Pubblica amministrazione

Un’ esortazione al miglioramento
nella pubblica amministrazione

Un’ esortazione al miglioramento
nella pubblica amministrazione
 

Sono entrata nella PA dopo diversi anni di esperienze professionali, in ultimo la professione legale che ho esercitato presso studi milanesi. Mi hanno formata professionalmente ed umanamente, ho firmato il mio primo contratto di assunzione in un Comune lombardo alla non tenera età di 32 anni.

 Penso di poter parlare a nome di molti che, dopo anni di studio e di sacrifici, si sono trovati al bivio di dover scegliere, nel mio caso si trattava della professione legale: proseguire nell’incertezza o “entrare” nello Stato facendo, forse non ricordo più quanti concorsi, ma sicuramente più di quelli che ho dovuto sostenere per il corso di laurea. Eravamo tanti e ben preparati, ce la giocavamo per avere un posto fisso e garantito: si perchè in fondo non c’è nulla da vergognarsi nel desiderare un posto di lavoro che dia delle certezze economiche, requisito indispensabile per farsi una famiglia, comprare casa, vivere e progettare un futuro.

Un posto di lavoro sicuro, o quanto meno abbastanza, non significa che debba essere regolato da un modello che lamenta alcune inefficienze.

Chi mi ha insegnato il lavoro nella P.A, a cui devo molto, sono state sempre persone con grande esperienza ed intelligenti, persone che si erano guadagnate sul campo la professionalità sudandosi l’ingresso ed i passaggi.
Ma il punto è un altro.

I criteri per regolare le progressioni di carriera e l’assegnazione degli incarichi devono ruotare intorno all’unico vero valore aggiunto che è il capitale umano, poiché la P.A. non produce ne tubi ne macchine, ma solo competenze e capacità professionali!

 E‘ necessario quindi ancorare il giudizio sulle persone secondo quello che producono, come lo producono e con quale autonomia, ma qui, consentitemi, dovremmo anche avere chi sopra queste persone sa che cosa effettivamente fanno coloro per i quali hanno il compito di dirigere.

Il cambiamento deve partire sia dall’alto che dal basso.
Insomma quella libertà di lavoro e di organizzazione che dovrebbe essere lasciata alla responsabilità dell’incaricato e controllata dal superiore in un sistema virtuoso di controllo dell’operato e valorizzazione dell‘autonomia. Ed ecco l’altro aspetto: il concetto di responsabilità.

Responsabilizzare le persone dal piano più alto a quello più basso è lo strumento per arrivare all’obbiettivo: il merito. Non deve passare l’idea per cui ad un lavoratore si possa assegnare un compito e ad un altro no, a priori, senza quindi dare l’opportunità di mostrare il proprio valore, quindi deresponsabilizzando le persone prima ancora di iniziare.

Chi come me che ha vinto un concorso, oggi, con una concorrenza spietata, è a pieno titolo una delle mille facce dello Stato; è e deve essere considerato un privilegio, un onore ed un onere: abbiamo il dovere di dimostrare di eccellere ma per farlo dobbiamo essere messi nelle condizioni giuste.

Di sicuro, quindi, è necessario un ripensamento della crescita professionale concepita come percorso del singolo all’interno della propria amministrazione, intesa come datore di lavoro. Anche tramite la necessità di fare corsi di aggiornamento che siano professionalizzanti e utili, non delle ore di formazioni da conteggiare per fare delle medie che accontentino un po’ tutti.

Concludendo, basta con le professionalità ricercate al di fuori delle proprie strutture, abbiamo professionisti di ogni settore che possono liberamente portare la propria conoscenza senza doverla ricercare all’esterno;  spesso però la rigidità dei livelli e una visione per compartimenti stagni impediscono di sfruttare questo valore aggiunto per tutta l’Amministrazione, mettendo di fatto ai margini chi ha un inquadramento di basso livello, pur avendo a disposizione competenze importanti.

Bisogna ripensare alla meritocrazia in termini di percorso ad obiettivi che spinga il lavoratore ad essere stimolato alla crescita in termini economici e professionali: solo attraverso  il merito si può avere competenza.

Sonja Piovano

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