MIGRANTI SEGNO DEL CAMBIAMENTO D’EPOCA – altro che emergenza permanente

Si renderà conto il Governo che la disumana politica “soldi in cambio di lager” ha portato solo a sofferenze e nessuna diminuzione di migranti?
Avrà compreso Meloni che l’isolamento da Francia e Germania è solo la logica conseguenza di chi ha seminato vento e raccolto tempesta?
Avranno capito Meloni e Salvini che, invece di pensare alla guerra contro le ONG che salvano vite e a nuovi decreti “sicurezza”, sarebbe stato molto meglio pianificare una seria politica dell’accoglienza? Sono oltre trent’anni che siamo in “emergenza migranti” ma i vari Governi non hanno fatto nulla di strutturale, di progetti concreti. Si è solo pensato all’emergenza immediata. Di progetti a lungo termine e di impiego dei molti stranieri strappati dal mare e dalle guerre in lavori utili per i nostri Paesi e Comuni s’è visto poco o nulla e le iniziative a cui accenneremo più avanti sono realizzate in gran parte dalle associazioni di volontariato, alle quali i vari governi hanno trovato comodo delegare, senza supportarle con adeguata legislazione.

Una considerazione che induce al pessimismo e, se vogliamo, allo scoramento è quella che sorge leggendo le scritture del Primo Testamento e, in particolare, i Profeti. Fino dagli scritti più remoti (p.es. il profeta Amos, vissuto nell’VIII sec. a.C.) si nota l’insistenza con cui si condannano le azioni contro i poveri, gli orfani, le vedove, così come lo sfruttamento del lavoro dei miseri e le truffe nei loro confronti.
Sono passati quasi 3000 anni, ci sono state rivoluzioni tecnologiche ed evoluzioni del pensiero ma, in gran parte del mondo, sembra che tutto sia rimasto allo stesso punto. Non solo le potenze economicamente più potenti si sono arrogate il diritto di conquistare, razziare e schiavizzare civiltà ritenute “inferiori” ma, dopo che queste hanno formalmente riottenuto l’indipendenza, hanno continuato a vessarle in maniera più subdola attraverso le multinazionali che si servono impunemente anche dei regimi corrotti. Si veda, al proposito, quanto sta avvenendo in Africa dove la dominazione da parte dei Paesi occidentali è stata in gran parte sostituita da quella di Russia e Cina.

PUBBLICITA’. Il primo che riuscirà a capire il nesso della frase in francese con l’immagine avrà diritto ad un bicchierino di Barolo Chinato omaggio con i complimenti dello staff.

Le stesse conquiste sociali che nell’Occidente sono state raggiunte nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale vengono più o meno velocemente ridimensionate e ciò va a scapito sempre delle fasce sociali più svantaggiate.
Inoltre, la distanza tra i ricchi e i poveri va velocemente crescendo e siamo arrivati ad una situazione nella quale poche decine di individui detengono una ricchezza comparabile a quella di gran parte dell’umanità.
Questi frutti dell’“economia che uccide”, massimamente attribuibili all’imperante neoliberismo, finiscono per alimentare uno scontro tra gli ultimi (i migranti) e i penultimi (i sottoproletari come si diceva in passato, i lavoratori poveri, ecc.). Per una questione di “vicinanza”, infatti, questi non vedono tanto i ricchi predatori lontani (spesso oggetto di emulazione più che di invidia) quanto i migranti vicini che potenzialmente contendono lavoro e servizi essenziali quali casa, sanità, scuola.
Una concorrenza fra poveri che il potere vede di buon occhio perché allontana le masse dal vero problema quale le enormi diseguaglianze cui accennavamo. Far credere ai poveri che la loro condizione è causata da coloro che sono più poveri di loro è il capolavoro di questa economia
subdola e malata.

