Poltrone e privilegi

 Piero Calamandrei scrisse: “Il riconoscimento del diritto di sciopero conferisce al principio di libertà di organizzazione espresso nell’art.39 della Costituzione ed in particolare all’organizzazione sindacale, un forte strumento di effettività dando allo sciopero il ruolo di strumento giuridico atto a rimuovere la disuguaglianza sociale effettiva che caratterizza la posizione del prestatore nei rapporti con il datore di lavoro.”

Il costituente individua il diritto di sciopero come diritto pubblico di libertà, intendendo con questo diritto il complesso delle leggi che regolano l’organizzazione e l’attività dello Stato e dei suoi enti nei rapporti tra loro stessi e con i privati.

Con questa autorevole premessa perché schierarsi ogni volta contro i lavoratori che esercitano, nel rispetto delle norme, il diritto di scioperare?

L’annosa questione si è riaperta anche per lo sciopero indetto dalle categorie del pubblico impiego per il 9 dicembre p.v. 

Ecco la dichiarazione della ministra Dadone 

E aggiunge “Partite Iva e chi non ha un lavoro fisso sono in notevole difficoltà e qualcuno pensa di bloccare l’Italia e mettere a rischio la già fragile tenuta sociale” (fonte

A rincarare la dose la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, scrive sulla propria pagina Facebook: 

 

Siamo certi che siano proprio i sindacati a voler lo scontro sociale?

Perché lo sciopero? 

Nella lettera di indizione dello sciopero si legge: 

considerata l’assenza, ad oggi, di misure straordinarie e di un piano generalizzato in tutte le amministrazioni pubbliche dello Stato, degli enti locali e della sanità di assunzioni in tempi rapidi, volte a colmare le gravi carenze di organico che insistono nelle pubbliche amministrazioni dei comparti summenzionati, anche in  relazione alle necessità imposte dall’emergenza pandemica e dalla crisi economica;

− constatato, in particolare, che nel disegno di legge di bilancio non sono previste risorse finanziarie sufficienti per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro del personale dei comparti e delle aree delle Funzioni Centrali, delle Funzioni locali e della Sanità (necessarie per completare il recupero salariale di quanto perso nel precedente decennio di blocco contrattuale; per garantire il consolidamento in busta paga

dell’elemento perequativo previsto nei CCNL 2016/2018; per valorizzare la professionalità del personale delle pubbliche amministrazioni attraverso la riforma degli ordinamenti e dei sistemi di classificazione, anche al fine di migliorare l’organizzazione del lavoro e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni; per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa ed aggiornare il sistema indennitario, rimuovendo i vincoli normativi ad oggi esistenti)…LEGGI

 Vero che ognuno tira l’acqua al suo mulino ma siamo davvero certi che sia questo sciopero a voler spaccare il Paese e la sua forza lavoro?

 Il detto romano divide et impera è quanto mai veritiero. Spaccare il fronte dei lavoratori è il miglior modo per indebolirlo perché in  una situazione di crisi economica sono i lavoratori meno precari quelli che possono vantare il lusso di rivendicare diritti che potranno poi essere estesi anche alle altre categorie.

Non credo sia un caso che proprio Giorgia Meloni, leader di un partito di destra, parli di scontro sociale. Che nel suo subconscio emerga il ricordo dello sciopero legalitario del 1921 stroncato dal Duce anche grazie all’appoggio dell’opinione pubblica?

Condivisibile e drammaticamente vera l’affermazione della ministra “Partite Iva e chi non ha un lavoro fisso sono in notevole difficoltà” ma l’intento di chi sciopera non è certo quello di “bloccare l’Italia e mettere a rischio la già fragile tenuta sociale”.

Paradossalmente l’intendo degli scioperanti è quello di far sì che il governo ponga rimedio alle proprie inefficienze.

Chiedere assunzioni in tempi rapidi, volte a colmare le gravi carenze di organico che insistono nelle pubbliche amministrazioni significa pretendere un  rimedio alla  marchetta elettorale “Quota 100” .

Nella minuziosa opera di ricerca sul lavoro pubblico, esposta durante la presentazione iniziale di “FORUM PA 2020 – Resilienza digitale”, si legge che a fronte di 3,2 milioni di impiegati pubblici italiani, i pensionati sono 3 milioni; tuttavia ulteriori 540mila attualmente attivi hanno già spento 62 candeline (il 16,9% del totale) a cui devono aggiungersi “solamente” le 198mila persone che hanno maturato 38 anni di anzianità. Dal prossimo anno, nella  Pubblica amministrazione vi saranno più pensionati che lavoratori attivi.

 L’età media del personale è di 50,7 anni, con il 16,9% di dipendenti over 60 e appena il 2,9% under 30. Solo 4 dipendenti su 10 hanno la laurea, ma gli investimenti in formazione – necessari per aggiornare competenze e conoscenze – si sono quasi dimezzati in dieci anni, passando dai 262 milioni di euro del 2008 ai 154 milioni del 2018.

Chiedere maggiori fondi per valorizzare la professionalità del personale delle pubbliche amministrazioni significa anche incrementare i 48 € annui che il governo destina mediamente a ogni dipendente della p.a. per la sua formazione.

Ma il dato che più fa riflettere è quello che emerge dai primi dati dello smart working. Secondo Alberto Girardello (LEGGI) lo  smart working avrebbe aumentato l’efficienza della p.a. e ridotto i costi a carico della pubblica amministrazione di ben il  30% in termini di consumi energetici, mense e pulizie. 

Nonostante tutte le difficoltà oggettive che ben sa chi ha dovuto lavorare in questa modalità i pelandroni, gli inefficienti della p.a. hanno lavorato meglio da casa che dal proprio ufficio; sarà che a casa i loro pc siano più potenti di quelli forniti dal loro datore di lavoro?

La p.a. ha risparmiato in termini di consumi energetici, non c’è da stupirsi considerando che i computer, luci e riscaldamenti degli uffici sono rimasti spenti ma si sono accesi quelli delle case dei lavoratori che hanno indirettamente finanziato lo Stato italiano. 

Tornando alle parole di Calamandrei questo sciopero, come tutti gli altri, al di là delle parole di chi vuole strumentalizzare a proprio favore ogni forma di protesta, è, e resta, lo strumento giuridico atto a rimuovere la disuguaglianza sociale effettiva che caratterizza la posizione dei lavoratori nei rapporti con il proprio datore di lavoro, pubblico o privato che sia.

CRISTINA RICCI

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