Prima i vecchi

Prima i vecchi
Non per compassione ma perché è questo
il senso della società e dello Stato

Prima i vecchi
Non per compassione ma perché è questo
il senso della società e dello Stato

 I concetti, e le parole che li esprimono, sono il dono prezioso che solleva l’uomo sopra l’immediatezza del bisogno, lo libera dalle strettoie della temporalità, gli consente di attingere il dominio della razionalità e con essa la libertà dello spirito. Ma l’uso, l’automatismo, la ripetizione inesorabilmente li logorano, tolgono loro smalto, li opacizzano e appesantiscono, finisce che suonano come monete false. In attesa che il filosofo o il poeta togliendo la polvere che li ha seppelliti restituiscano loro la luce e la freschezza perdute. Questo riguardo ai grandi significati e l’eterno ritorno della luce dell’intus legere nelle domande che richiedono continuamente nuove risposte, perché è una luce che non dà certezze, non rassicura, ma mette a nudo, espone con timore e tremore al brivido del dubbioma fuori dai grandi problemi, dalle raffinate speculazioni, nella quotidianità dell’esistenza la riscoperta del significato, il rischiaramento interiore è un processo continuo al quale la scuola contribuisce in modo decisivo, se e quando assolve davvero alla sua funzione.

L’ostacolo più subdolo è la retorica, sono le frasi fatte, il sentito dire, il pensiero pensato, tanto più nocivi quanto più trasmessi e accreditati dai mezzi di comunicazione di massa, identificati con l’autorità e capaci d chiudere le coscienze individuali all’interno della rassicurante ottusità della chiacchiera. E se il filosofo o il poeta sono i personaggi ideali che rinnovano la vergine innocenza della parola e la potenza disvelatrice del concetto, il politico, l’intellettuale, il giornalista, il mestierante della parola sono la reincarnazione dei nemici dello spirito o, più banalmente, i sacerdoti del conformismo e della massificazione. 

Quando la politica ha preteso di nobilitarsi presentandosi come portatrice di valori e ha cercato di coprire l’esercizio del potere e la difesa di interessi di parte coi lustrini del bene comune trasformando l’agone politico in una battaglia fra buoni e reprobi sono iniziati anche la sistematica   mistificazione del linguaggio, il saccheggio delle ideologie e il ricorso alla comunicazione per nascondere, ingannare e distogliere l’attenzione dai veri problemi creandone di falsi.


E vengo alle questioni fondamentali: quali sono il senso e lo scopo del vivere insieme, della comunità, della res publica, dello Stato? Mi sembra infatti che, come accade con l’aria che si respira, siano dati per scontati ma se ne sia perso il significato, salvo poi ritrovarlo nei momenti di anossia, che in questo caso corrisponde all’anomia che segue alle catastrofi. Lo dico brutalmente: il darwinismo sociale è un cumulo di sciocchezze: lo Stato in quanto tale, in tutte le sue forme, è la negazione del darwinismo ma non è nemmeno, i giganti del pensiero prendono delle cantonate anch’esse gigantesche – mi riferisco a Nietzsche – la presa del potere dei deboli che castrano l’energia e la vitalità dei forti. Al contrario: lo Stato è lo strumento col quale l’umanità si mette al riparo dal futuro, stipula una propria assicurazione sulla vita, ed è tanto più efficace quanto più riesce ad onorarla garantendo se stessa contro le avversità della natura. Il fuoco di Vesta che gli uomini si sforzano di mantenere acceso è la vita, senza la quale non ha senso parlare di libertà o necessità, istinto o razionalità, libertà o servitù. Il primo e basilare valore è la vita e lo Stato è il passo decisivo compiuto dall’umanità per salvaguardarla. Non è questione di deboli o forti, giovani o vecchi, maschi o femmine: l’esistenza è di per sé precaria e non c’è strumento individuale che possa mettere al riparo da questa condizione. Altro che tirannide dei deboli: fuori di quella protezione collettiva, dopo essere caduto da cavallo il grande filosofo non si sarebbe mai rivelato neanche a se stesso e non dico dell’opportunità che gli è stata concessa di emettere gli ultimi bagliori del suo spirito nella notte della demenza. Non c’è nessuna speciale liberalità, nessuna graziosa concessione nella cura degli infermi, nel sostegno agli inabili, nell’affetto, nella riconoscenza e nella tutela che si debbono ai vecchi e guai considerarli dei pesi o delle zavorre.