Comprendere come mai l’Europa, e l’Italia in particolare, non siano riuscite in trent’anni ad affrontare il problema dell’emigrazione senza uno straccio di idea che non sia quella di accoglierli controvoglia e di cercare di bloccarli dietro compenso, in Paesi dove i diritti civili vengono
regolarmente ignorati (si veda a questo proposito la Turchia prima, poi la Libia, ora la Tunisia). Politiche oggi rilanciate sia in Europa (von der Leyen) sia in Italia (Meloni e Salvini, con Forza Italia acquiescente e i c.d. Moderati neanche più foglia di fico).
Detenzione di 18 mesi in prigioni sparse sui territori militarizzati, e sullo sfondo blocchi navali. A sentire i governanti europei (compresi gli italiani) che continuano a propinarci la stessa minestra riscaldata, viene rabbia e depressione: possibile che non si possano trovare idee nuove, originali, creative?
Allora chi fa il primo passo verso un’accoglienza strutturata consentendo flussi regolari e continui? Nessuno! Tutti i governi sono terrorizzati dall’idea di perdere voti. Chi fa il primo passo è perduto… Così si pensa alla “fortezza Europa”. Abbiamo, non solo noi italiani,
promosso una forsennata corsa ai consumi, distrutto la convivenza civile a favore dell’individualismo più sfrenato, frutto di una mirata propaganda di disvalori, favorito una dealfabetizzazione collettiva. Ed ecco il risultato!
Parallelamente, fin dagli anni ‘60, nei paesi del c.d. terzo mondo e particolarmente in Africa il post colonialismo economico ha diffuso quello che gli economisti chiamavano “effetto di dimostrazione” secondo cui, grazie soprattutto a cinema e TV, tra i popoli poveri ampi strati di popolazione sono indotti, per spirito di emulazione, a desiderare e possibilmente acquistare beni che sono loro preclusi, al fine di “dimostrare” di poter attingere livelli di consumo simili a quelli dei popoli occidentali. Non per niente il presidente del Burkina Faso che aveva osato affermare: “Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa” è stato assassinato.

https://www.africarivista.it

Questa potrebbe essere, a nostro avviso, la motivazione per cui l’Europa non sa uscire dal cul de sac in cui si è infilata. Forse, anche se volesse farlo, le sarebbe impedito dai player mondiali e dal suo ruolo cadetto nell’economia mondiale. Eppure qualcuno dovrà pur provare a fare il primo passo, perché la staticità attuale sarà ancor più deleteria della paura del cambiamento e della mancanza di fiducia che la provoca.
A onor del vero occorre ricordare che Angela Merkel, nel 2015, ebbe il coraggio di accogliere e integrare oltre un milione di siriani, sia pure in maggioranza acculturati e quindi più appetibili, mentre in Italia la Gabanelli ebbe l’ardire, in quegli stessi anni, di proporre un piano organico di accoglienza proponendo di trasformare il dramma in opportunità.
Inutile dire che la proposta non fu neanche presa in considerazione dai vari governi succedutisi, mentre la Merkel fu aspramente criticata da mezza Europa. Segno evidente della limitatezza della classe politica europea. In Italia, accantonata quella brillante idea, si è continuato ad affidare al volontariato la gestione del problema e ai comuni più volonterosi, contro cui molti cittadini “per bene” insorsero mentre iniziarono, e continuano tutt’ora, a scatenarsi le scorribande dei fascio leghisti. Ma perché questa avversione politica, sociale, a volte anche violenta? Da un lato per i motivi economico-culturali cui accennavamo prima, e dall’altro per il pregiudizio negativo, neppure scalfito dai successi nell’integrazione che
spesso queste iniziative conseguivano (vedi Riace).

