L’ora degli “scienziati”

L’ora degli “scienziati”

L’ora degli “scienziati”

 Mai come in questo momento abbiamo sentito parlare di scienziati. Lo dico brutalmente: scienziato non significa niente o, meglio, ha solo un significato evocativo e popolaresco (i linguisti la chiamano connotazione) che rinvia ad una secolare sudditanza culturale e intellettiva che si accompagnava a quella verso la ricchezza e verso il potere.

 In un mondo di analfabeti o semianalfabeti la scienza desta reverenza e timore e la persona colta o che si pone come tale gode del prestigio sociale che compete ad una casta superiore. Dopo l’unica autentica e irreversibile rivoluzione della società postindustriale, quella dell’istruzione superiore generalizzata, quella sudditanza non ha più avuto ragion d’essere; la conoscenza, a tutti i livelli, è accessibile a tutti, non conosce barriere sociali né recinti: non c’è barone universitario che possa contare su un patrimonio personale di conoscenza che gli garantisca una superiorità  a priori su  una matricola di genio e questo vale in tutti i campi del sapere, dalla fisica all’archeologia. 


Scienziato non significa nulla. Ci sono fisici, matematici, botanici o grecisti ma nessuno di loro è in astratto o absolute uno scienziato: sono semplicemente persone con competenze più o meno sofisticate in un ramo della fisica o della matematica, competenti nella botanica, cultori del greco antico e della letteratura greca e così via. Chiaramente ciascuno di loro per il fatto stesso di essersi sollevato ad una dimensione cognitiva che richiede operazioni mentali complesse, capacità di coniugare astrazione e applicazione, elaborazione personale e superamento degli insegnamenti ricevuti, deve possedere un livello intellettivo almeno medio ma niente garantisce che essi siano persone eccezionali, onniscienti, tanto meno equilibrate o di buonsenso, che giustifichino un qualche tipo di ascendente etico o sociale.

Va poi aggiunto che con l’esasperata specializzazione che caratterizza molti settori della conoscenza, ma direi tutti, sia in ambito umanistico sia nelle discipline medico-scientifiche, non si può nemmeno accreditare un bravo chirurgo di essere tale in tutti i rami della chirurgia così come un fisico non si muove con la stessa disinvoltura o originalità in tutti i campi della fisica.  La maggior parte dei professori universitari di storia o di filosofia fuori del loro campo di studi più o meno ristretto regrediscono al livello di uno studente liceale mediocre. Un motivo in più per consigliare umiltà da un lato e liberare dalla soggezione dall’altro.

Il problema è che non si entra nel merito delle competenze effettive, forse perché si è diffusa e metabolizzata l’idea che niente è ciò che sembra, che le parole hanno il sopravvento sulla realtà, che la realtà è immodificabile e che l’unico modo per sopravvivere è adeguarsi. Si vive in una dimensione onirica, sottratta al principio di realtà, nella quale la rigidità delle forme e la durezza della materia si perdono nell’allucinazione e nelle costruzioni fantasmatiche. Come quelle della Bonino, la stessa che i compagni da salotto  vedrebbero volentieri ai vertici dello Stato, che un giorno reclama la regolarizzazione dei clandestini per uscire dalla crisi, senza accorgersi che milioni di italiani sono rimasti senza lavoro e senza reddito, e l’ altro sostiene impunemente che senza meritocrazia le donne non saliranno mai al potere. A parte la bizzarra concezione del potere, mi chiedo quale relazione possa stabilirsi fra il merito e il ruolo occupato dalle nostre ministre.


