Nihil sub sole novum, ma nell’anomia tutto degenera

Quel che più infastidisce nel panorama mediatico nazionale è la dolciastra ipocrisia che si sviluppa come una malerba intorno alla cronaca, che sia l’assassinio di un animale innocuo, lo stupro di due dodicenni o il treno che piomba addosso agli operai che lavorano sui binari. In forme nuove si perpetua un vizio antico. Pare che la sobrietà, il pudore, la semplicità e la castità dell’informazione siano scappati dal nostro Paese con gli dei dell’antica Roma sotto l’incalzare dei depositari della Parola. E da allora di parole che non chiariscono ma confondono, che occultano e non svelano siamo inondati come un fiume in piena con un fragore che ci stordisce e ci disorienta.

Qualche vita fa frequentavo l’allora prestigioso liceo intitolato a Giovan Battista Niccolini, che aveva avuto fra i suoi docenti il poeta delle Mirycae; per quanti sforzi faccia niente ricordo delle tediosissime lezioni di latino e greco ma in compenso sono rimasti scolpiti nella mia memoria  fatti e misfatti durante le frequentazioni con i miei coetanei e compagni di classe – tutti figli della buona borghesia – e la continua tensione per evitare di essere emarginato    e diventare un bersaglio e la necessità di confondersi con i più stupidi, cattivi e violenti per farsi perdonare i buoni voti e i complimenti degli insegnanti. Bene, fra i passatempi più eccitanti c’era quello di legare un barattolo alla coda di un malcapitato gatto, fortunato se non veniva chiuso in un sacco e buttato dentro quel capolavoro di ingegneria che sono i Fossi medicei   o cosparso di benzina e incendiato.

Il liceo intitolato a Giovan Battista Niccolini a Livorno

Non c’era modo per ribellarsi: per sgravarsi la coscienza e non sentirsi complici si poteva solo ritirarsi margini del gruppo e imparare la lezione che in compagnia ci si sente più sicuri ma nella più  sofferta solitudine si cresce sicuramente meglio. Ho imparato che l’umanità è un grande valore nel quale riluce il divino ma spesso è nascosto tanto bene che diventa impossibile scoprirlo; il pensiero è patrimonio comune ma non è detto che venga esercitato. Per una sorta di naufragio della coscienza, di dispersione nell’esteriorità dell’azione, di ubriacatura collettiva del pensiero, del nous, si perde ogni traccia: e nei ricordi della mia adolescenza non erano solo i gatti a farne le spese: rammento con raccapriccio le spedizioni punitive contro omosessuali e pedofili che all’imbrunire si aggiravano in piazza della Vittoria e l’ignominia di cori e scritte sotto la palazzina di una nostra compagna ebrea.

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Insomma: non mi si venga a dire che la violenza e la stupidità sono  una caratteristica dei nostri tempi, il frutto di generazioni prive di riferimenti, della crisi della famiglia o del tramonto della autorità del padre. Tutto vero ma oggi non è peggio di ieri: non ci si illuda che la civiltà o, più modestamente, il civismo, siano merce comune  e a buon mercato; richiedono per manifestarsi e mantenersi l’impegno di minoranze esposte sempre al rischio di essere soffocate e la presenza di un apparato istituzionale che le rappresenti e ne sia l’espressione manifesta. Ma se quell’apparato è screditato, se le persone che lo rappresentano non sono espressione della minoranza depositaria della civiltà o del civismo ma della volgarità, dell’esteriorità, dell’incultura giovani e meno giovani finiscono nella deriva dell’indifferenza, del giorno per giorno, del conformismo e della fuga dalla responsabilità e non c’è comunità che ponga un freno alla banalità del male, alla dissipazione della persona, alla convinzione di poter impunemente dare libero sfogo all’infantilismo stupido che è in noi, quello che Pascoli – il poeta del mio liceo -ingenuamente  scambiava con l’innocente spontaneità del “fanciullino” da cui sgorga la poesia.

