Ormea

Un record storico,culturale, di devozione, per itinerari turistici non valorizzati
Ormea e i piloni, un primato d’arte unico al mondo
50 i dipinti da Eugenio Arduino. Ma pochi lo sanno
Quasi 300 affreschi vanno in malora. Incredibile impotenza e disinteresse

 Un record storico,culturale, di devozione, per itinerari turistici non valorizzati
Ormea e i piloni, un primato d’arte unico al mondo
50 i dipinti da Eugenio Arduino. Ma pochi lo sanno
Quasi 300 affreschi vanno in malora. Incredibile impotenza e disinteresse
 
Ormea-  I piloni, la cultura e il restauro.  Un paio di anni fa, quando annunciai l’intenzione di scrivere su Ormea un secondo libro, più completo e approfondito di “Ormea qualcosa in più”, il sindaco Gianfranco Benzo mi suggerì di approfondire la situazione dei piloni. Onestamente, non me ne ero occupato perché non ci avevo badato, perché ne avevo visti pochi e perché non mi sembravano una faccenda importante. In ogni modo ho raccolto la sfida e sono andato in giro a cercarli. 

I primi che ho trovato li ho indicati su una carta geografica con una crocetta. Poi le crocette sono aumentate, e per non perdermi ho incominciato a numerarli. Man mano che li trovavo, naturalmente.

 I primi due sono sulla statale, da Ormea a Cantarana. Il numero 40 è a Chioraira. Ma poi, superato il numero 99, ho dovuto continuare con numeri a tre cifre e non è bastata neppure la carta geografica. Così, ho dovuto disegnare al computer una carta nuova, basandomi sulle carte esistenti e, in particolare, con quelle dell’Istituto Geografico Militare che, essendo aggiornate agli anni ‘30, riportano le strade e i sentieri originali ora quasi spariti: perché i piloni si trovano soprattutto su queste strade. E così ho incominciato a indicare i piloni – con un pallino e un numero progressivo – su questa carta elettronica, distinguendo tra i piloni veri e propri e i dipinti sulle facciate delle case, delle stalle e di ogni altro edificio.

Ho finito per girare in lungo e in largo il territorio di Ormea con l’animo del collezionista e dell’archeologo, ho messo insieme (finora) 280 piloni, ho scattato 1.500 fotografie, ho imparato a distinguere gli artisti principali, mi sono amareggiato per lo stato di degrado in cui i piloni si trovano e ho predisposto una presentazione, con un’ottantina di slides, che ho ripetuto tre volte a Ormea, una volta all’Università degli Studi di Genova, una volta al Rotary di Savona e un’altra volta, a Imperia, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio.

 Ho raccolto consensi e sono stato anche preso in giro per la mia eccessiva dedizione al compito, come se io fossi un devoto fanatico: cosa del tutto falsa. E, sul libro di prossima pubblicazione, ho aggiunto un’appendice di una settantina di pagine dove i piloni sono indicati uno per uno, ognuno con un commento che sintetizza la situazione in cui si trova, lo stato di degrado, le urgenze e così via.

Ora sono arrivato quasi in fondo alla ricerca. Quanti piloni manchino al nostro elenco, a questo punto ovviamente non so. Ma non credo che siano più di qualche decina. Quelli che mancano si potranno trovare solo con la collaborazione di chi, localmente, ne sa più di me perché conosce gli anfratti della sua proprietà, difficile da esplorare come ogni bosco. Tuttavia non dovrebbero essere molti perché quasi dappertutto ho potuto frugare con anziani conoscitori del luogo.

In ogni modo, non credo che conoscerli proprio tutti cambierà l’idea che mi sono fatto finora. Un’idea che qui cercherò di sviluppare con l’approccio che in altri tempi fu la mia professione principale: quella del professionista chiamato ad approfondire la situazione delle aziende per dare, alla proprietà, un parere serio su ciò che si deve e si può fare per migliorarne la situazione e il futuro.

La mia conclusione è che i piloni di Ormea sono un fatto culturale quasi incredibile per dimensione e per omogeneità: duecento piloni su duemila abitanti, uno ogni dieci. Un fatto culturale che potrà essere utilizzato a vantaggio di tutti, ma che si sta polverizzando per colpa del tempo, dell’incuria e dell’incultura di chi dovrebbe difenderlo.

Dal punto di vista turistico e ambientale Ormea ha grosse qualità che però, purtroppo, in Italia non sono del tutto eccezionali. Ha delle splendide dolomiti, ma altrove ne esistono altre più note e anche più splendide: è vero che non ne esistono altre in Liguria, ma pochi lo sanno. Ha splendidi panorami, anche sulla Corsica: dalle altre Alpi la Corsica non si vede, e neppure il golfo di Genova, ma pochi lo sanno. Ha una ferrovia di montagna, quasi unica, ma è quasi inutilizzata e nessuno si occupa di valorizzarla dal punto di vista turistico. Dunque, qualità poco conosciute e mal vendute mentre Ormea, a 750 metri di quota. è afflitta dalla scarsità di neve sciabile e dalla mancanza di impianti di risalita verso le zone innevate. E, poi, turisticamente Ormea non è conosciuta abbastanza, mentre ogni iniziativa industriale che ne migliori l’economia può facilmente offrire aspetti turisticamente negativi.

