Per un approccio razionale alla questione dell’immigrazione in Italia

Nel 2021 il numero delle iscrizioni anagrafiche degli immigrati in Italia è stato pari a 243.600. Nello stesso anno sono emigrati all’incirca 158.000 italiani. Il saldo è stato positivo per 85.600 persone. Sempre nel 2021 sono nati 399.000 bambini, mentre i decessi sono stati 709.000: il saldo naturale negativo è stato pari a 310.000 abitanti. Con un saldo migratorio positivo inferiore alle 86.000 iscrizioni anagrafiche l’Italia ha perso circa 224.000 residenti.

Il 1° gennaio 2022 risiedevano nel nostro Paese poco meno di 5,2 milioni di stranieri, mentre i connazionali espatriati erano più o meno 5,8 milioni. La popolazione residente è in costante diminuzione dal 2014, allorché raggiunse i 60,3 milioni di persone. Risulta che al 1° gennaio 2022 gli abitanti siano calati a 58.983.000 portando in 8 anni la perdita cumulata a 1.363.000 unità (che corrisponde all’incirca al numero di residenti nel Comune di Milano).

Dunque, qual è il problema?

La risposta si trova in pochi dati: gli ultrasessantacinquenni sono 13,9 milioni, i minori di quindici anni sono 7,6 milioni.

E quindi?

E quindi c’è un ultimo dato, riportato il 23 maggio scorso dal Corriere della Sera[1]: per 14 lavoratori ci sono 10 pensionati, si prevede un rapporto lavoratori/pensionati = 13/10 tra dieci anni. Risulta quindi evidente che l’andamento demografico italiano attuale non consente di sostenere il sistema previdenziale: oggi la fascia d’età compresa tra i 50 e i 59 anni si avvicina agli 8 milioni di persone, mentre 4 occupati su 10 hanno più di 50 anni.

Le soluzioni sono tre:

  1. diminuire l’importo degli assegni pensionistici erogati, peraltro già magri;
  2. spostare in avanti l’età dei pensionamenti, peraltro già elevata;
  3. accogliere e integrare un numero di immigrati molto maggiore ed inserirli in un mercato del lavoro estremamente bisognoso di risorse umane.

Io propendo per la soluzione n. 3. Mi sembra la più umana, eticamente corretta, la meno lenta (se per un’ipotesi “fantascientifica” di qui a 5 anni ogni donna fertile partorisse 5 figli, bisognerebbe attendere almeno vent’anni per avviare questi nuovi concittadini al lavoro). La soluzione n. 3 è quindi la più praticabile e appare come la più razionale…

La politica italiana presente, però, è tutt’altro che razionale e c’è da dubitare che a breve saremo in grado di attuare azioni amministrative efficaci in questo senso. Il “discorso” politico generale è di livello sottocorticale, si localizza più o meno all’altezza della pancia ed è infarcito di pregiudizi. Predomina la xenofobia, non si hanno idee su come gestire l’immigrazione, non se ne analizza la composizione, viene costantemente considerata un costo sociale – mai una risorsa – e generalmente si rifiuta di accogliere. Con ogni probabilità si prenderà atto della realtà quando non ci sarà più altro da fare.

I flussi migratori sono inarrestabili, lo sono sempre stati: basti solamente pensare a quelle che per noi sono passate alla storia come “invasioni barbariche”, mentre nel mondo tedesco sono definite “migrazioni dei popoli”. Tra l’altro, per prendere atto di quanto siamo propensi a migrare, basterebbe notare che la specie homo [cosiddetto] sapiens origina in Africa (subsahariana) ed è presente in ogni continente da decine di millenni, tranne in Antartide.

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Il vero nodo da sciogliere è quello dell’integrazione degli stranieri e su questa devono essere indirizzate le risorse. Integrare equivale a rendere possibile la convivenza tra genti di diversa origine: non è concepibile, infatti, la coesistenza di sistemi giuridici differenti ed incompatibili. In questo senso il multiculturalismo non sembra essere una buona idea, mentre può essere possibile per regole di livello minore che interessano la libertà individuale, come ad esempio quelle che riguardano le abitudini alimentari. Il multiculturalismo è auspicabile se è inserito nel contesto dei valori fondativi della società che accoglie ed è rispettoso dei medesimi valori. In culture diverse dalla nostra potrebbero esistere regole che entrano in conflitto con il nostro sistema giuridico (che a sua volta è fondato su valori non negoziabili). Se per ipotesi certi dettami imponessero agli appartenenti ad un certo gruppo sociale di portare il pugnale alla cintura passeggiando per strada, questo per noi sarebbe un intollerabile e illegale porto d’armi. È invece possibile organizzare le mense scolastiche in modo da rispettare chi non intenda cibarsi di carne suina per precetto di religione.