A questo punto vale la pena accennare ad alcune esperienze che riteniamo più significative di cui siamo più direttamente a conoscenza.
Ci preme ricordare, a questo proposito, l’importanza della scelta del modello di accoglienza utilizzato in precedenza nelle diverse realtà regionali. Ad esempio, fin dal 2011 in Toscana è stato scelto un modello di accoglienza distribuita sul territorio (accoglienza integrata), in opposizione alle ipotesi governative fondate in buona sostanza su criteri di tipo emergenziale. L’accoglienza servì alla Toscana ad affrontare le prime ondate di profughi
provenienti specialmente dalla Tunisia e dalla Libia. Tutto questo nonostante la Regione non abbia una diretta competenza sull’immigrazione e sull’organizzazione dell’accoglienza di profughi e richiedenti asilo. L’accoglienza diffusa è il solo modello giudicato in grado di garantire inclusione e di preservare la coesione delle comunità locali.
Nel Comune di Monastero di Lanzo, un centinaio di residenti sulla carta, la Prefettura di Torino ha collocato circa cinquanta richiedenti asilo che vengono ospitati in un condominio vuoto messo a disposizione dal proprietario ad una cooperativa torinese. Per molti degli abitanti
della zona ci sono perplessità sull’idoneità del contesto e sulle opportunità di integrazione per i nuovi arrivati, “parlano tra loro nella loro lingua”.
La Parrocchia di Vicofaro (Pistoia), guidata da don Massimo Biancalani, è considerata un vero e proprio “santuario di accoglienza”, un rifugio per la notte. Un ultimo, estremo, “presidio di umanità” come si legge nel gruppo Facebook di don Massimo. È un vero peccato
però che l’Amministrazione pubblica di Pistoia continui, in maniera sibillina, a fare la guerra a questa realtà. Due esempi: gli addetti alla nettezza urbana non raccolgono volutamente l’immondizia fuori dalla porta della canonica, nonostante i tantissimi solleciti; il Comune ha
sanzionato con 20mila euro la Parrocchia per il mancato rispetto di un altro atto del 2022 con il quale si dichiarava l’inagibilità degli spazi della canonica e la conseguente inibizione degli stessi agli usi di accoglienza.

Una multa che don Biancalani non sembra aver accettato di buon grado, visto che ha recentemente annunciato sulla propria pagina Facebook l’intenzione di ricorrere al Tar.
Altro esempio: da quasi tre anni, tutti i venerdì, l’Associazione Fornelli in lotta di Rivoli (TO), cucina una cena per i migranti che sono ospitati nel Rifugio Massi di Oulx, in attesa di tentare di attraversare la frontiera a Monginevro per vivere in Francia. In questi tre anni nulla è cambiato, se non il numero delle persone: da qualche decina a quasi duecento a metà settembre di quest’anno.
Migranti che giungono con i mezzi più disparati, chi dalla rotta balcanica, chi dalle rotte del Mediterraneo. Si parte nella notte e, se respinti dalla polizia francese, si riprova la notte successiva. Tutto sempre uguale: volontari che accolgono, che regalano parole di conforto e vicinanza, che distribuiscono scarpe e vestiti. Una situazione di stallo inaccettabile, che crea frustrazione al di là della doverosa accoglienza.
Un ulteriore esempio è la cooperativa agricola “La volpe e il mirtillo”, nata ad Ormea nel 2018, che si propone di contrastare l’abbandono dei terreni, mediante la pulizia dei boschi, il taglio degli alberi morti o improduttivi e messa in sicurezza dei sentieri, oltre a piccoli lavori di ristrutturazione dei tradizionali muretti a secco. I soci fondatori della cooperativa, tutti competenti in materia, sono sette, ai quali si sono aggiunti, in qualità di soci, sei richiedenti asilo provenienti dall’Africa sub sahariana che hanno partecipato ad un progetto di formazione/lavoro finanziato dalla Regione Piemonte.
Alla luce della questione migranti, quale segno del cambiamento d’epoca, forse è il momento di capovolgere tutta l’attività frammentaria sin qui realizzata, con un atto politico forte capace di spronare le istituzioni e far intravvedere la possibilità di nuove prospettive. Da parte nostra, nel precedente editoriale abbiamo espresso il nostro sommesso parere. “I migranti sarebbero la mossa del cavallo se non fossero considerati come merci o, nel migliore dei casi, soggetti da integrare o assimilare al nostro modo di vita, imponendo loro di abbandonare la cultura di cui sono portatori come fosse irrilevante o non rispettabile. I migranti visti come esseri umani da porre alla pari con i cittadini italiani, soggetti di diritti e di doveri potrebbero costituire la nuova linfa rigeneratrice della pianta malata del bel paese. (…) Noi abbiamo bisogno di loro quanto loro hanno
bisogno di noi. Accogliere consapevolmente la migrazione come evento purificatorio, portatore di vita”.
È la conclusione che ribadiamo perché mostrare i muscoli, come fa il governo, fino al punto di internare indiscriminatamente tutti i nuovi arrivati, è un segno di inadeguatezza, mentre avremmo bisogno di scelte coraggiose capaci, appunto, di trasformare i problemi inopportunità.
Tempi di Fraternità 


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