QUALE AMBIENTALISMO?

Il tema ambientale è sempre più discusso, a tutti i livelli, e vorrei qui aggiungere anche il mio pensiero, visto che ha occupato tanta parte della mia vita.
Il primo grande discrimine va posto tra ciò che possiamo vedere, sentire, toccare direttamente e ciò che invece ci viene riportato dai media.
Io ho sempre preferito riferirmi alla mia diretta esperienza, assumendo invece il dubbio come atteggiamento verso tutto ciò che ne esula, dai dati raccolti da istituti ufficiali alle denunce dei vari movimenti ecologisti o negazionisti, entrambi esposti ad interpretazioni ideologiche o di gretto interesse.
Partiamo dalla mia prima presa d’atto di una situazione oggettiva di inquinamento, che mi indusse a modulare sull’ambiente la mia futura visione del mondo.

Secondo la moderna formula per cui gli interni, privati, prevalgono sugli esterni, di tutti, l’ossessiva ricerca, iniziata negli anni ’60, del sempre più bianco per il mio bucato si rifletteva nel crescente inquinamento di fiumi e laghi, fino addirittura al mare (come l’Adriatico alla foce del Po)

Erano gli ultimi anni ’60 e il mio lavoro a Milano presso una multinazionale consisteva nel trattare l’acquisto di macchinari e impianti italiani, destinati alle varie consociate sparse per il mondo.

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Erano gli anni del “bucato sempre più bianco”, mentre i fiumi schiumavano per l’eccesso di detersivi e l’Adriatico era soggetto a ipertrofia per i fosfati contenuti negli stessi. Essendo la mia società la maggiore produttrice di detersivi, me ne sentii corresponsabile e iniziai a fare opposizione interna, fino alle “dimissioni agevolate” per togliermi di torno, anche in quanto scomodo membro del direttivo di Italia Nostra. Subii in sostanza un mobbing analogo a quello riservato ai sindacalisti più accesi.
Se i detersivi mi indussero a rinunciare a quel genere di lavoro, l’invasione delle auto in tutti gli spazi un tempo disponibili per le persone e l’ammorbamento dell’aria per le loro emissioni spinse me e un gruppo di intellettuali non schierati politicamente a costituire un gruppo di pressione sugli amministratori locali per arginare il fenomeno.
Naturalmente era la classica lotta di Davide contro un Golia ben più forte e tentacolare del suo corrispondente biblico, per cui abbandonai Milano alla sua frenetica crescita, motoristica ed edile, col sorgere e l’espandersi di squallide periferie ai suoi contorni, optando per una cittadina rivierasca a misura d’uomo: una frazione montana di Finale.

1974-75 Erano gli anni della presa di coscienza ecologica da parte di una ristretta cerchia di “insofferenti”, come gli autori del libro collettivo, tra i quali chi scrive. Una rivolta contro l’usurpazione di aria e spazio urbano da parte delle auto

Riassumendo, dei fenomeni che mi avevano turbato sotto il profilo ecologico non avevo nozione per sentito dire, ma erano tutti attorno a me, ben palpabili e conseguenti ad una crescita peraltro indicata come una conquista civile. Ma quanti, pur condividendo le mie avversioni, si inchinano invece al maestoso avvento di un progresso che pure ostenta i suoi lati nefasti? La stragrande maggioranza, pieghevole e supina. La stessa che oggi osanna la Meloni, che ha tradito buona parte delle sue promesse, in particolare nell’accogliere circa 1000 migranti al giorno, anziché respingerli, come fanno le altre nazioni.
I temi più infiammanti erano invece quelli che echeggiavano eventi remoti, come la guerra in Vietnam e i proclami di Mao Tse Tung, condensati nel suo mitico libretto rosso.
Fatta questa premessa generale tra vicinanza e distanza di eventi sui quali dobbiamo prendere posizione, devo constatare quanto anche oggi questa discrasia sia ben presente nei nostri giudizi in campo ambientale.

LA QUASI TOTALITÁ
DELLE NOSTRE CONVINZIONI
SI BASA SU DATI SUI QUALI NON
 ABBIAMO ALCUN CONTROLLO

Il tema che maggiormente scalda gli animi di cittadini e loro governanti è attualmente quello del cambiamento climatico. Ci sono, da una parte, gli effetti riscontrabili con la maggiore frequenza e intensità di fenomeni atmosferici, sia in prima persona che per averne notizia dai media. Dall’altra, ci sono le cause, o presunte tali, su cui si scontrano i pareri di scienziati e politici, che da più di 20 anni si incontrano periodicamente in consessi internazionali che perlopiù si concludono con un nulla di fatto. Il punto cruciale ruota attorno a questa domanda: è o non è la CO2 la grande responsabile delle ripetute catastrofi? Se la risposta è affermativa, allora è l’uomo il principale responsabile; e quindi spetta a lui porvi rimedio.
I negazionisti negano, appunto, questa responsabilità umana e ne attribuiscono le cause ad eventi di ben maggiore portata, attribuibili ad eruzioni solari ed altri di natura cosmica, che noi possiamo soltanto subire. Eventi, sostengono, già ripetutamente verificatisi su una Terra ancora sgombra della presenza dell’uomo o con un suo numero insignificante rispetto all’intensità dei fenomeni, dei quali nessun nostro antenato può ovviamente essere incolpato.