Il dibattito pubblico dovrebbe essere indirizzato sui temi dell’integrazione e dell’accoglienza, dal momento che coloro che si integrano nella società italiana, ne accettano i valori fondanti, ne apprendono la lingua e sono messi in grado di lavorare e di partecipare alla vita pubblica, sono e saranno uno dei punti di forza della società italiana. Di contro sembra che i media enfatizzino un “discorso” sostanzialmente inutile, che sovente assume i connotati della “caciara”, come ad esempio quello sui presepi nelle scuole. I dibattiti di questo tenore non servono a nulla se non ai politici che li alimentano pretestuosamente per evidenti motivi elettorali. Mi sembra che si tratti di un genere di pseudo-problemi che andrebbe ridimensionato e non amplificato, mentre il tema dell’inverno demografico italiano dovrebbe essere centrale, dati i risvolti drammatici che potrebbe assumere di qui a pochi anni.

Accogliere e integrare non è soltanto giusto, è anche razionale. Contro la vulgata secondo cui gli stranieri in Italia sarebbero un costo sociale puro si possono addurre numerosi dati oggettivi.  Tra i molteplici apporti facilmente reperibili in rete, lavoce.info riporta i dati del 2019 nell’articolo Il contributo degli immigrati al bilancio pubblico[2]. Nel 2019 il contributo complessivo dei lavoratori stranieri alle casse previdenziali ha raggiunto circa 15,4 miliardi di euro, corrispondenti al 6,5% del totale dei contributi sociali versati all’INPS. L’articolo riporta una tabella riassuntiva dove sono messe a confronto le entrate e le uscite dello Stato per l’immigrazione, espresse in miliardi di euro. La sintesi è questa: totale delle entrate 29,25; totale delle uscite 25,25; saldo positivo 4. Occorre notare che la tabella mostra contribuzioni previdenziali per 15,4 miliardi circa e pensioni erogate per 1 miliardo circa (dato riferito ai soli cittadini extracomunitari, che peraltro sono circa il 72% degli stranieri regolarmente residenti in Italia).

Contro la vulgata secondo cui gli immigrati sarebbero per lo più dediti al parassitismo e all’accattonaggio, si può citare Statistiche in breve, pubblicate in rete dall’INPS e curate dal Coordinamento Generale Statistico Attuariale di tale Istituto. Nel novembre 2022, l’Osservatorio sugli stranieri ha riportato i dati del 2021: il numero di stranieri rilevati da Inps è pari a 3.912.814, di cui 3.407.805 lavoratori (87,1%), 280.923 pensionati (7,2%) e 224.086 percettori di prestazioni a sostegno del reddito (5,7%). Se sono presenti meno di 5,2 milioni e di questi oltre 3,9 sono occupati vuol dire che più di 3 su 4 si guadagnano da vivere lavorando: dove sono i supposti parassitismo, accattonaggio e costo sociale? Non certo nell’1 su 4 rimanente che, potrebbe essere a carico della sua famiglia, magari perché minore, oppure percettore di pensione (in realtà solo 1 straniero su 19 è pensionato, mentre i minorenni sono 1 su 5). Questi 1,3 milioni di stranieri non occupati sono, come vuole un’altra inossidabile vulgata, il serbatoio della delinquenza? Openpolis ci risponde con precise cifre: come mostrano i dati Antigone, la forbice tra detenuti stranieri e italiani aumenta all’aumentare della pena. I primi costituiscono quasi la metà di tutti i detenuti che scontano pene inferiori a 1 anno, ma appena il 12% di quelle superiori ai 20 anni. Una cifra che scende ulteriormente nel caso della pena più grave, l’ergastolo: se gli immigrati regolari sono l’8,5% dei residenti, solo il 6% dei condannati all’ergastolo in Italia sono di nazionalità straniera [3]. È evidente che la cosiddetta microcriminalità è da collegarsi alle condizioni di miseria ed esclusione sociale alle quali gli stranieri sono maggiormente esposti rispetto agli autoctoni. In ogni caso lo stesso articolo chiarisce che: negli anni sono aumentati gli arrivi di migranti, eppure non è aumentata la criminalità generale. Nel periodo tra il 2010 e il 2018 le persone condannate in Italia sono diminuite del 15,1% a fronte dell’aumento di 1.496.312 unità di stranieri residenti nei medesimi anni.

