi di queste tragedie, si prova un sentimento di infinita tristezza sia per l’ipocrisia in cui sono avvolte, sia per l’entità di quello che è accaduto e sia per le polemiche sull’efficacia dei soccorsi. Nella stiva in cui erano accalcate decine di piccole vittime già da ore salivano le invocazioni d’aiuto. Quando sono arrivati i soccorsi, era ormai troppo tardi, ma domani, tragedia nella tragedia, coloro che dovrebbero agire probabilmente si saranno già dimenticati del cimitero in cui giacciono centinaia di vittime innocenti senza un nome, senza una lapide, senza un fiore.

EROINA. Nell’osservare con animo in subbuglio quanto sta capitando in Ucraina, torna in mente una famosa, amara battuta della gentile signora che di fronte al disastro disse con voce rassegnata: mi kafkano le braccia. La guerra che mai e poi mai, per nessuna ragione, si sarebbe dovuta dichiarare, si è ormai impantanata. Evidente l’incapacità di sbloccare una situazione sempre più incancrenita. Da un lato, la coraggiosa controffensiva di Kiev costa sangue e dolore. Dall’altro lato, Putin sembra ormai imprigionato nel suo oscuro disegno senza sbocchi con il quale ha provato a uscire dal flusso della storia europea. Tra mercenari incontrollabili e droni che prefigurano gli inquietanti scenari fantascientifici dei prossimi conflitti, sul palcoscenico mondiale c’è però un’eroina da difendere dagli assalti del potere autocratico: la democrazia. Difenderla senza cedimenti di sorta, prima che questo conflitto diventi una guerra totale: la terza guerra mondiale combattuta a pezzi, come ebbe a definirla Papa Francesco. Tra l’opinione pubblica che anela alla pace prevale il timore che essa possa durare nel tempo, soverchiata dal numero dei morti, senza che si intravveda un’ipotesi di soluzione.

GENIALITÀ. Se un autore e regista, con la forza della sua straordinaria immaginazione, riesce a produrre un film recante l’incredibile titolo Caruso Pascoski (di padre polacco), significa che è dotato di mezzi creativi fuori del comune.
E Francesco Nuti – che se n’è andato a 68 anni dopo una lunga, dolorosa malattia – di mezzi ne aveva, per sfondare nel mondo della celluloide. Nel corso della sua carriera è stato un autore che in virtù della sua bravura ha rapito il cuore del pubblico con ruvida, genuina genialità. Il suo stile era venato del demenziale surrealismo con cui indagava sulla realtà sociale e sulla condizione umana. Il film di cui sopra, uscito nel 1988, fece registrare quindici miliardi di incasso consacrando Nuti, al di la delle cifre, tra gli interpreti più straordinari della commedia all’italiana. Brillante e giocoso, realizzerà altre pellicole che si ricordano per la loro unicità, prima di venire stritolato dal successo, che fu per lui foriero di problemi che lo condannarono all’oblio di un declino triste e immeritato.

Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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