Non mi sorprende che il branco si ricostituisca e torni a colpire né mi sorprende che lo spirito della caccia degeneri nell’odio e nel gusto di prendere la mira e uccidere la preda-vittima. Piuttosto mi infastidisce la retorica, il fetore delle nuove sagrestie, lo svaccamento degli opinionisti. I ragazzi sono spesso stupidi e possono essere crudeli: si deve poter dire, si deve poter esigere maggiore rigore nell’educazione e si deve soprattutto interiorizzare il principio che chi sbaglia paga, che la società non fa sconti né chiude un occhio. Maggiorenni o minorenni che siano i mascalzoni che hanno ucciso a calci la capretta nell’agriturismo in cui festeggiavano un compleanno devono subire le conseguenze del loro gesto orribile; i genitori che ne prendono le difese o li giustificano per la “bravata” devono anch’essi avvertire il peso della loro inadeguatezza. Sansonetti che alza alti lai e si straccia le vesti per i linciaggi virtuali sulla rete ha già perso ogni credibilità da quando invoca l’accoglienza per tutti i disperati che fuggono da “guerre torture fame e cambiamenti climatici”: siccome non è un cretino non resta che concludere che si diverte a spararle grosse e a prendere in giro chi lo ascolta.  L’etica del perdono la considero una sublime dimostrazione di umanità da esercitare in abstracto, nell’iperuranio delle idee, spogliati della materialità della carne: quando ci si immerge nel mondo se ne accettano le regole e non è più lecito  affratellarsi col carnefice dimenticando la sofferenza della vittima; e non tiriamo in ballo il linciaggio, per favore. Il linciaggio è uno sfogo, non una richiesta di giustizia, un delirio collettivo del tutto simile alla perdita di controllo del branco che sevizia un gatto e uccide a calci una capretta.

Ma la malvagità – che è poi il precipitato della stupidità, stupor, ebetudine, fuoruscita incontrollata delle pulsioni distruttive – non risiede solo nel branco: è anche dislocazione nell’individuo di una subcultura che risveglia il fondo oscuro dell’animo umano, lo spirito della caccia. Immagino la fregola del contadino che vede aggirarsi l’orsa e i suoi cuccioli intorno al suo pollaio; prega in cuor suo che non si allontani per avere il tempo di entrare rapidamente in casa, prendere il fucile, caricarlo e poi con tutta calma far fuoco mirando a un organo vitale e godere della libidine  di chi centra il bersaglio.  Che poi l’orsa fosse “buona”, che si aggirasse con i suoi cuccioli per il paese senza aggredire nessuno, mascotte del borgo e attrazione turistica è argomento  che non sposta la  questione come non cambia nulla il richiamo alla tragedia del Trentino costata la vita a un giovane ciclista. Non cambia nulla perché anche fosse stato il più feroce dei plantigradi sarebbe bastato un urlo o, visto che il contadino possedeva un’arma, uno sparo in aria per farla scappare e rientrare nel suo territorio. Ma si vuol dare a intendere  che l’uomo si sia trovato improvvisamente di fronte l’animale e, spaventato, abbia fatto fuoco per difendersi: come se d’abitudine si aggirasse sul suo fondo imbracciando la doppietta pronta all’uso: se così fosse andrebbe interdetto.

