QUANDO SAREMO PRONTI?

QUANDO SAREMO PRONTI?

QUANDO SAREMO PRONTI?

 Quando saremo pronti in Liguria, a Savona e nelle nostre città a costruire una democrazia cittadina fatta finalmente di buone pratiche, di relazioni umane, di recupero di un rapporto con la natura e l’ambiente e magari con la salute della gente?

 Quando saremo pronti a riscrivere una nuova pagina di politica, intrisa di maggiore dignità, cultura ed etica?

Me lo sono chiesta più volte e oggi, più che mai, torno a chiedermelo.

Devo ammettere che mi sembra ancora molto lontano quel tempo, non solo per le responsabilità di una classe politica occupata a stare ai tavoli di chi depreda il territorio a suo uso e consumo, che decide sulla testa di tutti ignorando i più semplici principi di trasparenza e di dialogo con chi nel territorio ci vive.

Una classe politica che parla ancora un linguaggio intriso di accordi atti a organizzare “primarie” con le vecchie logiche spartitorie, dove si vorrebbe ancora decidere a Palazzo.

Una classe politica che parla ancora di “urbanistica contrattata” e si appresta a promuovere altra inutile e deleteria cementificazione come il Crescent 2 o che tradisce connivenze con aziende che praticano ancora il ricatto occupazione-salute negando l’esistenza di un’AIA provvisoria che autorizza a perpetrare altri danni all’ambiente e alla salute, in cambio di un “Osservatorio regionale salute e ambiente” inutilmente proposto a posteriori, sulle attività di una centrale Termoelettrica che inquina e uccide da quarant’anni.

Una classe politica testimone dell’incapacità di contrastare infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti, che paralizza i progetti pubblici di un Comune come l’ultimo del Prolungamento.

Ma le responsabilità sono anche nostre.

Dei cittadini di questo territorio, ancora troppo distratti, sempre più rassegnati, arresi all’inevitabile disonestà e scorrettezza di chi fa politica . Cittadini per cui è meglio non sapere cosa accade nel Palazzo, che preferiscono non conoscere di cosa sia composta l’aria che respirano e che si accorgono dell’insostenibilità della cementificazione quando ne ricevono un danno individuale o che si interessano di crisi economica e occupazionale  solo quando ne sono toccati in prima persona.

Molte volte mi sono trovata a pensare e a scrivere d’idee e pratiche per cambiare le nostre città, molte altre volte, abbandonata l’esperienza nei partiti politici, mi sono trovata , negli ultimi anni, a partecipare a incontri, riunioni, manifestazioni che dovevano portare a movimenti che avrebbero fatto la differenza, anche a Savona.

Non me ne sono mai pentita, anzi penso che la differenza l’abbiano fatta anche se, talvolta, senza incidere come avrebbe dovuto essere perché sono stata subito costretta a costatare che non sono stati veicolo di quei valori per cui erano nati. Non hanno resistito, perdendo quell’impeto con cui erano nati.

Allora mi sono, spesso, rifugiata nella consolatoria scrittura, convinta di condividere visioni, progetti politici o di semplice vita, senza l’obbligo di vederne la consequenzialità diretta.

E’ assurdo, ne sono convinta, ma è difficile sopportare l’incoerenza dell’alternanza di periodi di partecipazione appassionata e convinta a un progetto e altri di solitario rifiuto verso una realtà irrimediabilmente ripiegata in se stessa e incondizionatamente statica.

Mi sono chiesta spesso: è forse questo lo scrivere?

 Qui nelle nostre città, dove tutto sembra compromesso: il territorio consumato e idrogeologicamente dissestato, l’aria e l’acqua del mare danneggiati da decenni di combustione da carbone, la salute della gente compromessa in modo esponenziale, il traffico veicolare e la viabilità irrisolta, la raccolta e il conferimento dei rifiuti con differenziazione ai minimi storici e una classe politica, quella al potere, miope, connivente, pavida, incoerente e incompetente, e talvolta facile a compromettersi.

