Notizie dal valico di Rafah

da https://www.fattieavvenimenti.it/

“I palestinesi sono animali, non sono umani, non hanno ragione di vivere”. Sono le parole del Vice Ministro della Difesa di Israele Eli Ben-Dahan.
Quelle del suo diretto superiore, il Ministro della Difesa Yoav Gallant, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda: “Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”.
L’ex Ministro Shlomo Ben Ami, si esprime invece così:“Questa guerra [cominciata dopo il 7 ottobre 2023] è pienamente giustificata agli occhi di una grande maggioranza degli israeliani.”

Delle tre frasi, quella meno virulenta e astiosa è senz’altro l’ultima, tanto da non catturare particolare attenzione. E’ tuttavia invece molto grave. La meno colpevole, perché semplicemente riporta un dato statistico che il ministro evidentemente conosce, ma comunque molto grave.

Le altre due mostrano disprezzo razzista e un concetto di giustizia barbarico secondo cui è normale punire tutti per punire il colpevole che tra i tutti si nasconde, e secondo cui la persona è ridotta a numero, senza diritto di essere giudicata per quella che è e per quello che fa.
Privato del principio di responsabilità, il soggetto viene ridotto semplicemente ad un individuo all’interno di una specie (inferiore).
Sono frasi aberranti, che però ci facilitano nel capire gli obiettivi cui tende e le modalità che adotta il Governo israeliano in tutta la Palestina ( ci sono 7500 bambini e ragazzi palestinesi incarcerati dopo essere stati giudicati, unico paese al mondo, non da tribunali civili ma militari, come denuncia Save the Children ) e quanto credito bisogna concedere all’IDF quando, come per questa seconda strage del pane alla rotonda Kuwaiti a nord di Gaza ( finora 25 morti accertati e 155 feriti ) sostiene che sono stati dei palestinesi a sparare su altri palestinesi, e che comunque si procederà a seri ed oggettivi accertamenti; o, ancora, quanto valgano le giustificazioni per il bombardamento ( innegabile poiché ripreso con un video  dall’unità di verifica “Sanad” di Al Jazeera ) su un centro di aiuti umanitari a Nuseirat, con almeno 8 morti.

La terza frase invece, proprio perché non “caricata” da nessun sentimento, costituisce un semplice enunciato sulla realtà sociale e politica di Israele, e come tale al momento risulta se possibile la più preoccupante. Il perché lo si capisce se si tiene conto di alcuni fatti, anche presi a caso fra quelli che si potrebbero riportare, i quali dovrebbero essere sufficienti a darci un quadro sia pur sommario della attuale realtà di Gaza:

– Persiste un embargo da 17 anni relativo a una gran quantità di generi, alimentari e non, utili ai suoi 2.300.00 abitanti, i quali non possono allontanarsi da Gaza se non richiedendo permessi speciali ( assai spesso respinti ), per cui vi sono persone che in tutta la loro vita non sono mai uscite dai 360 Km quadrati che la costituiscono.

– Prima del 7 ottobre il territorio di Gaza veniva rifornito con 500 o 600 carichi di camion al giorno. Ora non entra quasi più nulla da 5 mesi, essendo i camion bloccati dai controlli ai valichi dagli israeliani ( controlli da”sciopero bianco”, per cui le ispezioni sono esasperanti, minuziosissime, formalmente inoppugnabili, tanto da bloccare l’intera logistica degli aiuti ).
Accade che basta un tagliaunghie o comunque un minimo oggetto potenzialmente atto ad offendere o, a giudizio insindacabile degli ispettori, non utile per le finalità che in una simile emergenza essi contemplano, perché l’intero carico non venga lasciato passare e resti a marcire e deteriorarsi per settimane. Nel frattempo i morti per fame aumentano, e c’è chi arriva a mangiare cibo per cani o erba.
Un modo, bisognerebbe vedere, se e quanto voluto per disumanizzare, visto che quei pochissimi aiuti che passano a fronte di quelli bloccati al valico o paracadutati, tra chi cerca di accaparrarsi le derrate scatenano risse.
Esse si sviluppano generalmente tra i più fisicamente forti e ancora sufficientemente in salute da potersi permettere di contendere con altri, creando una condizione dove ci si aggredisce vicendevolmente, una condizione di tutti contro tutti di persone a volte legate da vincoli di parentela, o di buon vicinato, o di amicizia.

– Ogni giorno vi è una media di dieci bambini cui viene amputato almeno un arto, ovviamente senza anestesia, e, per restare a loro, ve ne è una quantità ingente che vaga disperata tra le macerie alla ricerca di genitori forse persi per sempre.

Tenendo conto di questi fatti è finalmente immediato constatare la gravità di quanto affermato dall’ex Ministro Shlomo Ben Ami. 
Perché se la situazione della guerra non offre vie d’uscita concordate dai vertici dell’una e dell’altra parte, la speranza era però che fosse la società israeliana a costringere, per esempio tramite scioperi, manifestazioni, sit-in, disubbidienza civile, minacce di astensioni dal voto o di un voto diverso, la sua stessa classe dirigente a porre termine al massacro.
Invece no. Le proteste ci sono state. Dure, insistite, legittime. Ma per invocare la liberazione degli ostaggi. Rivolte all’interno, senza preoccuparsi di finalizzarle anche a far cessare le ostilità, o quanto meno a maggiormente contenerle.
Con la sua dichiarazione l’ex Ministro Ben Ami fotografa una realtà in cui è solo dalla diaspora che si alza qualche voce di dissenso e di critica e a volte di esplicita accusa.

Sconsolante dirlo, ma la maestra elementare israeliana a capo di un drappello di persone che protestano al valico di Rafah, nell’intervista che Francesca Mannocchi le fa e che riporta in uno dei suoi bellissimi articoli su “La Stampa”, dichiara di farlo non perché quegli aiuti già così esigui vengano incrementati, ma perché vengano del tutto impediti: così, dinnanzi allo spettro sempre più incombente della morte per inedia sulla gente, Hamas sarà costretto ad arrendersi.

Fulvio Baldoino

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