Intendiamoci: non si può pretendere che tutti siano amanti della natura, rispettosi della biodiversità, impegnati nella difesa delle specie a rischio di estinzione ma si deve esigere il rispetto delle leggi. In primo luogo delle leggi che regolano  l’acquisto e il possesso di armi, l’esercizio della caccia, l’impiego  delle armi che si hanno in custodia: non per niente il tema della legittima difesa è così  delicato e controverso. Chi detiene armi da fuoco ha una responsabilità enorme: non sono giocattoli da portare in giro allegramente  ma da custodire  con la massima cautela;  io non ho nulla contro le armi, ne possiedo diverse e per un po’ ho frequentato il poligono ma non le considero uno strumento di difesa o di offesa, ci mancherebbe. Quanto ai cacciatori, ci sono tempi e luoghi in cui possono sfogarsi, fuori di essi stiano alla larga dai loro fucili. In secondo luogo vanno rispettate le leggi che tutelano la fauna selvatica e comportano vincoli, ma anche qualche vantaggio, per gli abitanti delle oasi naturalistiche che ne sono direttamente interessate.   L’uccisione di un animale protetto all’interno di un’area protetta è un reato, e un reato grave. Quanto al caso del Trentino, dovrebbe insegnare che il ripopolamento di animali pericolosi – oltretutto estranei all’habitat naturale a differenza dell’orso marsicano – avrebbe dovuto avvenire all’interno di un progetto razionale, che prevedesse una rigorosa delimitazione del territorio, una vigilanza ferrea e il coinvolgimento della popolazione. Se quel progetto è difettoso è bene che gli orsi vengano riportati in Slovenia. In Italia si stanno dando troppe prove di superficialità e dilettantismo, in tutti i campi.  E se i primi a fornirle occupano gli scranni del parlamento e del governo poveri noi!

Ci si accanisce sul tema della punibilità dei minori senza affrontare il concetto anagrafico e giuridico di minore e si sposta l’attenzione sulla scuola quando ci si dovrebbe preoccupare del ruolo e della funzione delle forze dell’ordine. Lasciamo perdere i Sansonetti di turno che sognano una società senza sbarre, senza giudici e senza sbirri invece di sognare una società senza delinquenti. La sicurezza non ha niente a che fare con la militarizzazione del territorio  e in Italia le forze dell’ordine –  dai vigili urbani alla guardia di finanza – hanno dimostrato di avere più familiarità con la prima che con la seconda. Sulla sicurezza – in macchina, a piedi o sui mezzi pubblici, dentro casa, per strada, nel proprio negozio o nel parco, dall’alba al tramonto, di giorno o di notte – gli italiani si devono affidare a qualche divinità che li protegga perché semplicemente lo Stato non c’è. Però c’era, eccome, quando durante il Covid si dava la caccia al podista solitario e  c’è  quando si tratta di spennare gli automobilisti con le multe, non per assicurare  che il traffico scorra nel migliore dei modi ma solo per fare cassa e c’è per spaventare le persone perbene. Un inasprimento dei controlli darebbe di nuovo via libera agli scherani in divisa e a tremare sarebbero anziani signori senza documenti addosso ma non i sedicenni con la pistola in tasca.
Non mi fido per nulla dei proclami di questo governo della chiacchiera. Fra degrado nostrano e effetti dell’invasione il Paese vive una stagione terribile: il numero degli imbecilli e degli psicopatici ha superato il livello di guardia e se questo, come sosteneva Winnicott, alla lunga mette a rischio la democrazia nell’immediato  peggiora la vita delle persone oneste, quando non la mette a rischio. E finché si sente parlare di inasprimento delle pene, di sostegno alle famiglie, di “educazione alla legalità” o ci si rifugia nella metafora della “bonifica del territorio” si può star certi che non succederà nulla e non cambierà nulla. Se si fosse da qualche altra parte del Pianeta presa a caso non ci sarebbero proclami né decreti fumosi e velleitari: poliziotti a presidiare le strade, le stazioni e i quartieri a rischio con precisi e drastici protocolli di intervento; invisibili per la gente normale ma uno spauracchio per rom, piccoli delinquenti, sbandati e clandestini. Gente armata che gironzola a piedi o corre in motorino non ce ne deve assolutamente essere e non vorrei vedere poliziotti o vigili urbani che fermano una ragazzina con lo scooter e il casco in testa o una signora in auto reduce dal supermercato, colpevoli solo di esser passati davanti alla pattuglia.  Se protesti dicono che fanno il loro dovere. No, non è quello il loro dovere, semmai è un modo comodo di fare il loro mestiere

Pierfranco Lisorini

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