Invece, i piloni sono un fatto culturale che può offrire grossi vantaggi turistici, purché non si polverizzino. Può offrire grossi vantaggi turistici purché si sia capaci di “venderlo”: perché i piloni di Ormea sono importanti non solo per numero, ma anche come qualità di opere d’arte. Basterebbero i cinquanta piloni decorati da Eugenio Arduino, per farne un caso unico al mondo. Purché non vengano distrutti. Oppure ricostruiti o ricoperti, che è quasi peggio.

 

 I piloni d’Ormea sono in gran parte su proprietà private che spesso appartengono a persone scomparse, emigrate o comunque poco interessate alla loro manutenzione. Il Comune non nuota nell’oro e gli sforzi per coinvolgere la Soprintendenza o qualunque possibile sponsor almeno finora sono stati inutili.

  I danni causati dall’umidità e dagli inverni sono gravi e crescenti. E’ normale incontrare persone pronte a giurare che “un certo pilone” cinquant’anni fa era ancora splendido, mentre ora non lo è più. I tetti colabrodo sono la norma, gli intonaci fatiscenti pure. Alcuni piloni (per esempio il Pilun dell’Arma, sulla strada di Vacieu, del 1721) sono così danneggiati alla base da far temere che possano crollare da un momento all’altro.

E, poi, c’è il cosiddetto restauro. Che sarebbe indispensabile, subito, almeno come restauro strutturale, perché c’è poco da intervenire sulla pittura se il pilone crolla. Un restauro che, quanto meno, dovrebbe essere fatto per proteggere da danni ulteriori anche la pittura, se non si può fare nulla subito per restaurarla. Ma purtroppo anche il restauro soffre di danni dovuti a equivoci culturali. Qualche mese fa, sulla strada che conduce a Aimoni, pochi passi sopra la Statale 28, un pilone crollato a metà è stato “restaurato” demolendolo e ricostruendolo con un “qualcosa” privo di anima che con il pilone originale non ha neppure la più lontana rassomiglianza: eppure non sarebbe stato difficile restaurarlo in modo ragionevole e costruttivo.

A Ormea, i casi di affreschi dell’Ottocento ricoperti (e non restaurati) con pitture recenti sono numerosi e snaturanti anche quando le nuove pitture, in sé, non sarebbero malvagie: ma lo sarebbero solo se fossero fatte da qualche altra parte, non certo sovrapponendosi a una pittura antica di un secolo, indipendentemente da chi l’ha realizzata e ancora peggio se costui era un pittore di valore come Eugenio Arduino.

Eppure, qualche mese fa, la “Deposizione” (olio su lamiera di zinco di Arduino) al Bungattu, che consideravo il più bello e il più sofferto tra i dipinti della vecchiaia di questo pittore, è stata ricoperta (forse in acrilico) da un signore che non ne ha ricalcato anche la firma su un quadro che, di quello originale, non è neppure una brutta copia.

Naturalmente, tutti dovrebbero sapere che i piloni sono tutelati dalla legge anche se sono su proprietà private, che per poterli restaurare occorre un progetto e un beneplacito della Soprintendenza, che il restauro arbitrario è un reato punito dal Codice Penale. Ma il punto non è questo, se si considera la buona fede e la buona volontà di chi fa queste cose credendo di far bene e pensando soprattutto di salvare l’aspetto devozionale trascurando quello artistico che non è certo secondario al primo.

Il punto è, brutalmente, che quando i piloni saranno tutti crollati oppure restaurati con questi criteri (o, meglio, con questa mancanza di criterio), Ormea sarà privata di un patrimonio che le appartiene e che non potrà essere rimpiazzato, perché i piloni ricostruiti non hanno valore. Mentre il suo patrimonio culturale oggi è una grandiosa, quanto sconosciuta, galleria d’arte all’aperto. Un patrimonio che, in termini mercantili, può essere un’attrattiva unica, la base per itinerari turistici unici al mondo.

 Un patrimonio per il cui restauro occorrerà denaro che per adesso non si trova e che, al momento in cui arriverà, non troverà più piloni ma mucchi di sassi, a parte le mie fotografie e il mio libro. Un patrimonio sul quale, se si vuole e se si può, per ora possono intervenire solo i privati.

Considerando che le spese dei restauri strutturali sono modeste e possono consentire di mettere la parte artistica “in sicurezza”. Un patrimonio, per difendere il quale c’è almeno una persona disponibile a lavorare gratis su due piloni, purché le si dia l’appoggio e l’aiuto necessari: un appoggio e un aiuto che, dopo un anno, non sono ancora arrivati.

E, intanto, il deterioramento avanza. Da quando ho incominciato a occuparmene, due piloni sono crollati e altri due sono stati distrutti per “restaurarli”. Due su cento. Come dire che in cinquant’anni non ce ne saranno più: ma non è vero, il tempo sarà molto più breve, perché i piloni ormai sono già troppo deteriorati per poter durare così a lungo.

Intanto, per fortuna la deposizione del Bungattu l’avevo fotografata così dettagliatamente che ho potuto ricomporla e stamparla a grandezza naturale. Se qualcuno vorrà, si potrà esporla da qualche parte in modo che, chi vorrà, potrà vederla per ciò che era e non per ciò che è diventata.

Filippo Bonfiglietti

2 ottobre 2011 





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