Sulle scie chimiche i negazionisti irridono ai “complottisti”, sostenendo che si tratti di scie di condensazione. Questo tema è a metà tra fenomeni catturabili direttamente dai nostri sensi ed altri, noti solo per sentito dire. Il dibattito è sulle cause: semplice scarico dei jet o rilascio di composti chimici, sbrigliando la fantasia sulla loro composizione

Ora, io mi domando: qualcuno ha modo di sperimentare con i propri sensi, pur coadiuvati dall’intelletto, che la CO2 abbia davvero questa capacità di effetto serra? La risposta è no, ed è affidata a ciò che ci riportano le riviste scientifiche e le loro propaggini giornalistiche.
Tuttavia, un formidabile meccanismo industriale si è messo in moto per dare una svolta epocale alle nostre esistenze, con la stessa furia di cui sono capaci soltanto le guerre. Una svolta basata su energie rinnovabili e “tutto elettrico”. Gli effetti collaterali di un simile terremoto energetico sono già ipotizzabili nell’enorme inquinamento sotteso ad es. all’estrazione delle terre rare o al consumo ipertrofico di energia e materiali per questa transizione, battezzata “green”: si pensi solo ai requisiti imposti a breve scadenza alle abitazioni da un’UE sostenitrice indefessa della transizione ecologica.
Ora, dobbiamo tenere presente che la ricerca scientifica è affidata sia a industrie che hanno interesse ad indirizzarla verso i suoi, peraltro comprensibili, obiettivi di profitto, sia ad università e centri di ricerca che, pur pubblici, sono in gran parte condizionati da finanziamenti privati, i quali non sono mai donazioni benefiche, ma investimenti a fini di lucro.

Enormi isole di plastiche galleggianti negli oceani sono ben documentate da riprese foto-video. Qui sia le cause che gli effetti sono indiscutibili. Ma fermare o diminuire l’uso di plastica usa e getta ne ridurrebbe la produzione, con tutti gli interessi che vi ruotano attorno. E queste isole continuano a crescere. Nessuno le nega, ma nessuno provvede

È sulla base di queste considerazioni che è sorta un’ampia frangia di oppositori ai grandi sconvolgimenti degli assetti industriali e civili che vengono giustificati come risposta umana ai guasti provocati dagli stessi umani. Oppositori etichettati come “negazionisti”, in quanto assolvono l’attuale stile di vita, basata sul consumo fine a se stesso e sugli sprechi, e bollano come “gretini” tutti quanti ne avvertono i pericoli.
I negazionisti scelgono la cecità di fronte ad isole immense di plastica galleggianti negli oceani, che innumerevoli foto e video stanno a testimoniare, come fossimo in loro diretta presenza. Ritengono accettabile che le città pullulino di automobili, di cilindrata crescente e quindi sempre più divoratrici di spazio. Tacciono, come del resto tace anche chi professa la svolta verde, sul fatto che il metano CH4 provochi un effetto serra assai superiore (80 volte [VEDI]) quello che si ritiene provocato dalla CO2. Ma il metano è prodotto in parte anche dai mostruosi allevamenti intensivi, coinvolgendo quindi sia i produttori di carne che gli stessi consumatori: mettere sotto accusa il metano implica dar vita ad un processo senza appello al consumo di carne della maggioranza, non vegetariana e tanto meno vegana, nonché dei milioni di cani e gatti che pressoché solo di carne si nutrono.
Questo è solo un esempio di come sia difficile per il comune cittadino discernere quanta parte dell’informazione sul clima e le sue presunte cause sia affetta e condizionata da formidabili interessi, che spaziano dalla spinta all’auto elettrica al silenzio sulle atroci sofferenze degli animali da allevamento, per citare solo alcuni tra i tanti casi di informazioni distorte o silenziate.

Pochissimi si chiedono cosa c’è a monte delle nostre diete carnee. I vegetariani sono visti come gente che ha liberamente fatto una scelta diversa, i vegani come estremisti. Il negazionismo qui serve solo a tacitare la propria coscienza, in una forma particolare di comportamento omertoso

A mio modesto avviso, dietro la valanga di informazioni e contro-informazioni si cela in sostanza la volontà di non recedere da questo tipo di esistenza sociale il cui motore di fondo è la crescita fine a se stessa; o, per meglio dire, asservita al mantenimento di un’esigua classe di grandi parassiti da parte della schiera dei very normal people, come una nota radiovisione italiana ama definire se stessa. Senza però escludere i “vizi di massa”, come il comandamento laico di un’auto per cranio, e di tanti pet ad alleviare la solitudine della crescente moltitudine di single o di famiglie senza figli.

La sede UE a Bruxelles. E’ considerato normale, quindi legale, che attorno a questo centro decisionale ruotino numerose lobby, il cui intento è quello di influenzare/piegare le leggi agli interessi di industrie private. Analoghe pressioni si verificano sui centri pubblici di ricerca e sui veicoli di informazione, manipolando il pensiero comune, alias le nostre convinzioni

In conclusione, la mia è una posizione scettica, che non parteggia per nessuna delle due parti, quando non ho elementi sufficienti per aderire all’una o all’altra; mentre ho il sospetto, che è quasi certezza, che ciascuna parte cerchi di strumentalizzare gli eventi negativi che ci affliggono proponendo la sua soluzione: svoltare verde secondo i precetti alla Bill Gates ed estremizzati dall’UE, o fregarsene dei ripetuti cataclismi atmosferici e di ciò che si cela dietro le nostre pratiche, anche le più apparentemente incolpevoli, come il mangiar carne tutti i giorni, o continuare con i combustibili fossili, la plastica e via dicendo, assolvendoci da ogni colpa, in puro stile Donald Trump. Mentre il mondo oscilla tra le due posizioni, in Ucraina non hanno di questi patemi, affidando alla guerra la sua precipua funzione, di distruggere per poi ricostruire, e ingrassare prima l’industria delle armi e poi quella edile. Ossia l’esatto contrario di qualsivoglia politica ambientale.

Marco Giacinto Pellifroni  11 giugno 2023

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