Perché sono loro la cifra della vita, sono loro il senso e il fine dello Stato. Le democrazie moderne, cadute nelle mani di quegli intellettuali, di quei politici, di quei giornalisti che hanno massacrato il senso delle parole e hanno operato una colossale trasmutazione dei valori, hanno dislocato quel fine trasformandolo in istituzioni, enti previdenziali, capitoli di spesa, lasciando ad intendere che si trattasse di conquiste sociali, di segni di progresso, di “democrazia”.

La vita è un valore, non è merce che si misura a chili o per la sua durata, come un prodotto che scade. L’ultimo, probabile, anno di vita del novantenne non vale meno dei, probabili, cinquanta del quarantenne. Tanto meno è lecito valutarla in termini di produttività, una bestialità questa che va oltre le cantonate prese da Nietzsche o da Darwin e che forse sarebbe ingeneroso attribuire alle peggiori ideologie novecentesche.


Va detto con chiarezza che la produttività e di conseguenza i consumi sono aspetti contingenti, storicamente dati, delle organizzazioni sociali, non ne toccano l’essenza, semmai ne rappresentano una anomalia in quanto generano falsi bisogni, falsi obbiettivi e aumentano il tasso di infelicità. Almeno in questo la chiesa, che personalmente considero mortificante come tutta la religione, ha svolto, sia pure con scarsa efficacia, un ruolo positivo. Ma l’ha fatto da una prospettiva sbagliata, quella della punizione, dell’antiedonismo, di una morale fondata sul nulla, che tale è la trascendenza. E quando chi condivide un obbiettivo giusto lo fa partendo da premesse sbagliate c’è da stare in guardia: dietro la faccia bonaria del prete si nasconde l’ipocrita. Detesto l’elemosina e diffido della caritas per quanto apprezzo la solidarietà, l’amore e il gusto della vita. In nome di questi valori e per ciò che intendo come democrazia guardo con raccapriccio alla spaccatura che si è creata fra i cittadini e lo Stato caduto nelle mani di mestieranti lugubri ostili e sprovveduti. Siamo finiti nelle grinfie dei nemici del popolo, una versione mediocre dei nicciani nemici della vita.


Fratoianni e Speranza

Quando sento Fratoianni, che per fortuna non è al governo ma che al governo è comunque legato con un fil rouge – non scrivo a caso rouge – o il suo ex collega di partitino ministro della salute che da quando è esplosa la pandemia congiura contro la salute fisica e mentale degli italiani con un fanatismo degno di Girolamo Savonarola mi pare veramente un portento che l’equilibrio non si sia ancora rotto perché il patto sociale è stato clamorosamente violato e i primi a non accorgersene sono proprio quelli che avrebbero dovuto custodirlo, il mesto e furbesco custode della costituzione e il nuovo terreo timoniere. Nei giorni che precedettero la catastrofe la terra a  Pompei cominciava a tremare e sul Vesuvio volteggiavano nubi poco rassicuranti: da qualche settimana le fibrillazioni nel Paese si fanno sempre più frequenti e cominciano a scuotere i palazzi del potere: può essere l’espressione di un malcontento qualunquista ma chi se la sente di escludere che non sia piuttosto la diana di una sacrosanta rivolta?

     Pierfranco Lisorini  docente di filosofia in pensione   

 

   Il nuovo libro di Pierfranco Lisorini  FRA SCEPSI E MATHESIS


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