Resuscitare Keynes

Resuscitare Keynes
Se questo articolo avesse un sottotitolo sarebbe “Sull’assurda idea che l’occupazione possa aumentare cambiando il diritto del lavoro.”

Resuscitare Keynes

Se questo articolo avesse un sottotitolo sarebbe “Sull’assurda idea che l’occupazione possa aumentare cambiando il diritto del lavoro.” 
Il dibattito economico degli ultimi anni in Italia ha interessato solamente due argomenti: diritto del lavoro (in particolare l’art 18) e le pensioni.  La disoccupazione, elemento fondamentale del pensiero economico, non ha suscitato interesse quanto il debito, il deficit, lo spread o la crescita. L’attenzione, a causa di una politica economica europea votata all’austerity, è sempre stata rivolta alla riduzione della spesa pubblica (primaria o per interessi non conta).   Come ha dimostrato l’illuminante articolo di keynesblog.com (LEGGI) l’Italia degli ultimi decenni è stato un paese antikeynesiano e gli ultimi governi (Berlusconi, Monti e Letta) hanno accentuato la tendenza a ridurre la spesa riuscendo ad aumentare la tassazione.


Le ripetute riforme del diritto del lavoro (dalla Biagi alla Fornero) e le ripetute riforme pensionistiche, che hanno fatto dell’Italia la nazione europea più severa per età pensionabile, ci sono state raccontate come grandi motori di sviluppo e crescita per la nostra economia. In particolare, l’abolizione dell’art 18 previsto dalla riforma Fornero avrebbe dovuto creare posti di lavoro e rilanciare l’economia, ovviamente non ha fatto niente di tutto questo.

L’idea, figlia del modello neo liberista, è che modificare il diritto del lavoro crei occupazione. Peccato che non sia così e che non ci si ponga mai la domanda: quale lavoro? Il lavoro proposto dal Mibac per giovani laureati con 110/110 per 3,5 euro l’ora?

Novità di questi giorni è Jobs Act di Matteo Renzi che si concentra particolarmente su semplificazione del mercato del lavoro (necessità urgente per il sistema italiano) abbozzando solamente idee generiche sulle politiche industriali necessarie al Paese.


La bozza del programma di Renzi recita:

“Per ognuno di questi sette settori, il JobsAct conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro. a) Cultura, turismo, agricoltura e cibo. b) Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers) c) ICT  d) Green Economy  e) Nuovo Welfare f) Edilizia g) Manifattura.”

Non si capisce minimamente cosa voglia concretamente fare per rilanciare l’occupazione di questo Paese: turismo, cultura e agricoltura in un unico piano? Nuovo welfare? Quale manifattura?

Per fare politiche industriali in questo Paese (non si fanno da circa 30 anni) serve necessariamente più spesa pubblica primaria e serve un piano di intervento pubblico che abbia come obiettivo il rilancio dell’economia, esattamente come Keynes ha insegnato a tutti gli studenti di economia del mondo.

Per gli obiettori della spesa pubblica italiana fuori controllo rispetto all’Europa è necessario ricordare solo alcuni semplici numeri: il rapporto spesa pubblica primaria e pil dell’Italia è del 45,2% inferiore di 1,6 punti percentuali rispetto alla media europea (46,8%).

L’occupazione deve essere al centro della politica economica italiana ed europea ed, in particolare, la disoccupazione giovanile deve essere l’oggetto dell’attenzione della politica, senza cadere nella decennale trappola che serva solo cambiare le regole per far apparire miracolosamente il lavoro.

MARCO CAVALLERO

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