INDUSTRIA

“Taranto ha avuto mille ragioni per ribellarsi ad anni di colpevole incuria prima dell’azionista pubblico poi di quello privato. Ma viene da chiedersi se possiamo tranquillamente fare a meno dell’unico grande centro per la produzione primaria”.

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Così Ferruccio De Bortoli pone un interrogativo centrale sviluppando, sulle colonne dell’inserto “Economia” del Corriere della Sera, un’articolata analisi sulla situazione della siderurgia in Italia e ponendo – oggettivamente – il grande tema della presenza dell’industria nel nostro Paese.
Si pongono così interrogativi molto stringenti.
All’Italia manca una visione internazionale della politica industriale, vista essenzialmente dal punto di vista dell’innovazione tecnologica e di prodotto, mentre si paga a caro prezzo l’adeguamento dei diversi governi alla politica di finanziarizzazione dell’economia e la subalternità ad un capitalismo che tutto ha in mente meno che la produzione industriale e che nel caso ritenga di occuparsene lo fa semplicemente nell’ottica della negazione dei diritti dei lavoratori e della distruzione della rappresentanza sindacale.

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Siamo di fronte ad una situazione di crisi strutturale di un intero modello di sviluppo, acuita dalle condizioni internazionali considerate sia al riguardo delle manovre finanziarie della tecnologia, degli approvvigionamenti energetici, delle infrastrutture.
L’Italia soffre in particolare di questo stato di cose per un motivo molto preciso, non derivante semplicemente dall’accumulo del debito pubblico e dalla scarsa credibilità a livello internazionale.
Esiste un’alternativa ? : in questo senso, molto schematicamente, credo debbano essere individuate della priorità di contenuti da esprimere partendo, dal punto di vista politico, da un ruolo di opposizione di tipo “sistemico”
In questo senso appaiono centrali e assolutamente prioritarie le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese che chiamano a una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica tale da rappresentare un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di periodo”.
Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l’idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.
Una programmazione economica da portare avanti avendo al centro l’idea dell’intervento pubblico in economia attorno ad alcuni fondamentali campi d’intervento: il territorio, le infrastrutture, il nodo energetico, il finanziamento della ricerca rivolta all’innovazione.
Per varie ragioni siamo in forte difficoltà nella siderurgia, nella chimica, nell’agroalimentare, nell’elettromeccanica, nell’ elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni’80- anni’90.
Vanno posti all’ordine del giorno forti investimenti sul terreno del rapporto tra pezzi fondamentali della struttura industriale esistente e la difesa dell’ambiente. Un tema emblematizzato, come è giù stato ricordato, non soltanto dalla vicenda dell’ILVA Taranto che, comunque, ha messo in luce anche altri limiti di fondo posti sul piano delle dinamiche nel processo produttivo in settori fondamentali
Si tralasciano per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell’informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.
Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di direzione capitalistica del ciclo globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo troviamo?
Il tutto portato avanti con la lotta operaia dell’affermazione dei diritti negati e della dignità del lavoro, come si sta dimostrando con gli scioperi di questi giorni.
Franco Astengo

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