Politica nazionale

DISTINZIONE TRA DESTRA E SINISTRA
PERSONALIZZAZIONE DELLA POLITICA

DISTINZIONE TRA DESTRA E SINISTRA
PERSONALIZZAZIONE DELLA POLITICA

Coloro i quali, a sinistra, osteggiano e diffidano della dilagante “personalizzazione della politica” sono fatti oggetto, da più parti e in particolare da coloro che si credono investiti da una sorta di “missione del nuovo”, di una sorta di dileggio che prende le mosse dall’idea di un legame con il “vecchio”, con i riti di una “antica politica” che si vuol ripristinare per soffocare le voci libere, indipendenti, “nuove”, carismatiche.

Sarebbe il caso di ricordare come quella che viene definita “vecchia politica” piena di bizantinismi e di riti, quella degli antichi partiti di massa aveva prodotto, nel secolo scorso, un complessivo, formidabile avanzamento delle forze del movimento operaio anche qui, nell’Occidente capitalistico, contribuendo a migliorare le condizioni di vita, a far crescere la cultura, ad emancipare socialmente i soggetti più deboli: le contraddizioni furono, e sono, formidabili ma crediamo che a quel bilancio non ci si possa sottrarre.

Non è questo, però, il punto che intendevamo toccare in questa occasione: anzi il nostro raggio d’azione sarà molto più limitato.

Stiamo lavorando da tempo cercando di ricordare la distinzione di fondo che, sul piano dell’agire politico continua ad esistere tra destra e sinistra, ed il tema della “personalizzazione”, dell’ uomo (o della donna) solo al comando, dell’”unto del signore” è un tema assolutamente decisivo: a destra ci si può permettere di muoversi in quella direzione; anzi la destra “vera” ha bisogno di un’unica leadership carismatica e va in crisi ogni qual volta questa viene a mancare.

L’ideale per la destra è, tra l’altro, la leadership populistica (nel caso italiano l’egemonia culturale della destra nasce proprio dall’esistenza di questo tipo di “modello di comando”, ed è una egemonia profondamente installata nel cuore di un paese dalla società sfrangiata, percorso da pulsioni diverse la maggior parte dedicate ai tratti più negativi – almeno dal nostro punto di vista – dell’agire politico), mentre solo casualmente, in situazioni di pericolo estremo, la destra si affida a “modelli di comando” posti su di un terreno di affinità con un uso razionale del concetto di dominio (penso alla Francia di De Gaulle, una situazione che fra l’altro coincideva ancora con un momento “alto” del nazionalismo).

La sinistra non può permettersi leadership populistiche, ma soprattutto non può permettersi una collocazione sulla linea di una agire politico fondato sul “leaderismo” direttamente rivolto al popolo.

La fragilità estrema di questa opzione finirebbe, in un sistema politico come quello italiano (e comunque europeo, contraddistinto da una irriducibile pluralità di opzioni, che possono essere contenute dai meccanismi elettorali sul terreno dell’accesso alle istituzioni, ma che poi inevitabilmente nel confronto sociale e culturale tornano fuori, riproponendo appieno la “questione politica”) a portare direttamente ad una caduta rovinosa.

La distinzione tra destra e sinistra passa, ancora una volta, tra l’individuale ed il collettivo anche in questo senso e la formazione del PD in Italia (soggetto anomalo, non fondato sul tentativo di fusione tra culture diverse ma, originariamente, è bene ricordarlo, su la ricerca di leadership individuali attraverso il meccanismo delle primarie) ne dimostra ancora una volta la validità: l’esempio di queste ore è banale, ma serve a far riflettere.

La presidente del PD, on. Rosi Bindi, si è resa protagonista di una uscita incauta e deleteria proponendo una alleanza con i post-fascisti che stanno uscendo (vedremo se e come) dal PDL.

Il punto non sta nella dabbenaggine evidente dell’uscita (salvo non si volesse provocare l’immediato diniego degli interpellati, al fine di chiudere la porta alla deprecabile eventualità).

Non affrontiamo poi il tema delle dichiarazioni a raffica di amministratori locali che intervengono “ad alzo zero” sulla politica nazionale, con toni distruttivi oppure di auto-candidatura, sempre in nome del cosiddetto “nuovo” (in alcuni casi si tratta di personaggi che hanno compiuto, per intero, tutta la scala burocratica all’interno, e nei tempi, di quelle organizzazioni che adesso disconoscono e deprecano quali fonte di tutti i mali).

Torniamo, però, all’argomento:i grandi partiti di massa (m anche quelli piccoli, strutturati però su quel modello) disponevano sicuramente di personalità di elevato livello, in competizione fra di loro all’interno del partito, provvisti di dati politici, culturali diversi: ebbene, grazie proprio al tipo di organizzazione, a quei “riti” così deprecati, esistevano luoghi politici nei quali la discussione era aperta, il confronto serrato e la posizione era quella degli “organismi politici” e non dei singoli (un altro conto era quello del dissenso al riguardo di queste scelte collettive: l’errore fu quello, ma erano altri tempi, dell’impossibilità di avanzamento “esterno” di posizioni di dissenso, che sarebbero state comunque espresse, non in forma individualistica, ma rispetto alla posizione elaborata da un organismo collettivo, in un quadro dialettico molto diverso dalla odierna“leggerezza dell’apparire”).

Aver impedito quella possibilità di intervento in dissenso sul piano pubblico, fermo restando il concetto di “posizione collettiva” ha rappresentato un limite di fondo nell’azione dei grandi partiti di massa che, altrimenti, in altre situazioni rispondevano con l’organizzazione correntizia, sulla quale comunque molto ci sarebbe da analizzare, prima di consegnare il tutto al concetto di deleteria incubatrice della “partitocrazia”.

Una sinistra che intenda far valere la propria presenza nel paese, ricostruendo un tessuto unitario autonomo, avanzando proposte di alleanze destinate a fronteggiare la difficile situazione in cui stiamo vivendo e della quale ci stanno sfuggendo i contorni sul piano della crisi più evidente della democrazia repubblicana, potrebbe cercare di ripensare a questi elementi, tentando di ritrovare l’insieme di quei fattori di distinzione tra la destra e la sinistra che hanno fatto la storia del nostro sistema anche sul terreno, delicato ed importantissimo della “qualità dell’agire politico”.

Savona, 4 Settembre 2010                                                             Franco Astengo

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