RENATA CUNEO, una GRANDE SCULTRICE e artista savonese, da riscoprire e promuovere come merita
Questa settimana parliamo di Renata Cuneo, scultrice savonese di grande spessore, capace di lavorare indifferentemente il bronzo, forse il materiale da lei più utilizzato, il marmo, la terracotta, il gesso, la pietra o il cemento, e inoltre anche brava disegnatrice e ceramista, tanto apprezzata da critica, pubblico e istituzioni quando era in vita, quanto, purtroppo, trascurata e dimenticata oggi. E se per lo meno in genere i savonesi sanno ancora chi è, anche se poco conoscono della sua opera, quasi nessuno al di fuori della sua città natale l’ha mai sentita nominare e non ci si può dunque sorprendere che il museo a lei dedicato sia poco visitato.
Eppure girovagando per le vie di Savona non è difficile imbattersi nelle sue opere, un po’ come se si trattasse di un museo diffuso, a partire dall’incisivo altorilievo in pietra della Madonna della Misericordia (col Beato Botta), mostrato nella foto 1 qua sotto e che potete trovare sulla stretta facciata d’angolo all’ingresso del quartiere di Lavagnola, tra Via Garroni e Via Crispi.
Questo appare in effetti uno dei suoi pezzi più significativi. Notate come l’artista ha saputo rendere con bravura il panneggio dell’abito di Maria, al di sotto del quale ben si indovinano, plastiche, le linee del corpo, e la perfezione del volto e delle mani. L’opera è murata in quell’edificio fin dal 1940, ma quanti, ammesso che prestassero attenzione alla sua presenza, ne conoscevano l’autore? Pochissimi, viene da dire.
Scendendo poi verso il centro è sua la potente scultura michelangiolesca in bronzo, pietra e scogli naturali intitolata “L’uomo e lo squalo”, la realizzazione oggi di gran lunga più nota della Cuneo senza peraltro nemmeno la presenza di una targhetta a ricordare chi ne sia l’autore, che orna la cosiddetta fontana del pesce di Piazza Marconi, grazie alla sua presenza meglio nota alla cittadinanza come Piazza del Pesce. E pur senza alcuna pretesa che il proprio parere non di vero esperto abbia valore, Massimo Bianco, autore dell’articolo che avete sotto gli occhi, non può fare a meno di pensare che in Italia vi siano ben poche altre fontane del novecento all’altezza di quella qui descritta.
Suo poi, e ciò sono già in meno a saperlo, benché stavolta sulla base l’opera sia firmata (e comunque abbastanza conosciuta da parermi pure qui inutile inserire una foto, M.B.), è il marinaio in bronzo di “Gente di mare”, che con la sua lanterna fin dal 1986 accoglie i natanti all’ingresso del porto cittadino, così come lì nei pressi appartengono all’autrice il bassorilievo in pietra raffigurante San Raffaele con Tobia, visibile sulla facciata della chiesa di San Raffaele al porto (foto 4) e numerose opere all’interno della costruzione stessa, realizzata in seguito ai bombardamenti subiti dalla zona durante la seconda guerra mondiale.
Sempre suo, inoltre, e questo non lo sa quasi nessuno, è il possente doppio trittico di sculture cementizie rappresentanti Ercole (figura centrale) e uno scaricatore (cariatidi laterali) realizzate nei primi anni ’30 sulla facciata del palazzo di Via dei Vegerio 2 e che mostriamo qui sotto nella foto 2.
Sono infine ancora nati dalle capaci mani di Renata Cuneo il busto marmoreo intitolato “Monumento al Vescovo Righetti” del 1949 (foto 3), presente in una delle cappelle laterali del Duomo di Savona sul lato destro rispetto all’ingresso
e il Crocifisso in bronzo del 1988 realizzato per la chiesa di Santa Maria Giuseppa Rossello in Via Amendola alla Villetta, per fortuna con tanto di targhetta a indicarne l’autrice, e giudicato uno dei massimi capolavori dell’artista (foto 4). Nel 2004 Angelo Rossi lo definì<<pezzo di altissima qualità (…) qui il Cristo assume la grandiosa potenza che richiama, e non è esagerato dirlo, certe immagini della antica tragedia greca e particolarmente il Prometeo di Eschilo>>. È tra l’altro interessante notare un particolare relativo al Crocifisso: come già era accaduto per il marinaio del porto realizzato due anni prima, peraltro senza la medesima forza espressiva, il corpo, i capelli e soprattutto i lineamenti del volto del Cristo non sono più delineati con l’accuratezza delle figure del passato ma appena abbozzati. A un semplice osservatore come il sottoscritto, non ignorante d’arte classica ma conscio di non essere un autentico esperto professionista, sorge spontaneo pensare che la Cuneo, invecchiando, avesse iniziato, proprio come accadeva circa quattro secoli prima al Michelangelo anziano, a tendere sempre più verso una forma di non finito. Sarà così?