 Quali potrebbero essere le opportunità e le possibili soluzioni?

Quando penso al Movimento Cinque Stelle, a Uniti per la salute , a Italia Nostra, al WWF, per fare alcuni esempi, penso che con grande fatica ed determinazione abbiano fatto e stiano facendo la loro parte, incidendo sul territorio e imponendo un confronto con le amministrazioni, altrimenti assente.

Pur difendendo l’azione dei movimenti, che ritengo fondamentali per la vita cittadina, sono convinta, però, che ci sia bisogna di qualcosa di diverso per coinvolgere il cittadino, quello comune, ancora troppo lontano dalla convinzione che la partecipazione è necessaria a prescindere da un problema personale.

Sono sempre più convinta che si debba riscoprire più a fondo una trama comunitaria, dove sia possibile sconfiggere l’indifferenza e condividere le compassioni. Ma è anche vero che sarà necessario capire veramente per cosa stiamo lottando insieme, quali saranno i veri valori per cui sarà indispensabile una visione comune: la salute da non barattare col lavoro o la “crescita” incondizionata e il denaro a costo della vita nostra e dei nostri figli, uno sviluppo basato su altro cemento con la costruzione di altri alloggi prestigiosi o luoghi e piazze  di pubblico incontro, parcheggi per altre automobili da utilizzare sempre e comunque o nuova politica dei mezzi pubblici e di spostamenti su piste ciclabili e pedonalità?

Forse è proprio questo che ha determinato la menzogna, il disinteresse, l’opposizione strumentale a chi si batteva per i propri diritti .

In questo mondo che si sgretola dobbiamo convincerci che non c’è più tempo da perdere e bisogna costruire luoghi reali , dove le persone s’incontrano ed espongono le idee da condividere e fanno cose insieme agli altri  .

Bisogna costruire luoghi di nuova cultura, in contatti con chi abita lontano da noi, contro ripiegamenti localistici, dove si svolgono azioni di svago o di contestazione, di riflessione intellettuale o di produzione artistica.

Comunità provvisorie” così le definisce il paesologo Franco Arminio, “ pionieristiche e rivoluzionarie, non hanno un modello di società da raggiungere, né un ideale di uomo. Anzi, si parte proprio dal ridimensionare il ruolo dell’umano nel mondo, dal considerarci non la specie intorno a cui tutto ruota, ma una specie un po’ goffa che ha riempito il pianeta coi suoi figli e con le sue merci ed ora sente il petto oppresso da tanto peso.
Le comunità provvisorie non vanno al mercato delle idee e delle opinioni e si abbigliano delle vesti più consone al contingente. Si preferisce l’inattualità, si preferisce il margine non battuto, il luogo non illuminato. Si abitano gli spigoli più che il centro, si sta nei territori che fanno resistenza all’omologazione produttivistica, nei paesaggi che segnalano il ritiro dell’umano piuttosto che il suo trionfo.”

A Savona stiamo vivendo un tragico momento di crisi economica e di incompatibilità ambientale dove non si può più “prevenire” una catastrofe che è già in atto , si deve solo gestirla e limitarla.

Il sistema economico al collasso non migliorerà certo con altra inutile edilizia o  mega-discutibili appalti, né con illusorie assunzioni in piattaforme container o centrali a carbone che non potranno  assorbire tutti i licenziamenti prodotti dalle aziende chiuse o delocalizzate altrove.

Continuando a credere nel mito della crescita e dello sviluppo a tutti i costi e comportandoci come abbiamo fatto finora, i soliti “pochi” continueranno ancora ad accumulare ricchezze a scapito della maggioranza.

Potrebbe essere una proposta rivoluzionaria che richiede soprattutto un impegno personale, a partire dal saper limitare i propri bisogni, distinguendo tra quelli fondamentali e quelli indotti, ma si concretizza nel “ripensare in modo nuovo una società veramente alternativa alla quella di mercato che tanti danni ha fatto e di partecipare alla sua costruzione”

Quando saremo pronti?

 

ANTONIA BRIUGLIA

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