Rigor mortis (o Monti’s?)

Rigor mortis (o Monti’s?)
Forse un po’ di sana economia spicciola, di tipo domestico, può aiutare a capire dove ci sta portando la politica del rigore a base di fatture, Iva, Agenzia Entrate, GdF etc.

Rigor mortis (o Monti’s?)

Forse un po’ di sana economia spicciola, di tipo domestico, può aiutare a capire dove ci sta portando la politica del rigore a base di fatture, Iva, Agenzia Entrate, GdF etc.

 

Dove vivo io c’era, sino all’anno scorso, un pensionato che riparava nel suo garage le biciclette, in mancanza di piccole officine che un tempo facevano quest’opera.  Recentemente ho avuto bisogno di far raddrizzare una ruota e mi sono recato da lui, ma ho trovato il garage chiuso. L’ho poi incontrato al gioco delle bocce, diventato il suo modo alternativo di passare le giornate.

 “Sono stato costretto a chiudere –mi ha detto- perché ho avuto una visita del fisco, con relativa sanzione allucinante, in quanto non emettevo gli scontrini. Se avessi dovuto mettermi in regola, tra burocrazia, commercialista, tasse, taglio della pensione e quant’altro, sarei andato in perdita. Chi me lo faceva fare? Riparare le biciclette mi faceva sentire utile alla società, ma non fino al punto di dover pagare per lavorare…”

 

A Savona fino a un anno fa c’era un laboratorio dove si riparavano piccoli elettrodomestici. Ha dovuto chiudere per gli stessi motivi: troppo caro essere in regola.

Questi esempi sono illuminanti della cecità dei mietitori di tasse. Infatti, se una bici, un fon, una stufetta si guastano e non c’è più chi li ripari, vanno ad aggiungersi alla mole di rifiuti in discarica, e si immagina vengano sostituiti con apparecchi nuovi. Concetto base del consumismo, ossia dell’allegro sperpero; insomma il contrario del “montiano” rigore.

Peccato che le materie prime incorporate negli oggetti scartati si prelevano da un ambiente sempre meno propenso a fornircele, e che una parte non trascurabile di esse proviene dall’estero e concorre a deprimere la nostra bilancia dei pagamenti. E se anche sono di produzione nazionale, il costo energetico di estrazione e fabbricazione richiede combustibili fossili esteri; mentre quello del successivo smaltimento, una volta divenuti inservibili, ricadono su noi tutti, in termini di soldi in meno da spendere e inquinamento ambientale.

Tuttavia il Governo pensa, ma per pudore non dice, che si rimpingua le casse tanto più quanto più petrolio importiamo, grazie ai 2/3 di accise sulla benzina. Una vittoria di Pirro, visto che il petrolio si paga in dollari. Insomma lo Stato, mentre si arricchisce coi soldi dei cittadini, si impoverisce verso l’estero. Del resto, il c. d. debito pubblico non origina dai prestiti che lo Stato chiede agli investitori esteri, anziché stamparsi senza debito la sua moneta, avendo così come suo unico indice di salute proprio la bilancia dei pagamenti con l’estero?

Sono partito dalla bicicletta che non si può più riparare, ma il discorso può estendersi a tutti quei pezzi di ricambio che non si trovano o hanno prezzi proibitivi, anche per l’esser costretti a rivolgerci a personale inquadrato, che paga tasse e contributi. Ci sono mestieri che si possono fare soltanto “in nero”; eppure, a conti fatti, giovano alla società. Invece li si sopprime, perché sono bollati come evasioni fiscali.

Lo stesso discorso si applica a tutto ciò che uno può farsi da sé, senza scambi monetari. L’esempio più eclatante viene dalle campagne, dove molti antiparassitari si potrebbero ottenere utilizzando determinate erbe spontanee. O ci si potrebbe organizzare per usare come concime gli scarti vegetali. Ma anche queste pratiche sono andate perdute, su pressioni dell’industria chimica, con un inquinamento crescente dei terreni e dei prodotti alimentari. Ma se c’è vendita e acquisto gira moneta, c’è un fatturato, c’è l’Iva, e lo Stato incassa. Come incassa coi giochi che ci incita a fare con una pubblicità martellante.

Ragionamenti troppo elementari, “contadini”, non degni di professori di economia bocconiani.

Ritornello: Avevo una bicicletta, ma si è rotta. La riparazione mi sarebbe costata 20 euro, senza Iva né tasse; 50 pagandole. Ma chi avrebbe potuto ripararla non c’è più. Butterò la bici in discarica, perdendo il residuo valore di 150 euro. Una nuova uguale ora costa 250 euro, che non ho più, grazie alle tasse e alle sanzioni che devo pagare per ogni minima infrazione, onde pagare gli interessi su un debito fasullo. Risultato finale: io resto senza bici e c’è un oggetto di più in discarica. Mentre la bici nuova rimane nei sogni (miei e del fabbricante, che a breve chiuderà).

 

Marco Giacinto Pellifroni

 

 

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