A ogni modo tutte quelle specificatamente citate fino ad ora a eccezione dell’ultima, sono opere di cui Renata Cuneo realizzò anche gli affascinanti bozzetti preparatori successivamente donati alla città di Savona e almeno in parte visibili tutt’oggi nel museo a lei dedicato.
Oltre poi alle opere appena elencate, a riprova della stima ricevuta in vita dalle amministrazioni dell’epoca, sono presenti sue realizzazioni anche nel Municipio del capoluogo e in particolare nella sala dei matrimoni.
È dunque tempo di rimediare almeno in parte all’odierna trascuratezza nei suoi confronti, tanto più che qui sul web, ormai ambito d’informazione preferito dalla maggior parte della gente, di lei si parla in maniera generalmente limitata, vedasi ad esempio le poche righe presenti, almeno fino al luglio 2023, su wikipedia, e disorganica, eccettuando i pochi soliti volenterosi (tra l’altro qui su Trucioli anche Biagio Giordano la volle ricordare) che come il sottoscritto ancora si sforzano di diffondere un po’ di arte e cultura nel savonese. E allora:
Dopo avere frequentato, per volontà dei genitori, il quinquennio ginnasiale, pur precocemente aspirando già allora alla scultura, e poi il triennio del Liceo classico a Savona, Renata Cuneo (1903-1996) si formò artisticamente a Firenze, dove frequentò l’Accademia delle belle arti, presso la quale conseguì il diploma nel 1927. A Firenze, oltre a studiare presso alcuni maestri contemporanei dell’Accademia e non e a conoscere altri grandi artisti dell’epoca, su tutti Marino Marini, si nutriva, come ella stessa ebbe modo di raccontare, <<dell’opera di Arnolfo, Donatello, Masaccio e tutti gli altri, da Giotto, a Desiderio, al Brunelleschi>>, senza naturalmente dimenticare il divino Michelangelo, la cui scoperta, come lei stessa amava ricordare, le aveva procurato un’emozione sconvolgente. Non era peraltro estraneo ai suoi molteplici interessi neppure il locale museo etrusco-egizio. E fu sempre il capoluogo regionale toscano a vederle modellare le sue prime opere scultoree.
A partire dal 1929 tornò tuttavia vivere a Savona, che da allora divenne la base stabile dell’attività artistica a cui avrebbe consacrato l’intera vita, non essendosi ella mai sposata.
Successivamente alla sua prima esposizione, solo due bronzi ma assai apprezzati dalla critica, effettuata a Genova a Palazzo Rosso nel 1930, partecipò a ben cinque Biennali di Venezia, la manifestazione periodica d’arte forse più importante al mondo, in una della quali, quella del 1942, a riprova della grande considerazione internazionale in cui era ormai tenuta, ebbe l’onore di essere la prima donna scultrice ad avere un’intera sala, con ben ventidue sculture e cinquantasei disegni, dedicata alle sue opere. In quegli stessi anni fu presente anche a quattro quadriennali di Roma, alla Mostra di Arte italiana di Budapest e a varie altre esposizioni di artisti vari. Tenne inoltre numerose mostre personali sia in Italia sia all’estero, di cui una perfino a New York, anche se con gli anni tali partecipazioni si diradarono per via della sua naturale ritrosia.
Nel 1946, non volendosi slegare dal proprio territorio, fondò insieme a sei rinomati pittori locali, tra i quali quel Raffaele Collina a cui il sottoscritto già si è dedicato qui su Trucioli savonesi, il gruppo “La Goletta”, nato anche allo scopo dichiarato di perseguire un atteggiamento pervaso di serietà morale e di aspirazione all’universale.