Contro il luogo comune secondo cui gli immigrati sottrarrebbero posti di lavoro ai giovani nostri connazionali in primis bisogna domandarsi: quali giovani? Una risposta si trova nella “piramide” delle età in Italia: basta guardarla. Assomiglia molto di più ad un romboide che ad una piramide. L’altra risposta si trova nel tipo di lavoro svolto per lo più dagli immigrati: impieghi e qualifiche ben poco ambiti dai giovani italiani.

Contro il luogo comune secondo cui gli stranieri in Italia sarebbero troppi è sufficiente fare il confronto con altri Stati europei. È quello che fa il blog Le Nius[4]: Il nostro ’8,5% contro il 17,0% dell’Austria, il 13,0% dell’Irlanda, il 12,7% della Germania, il 12,6% del Belgio, l’11,3% della Spagna e il 9,2% della Danimarca. Secondo Le Nius quello della Francia è un caso particolare per via del tipo di conteggio adottato: l’incidenza della popolazione straniera è del 7,7%, quindi più bassa della nostra, ma se si considera l’insieme dei nati all’estero il Paese d’oltralpe raggiunge il 12,8%. Il blog di seguito aggiunge: Eclatante il caso della Svezia, che ha 900 mila stranieri residenti, che diventano 2 milioni se consideriamo anche gli svedesi nati all’estero. In pratica 1 svedese su 5 è nato all’estero. Ancor più eclatante, allora, appare il dato svizzero pari al 25,8%.

Infine, esiste la diffusa opinione sovranista secondo cui l’uscita del nostro Paese dall’UE porterebbe innumerevoli vantaggi, tra cui (secondo loro) la riduzione dei flussi immigratori (chissà poi a che pro). Contro questo luogo comune, abbiamo sotto i nostri occhi il caso del Regno Unito che rispetto al 2016 (anno del referendum brexit) nel 2022 ha registrato un afflusso di migranti doppio[5].

Con il presente scritto si è tentato, in modo modestissimo, di affrontare la questione immigrazione in termini razionali (dove l’etica, contro le insulse insinuazioni di “buonismo”, rientra nella razionalità e nel ragionamento) e allora bisogna cercare i numeri, non le suggestioni o le impressioni. Proprio per questo le cifre qui riportate riguardano gli immigrati regolari che costituiscono la componente di gran lunga più numerosa e più stabile dell’insieme. Nel nostrano pseudo-dibattito odierno non si fanno molte distinzioni tra immigrati residenti, migranti irregolari, richiedenti asilo, rifugiati e appena sbarcati, mentre tutta la questione ci viene quasi costantemente presentata usando parole e intonazioni allarmistiche e inquietanti. All’opposto l’immigrazione è da considerare come una grande opportunità che, di fronte al drammatico andamento demografico italiano, dovrebbe renderci meno ansiosi.

[1] https://www.corriere.it/economia/pensioni/23_maggio_07/piu-pensionati-che-lavoratori-attivi-39-province-sfondata-soglia-parita-35f4a6e2-ec9d-11ed-ba41-36c5c16312cc.shtml.

[2] Indirizzo https://lavoce.info/archives/90553/il-contributo-degli-immigrati-al-bilancio-pubblico/

[3] Openpolis: La strumentalizzazione del rapporto tra criminalità e migranti, https://www.openpolis.it/la-strumentalizzazione-del-rapporto-tra-criminalita-e-migranti/

[4] Le Nius (https://www.lenius.it/quanti-sono-gli-immigrati-in-italia-e-in-europa/).

[5] Avvenire di giovedì 25 maggio 2023, Record in Gran Bretagna. Brexit non ferma le immigrazioni: aumentano di 600mila persone, https://www.avvenire.it/mondo/pagine/record-di-immigrati-in-gb

Fabio Tanghetti Democrazia Solidale, Demos  Liguria   

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