Regole a geometria variabile

“Se la Palestina avesse accettato come ha fatto Israele la Risoluzione 181 ( Partition Plan ) delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, ora non si troverebbe in questa situazione”.
Questo è ciò che spesso si sente dire da chi cerca di attenuare la responsabilità di Israele per il massacro in atto a Gaza e in Libano.

Ora, se le cose stessero così, non si potrebbe certo giustificare ma si potrebbe almeno capire la violenza che senza soluzione di continuità si è scatenata con picchi intollerabili in quel lembo di terra mediorientale.
Se stessero così. Ma non stanno così.

Intanto la Risoluzione 181, che prevedeva il 56,47% del territorio assegnato a Israele e il 43,53% alla Palestina, è frutto di una procedura anomala, che non avendo a disposizione i due terzi di voti a favore su 56 ( erano solo 33 e ne servivano 37 ), per raggiungere il quorum non ha considerato i 10 voti degli astenuti. Ma soprattutto non si dice mai una cosa essenziale, ossia che la 181 è una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU e non del Consiglio di Sicurezza, per cui non è un documento vincolante.
La spartizione avrebbe assunto valore di legge internazionale se, e solo se, entrambe le parti fossero state consenzienti o avessero insieme stilato un Trattato e poi lo avessero presentato alle Nazioni Unite.
Un’accettazione unilaterale non avrebbe dovuto avere giuridicamente alcun valore.
Giuridicamente, appunto. Perché storicamente le cose sono andate in un’altro modo: Israele ha proceduto comunque a costituirsi come Stato il 14 maggio 1948.

Ha confidato evidentemente in quell’idea, quanto mai vantaggiosa in politica, secondo cui quel che è fatto è fatto.
E siccome nel mentre la parte lesa contesta la legittimità l’altra parte provvede a consolidare lo status quo ( nella mentalità, nell’uso, nel privilegio…), il fatto compiuto non si può più annullare e non si torna indietro. Sarebbe troppo oneroso e scomodo, perché ormai tutto ruota attorno a quella realtà effettuale, si è posizionato e adattato in relazione ad essa ed è andato a condizionare strutture ed equilibri interni, e magari progetti di agenti terzi, entrati in gioco a volte inconsapevolmente.
E dato che questa tecnica di guadagnare tempo e di diffondere contestualmente narrazioni che per l’uomo della strada non direttamente coinvolto è difficile riconoscere dopo molti anni come costruite ad arte, ha prodotto nella fattispecie della diatriba israelo-palestinese i suoi frutti, ecco che è stata adottata con metodo anche dall’ultima generazione dei Coloni, ovvero dai figli e nipoti di coloro che illegalmente e progressivamente a cominciare dal 1967 ( e quindi ben prima del 7 ottobre ’23 ) si installarono nei territori della Cisgiordania assegnati ai palestinesi, e da dove non se ne sono più andati.
In particolare e non per nulla gli appartenenti alla “Hilltop Youth”, i giovani ebrei delle colline, che calano nei villaggi palestinesi imbracciando gli M16 per minacciare o per mettere in atto veri e propri pogrom, mostrano di aver imparato bene la lezione.
Per esempio, sapendo di godere dell’impunità e del tacito appoggio del Governo, nottetempo sistemano un’auto sul terreno di un contadino o di un pastore palestinese, e poiché l’auto non può essere rimossa senza l’intervento di un poliziotto puntualmente occupato in altre più importanti faccende,  per magia nelle notti successive si trasformerà in una roulotte, e poi in una casupola e poi in una casa… Il loro motto è: “Costruiamo e il permesso arriverà”.

E ora fingiamo pure di credere ciò che crede la maggioranza degli Israeliani, vale a dire che la Risoluzione 181 non sia solo una blasonata raccomandazione e debba pertanto  essere rispettata e messa in pratica.
Non ne consegue che le altre Risoluzioni ONU, quelle in particolare che a più riprese hanno intimato ad Israele di ritirarsi dai territori occupati e di permettere il ritorno dei profughi, debbano a loro volta essere rispettate e messe in pratica? 

Fulvio Baldoino

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