In parallelo all’attività scultorea per cui è più nota, si dedicò anche al disegno, riprendendo la lezione dei grandi maestri del rinascimento, il Buonarroti in primis, e alla ceramica, materia, quest’ultima, per cui il suo interesse andò accrescendosi nel tempo e di cui si occupò in particolare nella fornace albis(s)olese Mazzotti.
Tra gli anni ’50 e ’60 realizzò numerose opere per la chiesa di San Raffaele al porto di Savona, dove avrebbe anche desiderato essere seppellita senza tuttavia venire accontentata, tra le quali il sopracitato bassorilievo della facciata e il gruppo dell’Annunciazione: a sinistra dell’abside l’Arcangelo Gabriele e a destra dell’abside la Vergine (foto 6, non nitidissima perché scattata da dietro il vetro del portone d’ingresso), entrambi in terracotta ingobbiata.
Al 1963 risale invece l’inaugurazione della Fontana del pesce. Grande appassionata del suo lavoro, dal 1964 al 1974 volle pure dedicarsi all’insegnamento, sua era la cattedra di Figura e ornato modellato, al Liceo artistico “Arturo Martini” di Savona.
Nel 1978 la nostra artista consegnò la scultura lignea intitolata “Ecce Homo”, raffigurante Ponzio Pilato che indica al popolo Gesù, una delle prestigiose casse (l’ottava) portate a spalla nella cittadina processione del Venerdì Santo, e che ne sostituisce una di tema analogo realizzata da un artista genovese nel ‘600, andata perduta durante la seconda guerra mondiale. Nel resto dell’anno la si può ammirare nell’oratorio dei Santi Pietro e Caterina di Via Dei Mille, angolo Piazza Marconi. Tra l’altro pure di quest’opera regalò alla città bozzetti preparatori, per la precisione due, uno in ceramica, risalente addirittura al 1950, l’altro in bronzo.
L’arte scultorea della Cuneo, secondo la critica inizialmente influenzata sia da Arturo Martini sia dal futurismo, si adeguò col tempo a un più generico tradizionalismo e a un deciso realismo, come era forse naturale visto il suo apprezzamento per i classici da lei stessa citati e la cui conoscenza è già ben percepibile nelle opere dei primi decenni. Nell’ampliare tuttavia nel tempo lo sguardo artistico (sono ad esempio indicati come sue ulteriori influenze Degas e Rodin), seppe crearsi una propria solida e personale qualità creativa che le permise quasi sempre di superare il peso condizionante dei grandi del passato. Artista di grande valore, già peraltro con l’autoritratto disegnato all’età di diciassette anni mostra una tecnica che può essere definita matura, così almeno sostiene Angelo Rossi, da cui lo scrivente ha ripreso alcune informazioni e giudizi.
Molto attenta e accurata nello studio dei suoi modelli, Renata sapeva cogliere con precisione le fisionomie, creando a un tempo effigi somiglianti e che sapevano inoltre evidenziare la personalità delle figure ritratte. E quando agiva al suo meglio, nelle proprie realizzazioni riusciva felicemente a cogliere l’eleganza anatomica delle membra, la plasticità e la dinamica scioltezza dei movimenti delle figure così come la spontaneità delle positure.
Renata Cuneo amava la sua città e ad essa nel 1986 volle donare, con atto notarile, le proprie opere, in totale 50 sculture di materiali vari, più 28 gessi e 150 disegni, tra cui i due bronzi del ’39 e del ’40 della foto 7, a patto che venissero esposte in modo permanente nel complesso del Priamar, dove il museo a lei dedicato venne effettivamente inaugurato quattro anni dopo.
Si tratta per lo più di prodotti di grande qualità, sia di concezione originale sia di preparazioni a sculture di maggiori dimensioni da collocarsi all’aperto. Tra esse sono presenti anche opere fuse appositamente dall’artista allo scopo di farne dono alla cittadinanza.
Peccato che i politici e amministratori locali susseguitisi da allora, di destra o di sinistra che fossero, al di là delle solite vuote chiacchiere, dimostrarono un eguale disinteresse e ottusità nei confronti dell’arte in generale e di quella della loro illustre concittadina in particolare, al punto che il museo a lei dedicato rimase per anni chiuso e incustodito, con i sistemi d’allarme e di climatizzazione per la corretta conservazione delle opere disattivati, permettendo così che molte sue sculture venissero gravemente vandalizzate. E sì che in Italia l’arte rappresenta da sempre uno dei più trainanti veicoli per il turismo, in grado di attirare folle e di conseguenza denaro.