Fra le anomalie di questo infelice periodo, oltre il proliferare di una decretazione di dubbia legittimità costituzionale, c’è la convergenza di interessi fra la politica e una nuova lobby di esperti investiti di un potere ambiguo, non si sa se consultivo o decisionale, col conseguente rimbalzo di responsabilità con l’esecutivo incarnato dal caudillo da operetta, un rimbalzo per cui alla fine nessuno è responsabile. Chi paga in questo scaricabarile è il cittadino, disarmato e isolato, ormai privo di una rappresentanza politica o sindacale, al quale viene con ogni mezzo impedito di diventare gruppo, voce collettiva, in una parola popolo in grado di opporsi al tiranno. A questo si aggiunge la pessima prova che gli italiani, quanto meno quelli che hanno visibilità, stanno dando di sé, mostrando l’aspetto deteriore della adattabilità e dell’arte di arrangiarsi e, purtroppo, una scarsa coscienza dei propri diritti di uomini liberi.


Ne abbiamo la dimostrazione nella solitudine di Feltri, di Facci e dei pochi altri fatti passare per eccentrici esibizionisti quando semplicemente rivendicano libertà e diritti sacrosanti sui quali non c’è emergenza che giustifichi di metter le mani, salvo che lo Stato stesso non si stia sgretolando.  Né è questione di appartenenza politica o di simpatia ideologica: fra quei pochi c’è anche Cacciari, a dimostrazione del fatto che non si tratta di destra o sinistra ma di intelligenza e libertà da un lato e di stupidità e servilismo dall’altro.  Non per niente  la stessa opposizione –  non vi comprendo Forza Italia che è un’opposizione per modo di dire – e Salvini in particolare non prendono una posizione chiara e recisa a tutela dei diritti individuali perché zavorrati all’ interno da amministratori locali incapaci di discernimento al pari dei tecnici, degli esperti, dei comitati scientifici di regime e del timoniere improvvisato che non sa leggere una carta nautica  e impegnati con quelli in una gara a chi sbanda più rovinosamente. Discernimento implica un pensiero divergente, capace di considerare più variabili alla volta, flessibile, munito dei necessari circuiti di retroazione, l’esatto opposto dell’ottusa cecità con la quale si è finora risposto all’emergenza. Personalmente, anche perché la cosa mi tocca direttamente, continuo a non capire con quale logica si impedisca di praticare attività che non implicano alcun rapporto sociale come il nuoto, la camminata, la mountain bike o l’arrampicata.


Ma soprattutto non capisco com’è che nella mia irritazione e voglia di reagire mi trovo isolato, perché se è vero che non ci possiamo organizzare attraverso contatti fisici ci sono altri modi che consentono una mobilitazione collettiva, come la rete. I francesi ne hanno dato una impressionante dimostrazione, in Italia se ne sono serviti solo i compagni inventando la grottesca protesta contro l’opposizione, un unicum nella storia delle democrazie occidentali. Alla mancanza di discernimento va ascritta l’incomprensibile apertura o forzata chiusura di tanti esercizi commerciali, la chiusura dei cimiteri, il divieto dei funerali, che diventerà criminale, in senso letterale, se, come pare, si consentiranno celebrazioni per il 25 aprile, una ricorrenza con la quale, oltretutto, sarebbe l’ora di farla finita. Celebrare la disfatta, la guerra civile, i giorni dell’odio e della mattanza, la mutilazione  della Patria  mi sembra allucinante.


L’appetito, si dice, vien mangiando e la prepotenza cresce se non trova chi vi si oppone. Saranno ballons d’essai ma preoccupano ugualmente certe affermazioni dei vertici europei o dell’Oms che trovano una sponda sulla stampa di regime e all’interno della maggioranza. Si va dal braccialetto elettronico alla geolocalizzazione  all’idea folle di chiudere definitivamente in casa gli anziani, con la versione addolcita di restituire la libertà per gradi, in funzione del sesso, dell’età, della professione.  Anche in questo caso un germe di follia c’è indubbiamente fra baroni della medicina e “scienziati” che si sono montati la testa ma il politico si frega le mani perché gli viene fornito un ottimo pretesto per esercitare un potere fuori controllo.  Musica per la megalomania, la vanità e il narcisismo del modesto avvocato che ci è stato imposto come nuovo Duce.

Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione    

 

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