E l’attuale giunta Russo purtroppo non sembra fare eccezione, anzi. L’impressione è che sarebbe ben lieta di chiuderlo di nuovo e abbandonarlo. Per i nostri governanti locali il possesso pubblico di oggetti d’arte è con tutta evidenza visto solo come un peso e una scocciatura, di cui si farebbe volentieri a meno. Oggi il Museo Pertini-Cuneo, che come indica il nome ospita (anche) le opere della illustre savonese, è posizionato nei piani superiori del cosiddetto Palazzo della Loggia, luogo diverso da quello originariamente prescelto dall’artista e cioè i Bastioni di San Bernardo, in un angolo nascosto della fortezza dove nessuno si accorge neppure della sua esistenza, salvo magari veder sporgere da una finestra l’Andromeda prigioniera (foto 8), gesso del 1931, mentre percorre il Priamar, ma senza aver modo di capire cosa essa rappresenti e cosa ci faccia lì.
Tanto più che nulla viene prodotto per spiegare cosa effettivamente sia contenuto nel museo, a parte poche righe scritte nei pressi degli ascensori ma poco visibili. È così difficile apporre qualche manifesto in cui si spieghi che è in parte dedicato a una grande scultrice e che al suo interno l’eventuale visitatore potrà trovarvi numerose sculture di pregio e in cui siano inserite immagini di qualche sua creazione invece dell’unica foto effettivamente prescelta: Sandro Pertini accanto a una vecchietta (sua moglie, forse? No, R. Cuneo!)? Inoltre esso è aperto solamente tre mattine feriali alla settimana, cioè quando possono recarvisi solo i pensionati, perché così, in quegli orari di apertura anche comunale, non vi sono spese di personale. Il Comune, insomma, non è disposto neppure a sobbarcarsi una piccola spesa extra per aprirlo almeno nell’intera giornata di sabato, quando i savonesi (ma perché non pure i genovesi?), che pure le tasse le pagano, avrebbero più tempo e modo per visitarlo e in città sono presenti migliaia di croceristi delle navi Costa, a settimane alterne presenti in porto addirittura in coppia, tra i quali qualcuno interessato all’arte ci deve essere per forza, ammesso che gli venga adeguatamente spiegato cosa vi sia di meritevole da vedere in loco. È difficile ottenere dei ritorni economici se non si è disposti a investirci sopra qualcosa.
Al contrario di quanto erroneamente scritto qui su Trucioli alcuni anni fa, le sculture vandalizzate sono state restaurate già da tempo. Tuttavia sia una parte, pure pregiata, delle opere di Renata Cuneo, tra cui alcune sculture di grande dimensione e tutti i disegni, anche di notevole spessore qualitativo (presentati in una mostra una ventina di anni fa), sia una parte dei quadri dell’altrettanto snobbata collezione Pertini, giacciono da anni nei depositi senza essere esposti, benché di spazio disponibile ve ne sarebbe. E per la Cuneo ve ne sarebbe ancora di più, se si trasferissero nella Pinacoteca i notevoli dipinti e sculture appartenuti all’ex presidente della repubblica Sandro Pertini, creati da gente del calibro di Guttuso, Rosai, Fabbri, Messina e tanti altri maestri anche citati in precedenza dal sottoscritto qui su Trucioli, dove, uniti all’ancora più pregevole collezione Milena Milani, formerebbero la più imponente raccolta d’arte moderna della Liguria. Scelta, quest’ultima, che oltretutto renderebbe più unitario, sensato e rispettoso di quanto a suo tempo desiderato dall’artista nostrana il, così eventualmente ribattezzato, “Museo Renata Cuneo”.
Nonostante quanto appena scritto, lo spazio dedicato sul Priamar alla brillante e geniale donna savonese resta tuttavia assai interessante e ricco sia di veri e propri capolavori sia di pezzi comunque godibili, compreso le tre opere già citate e, detto per inciso, la Madonna Povertà bronzo del 1941, a cui la successiva Vergine della foto 6 sembra almeno in parte rifarsi. Se amate l’arte visitatelo, quando vi si presenterà l’opportunità, e magari andate anche ad ammirare di persona le opere presenti per le vie cittadine, il sottoscritto è convinto che non ve ne pentirete.
Testo e foto di Massimo Bianco