L’odio smisurato per il verde

 Il pogromma di via Vittime di Brescia

L’odio smisurato per il verde

Ormai si sa che di questi tempi il verde pubblico delle città è allo stremo. Dai tagli di bilancio dei comuni che colpiscono soprattutto le voci “inutili” come la manutenzione di alberi e aiuole, a una sorta di paura morbosa e ingiustificata che ogni albero, qualsiasi albero, anche il più sano e robusto, possa cadere all’improvviso, a una rozza insensibilità per la natura che colpisce, ahimè tanto molti cittadini elettori quanto gli amministratori eletti, e che si propaga come un virus di isteria collettiva (alimentato purtroppo dai media) che obnubila le menti, mettendo in minoranza, sgomenti, coloro che sono invece attenti al nostro patrimonio arboreo e alle sue peculiari e uniche caratteristiche per la qualità della vita urbana. 

Un albero non si sostituisce come un tombino o una panchina. È un essere vivente da amare e rispettare.  Ma se in precedenza potature selvagge e fuori stagione, tagli e sostituzioni disinvolte sembravano volti a scopi brutali e materiali, far girare soldi e procurare appalti, ora siamo messi ancora peggio: ora la scopo è proprio liberarsi da rischi e fastidi manutentivi, è proprio Attila a piede libero. 

Gli argomenti per ribattere sarebbero tanti e di varia natura: i rischi legati ai cambi climatici? In val di Fiemme sono crollati boschi interi. Che facciamo, tagliamo anche i rimanenti per evitare che qualche gitante si prenda un ramo in testa? Abbattiamo proprio gli unici elementi che contribuiscono a contrastare l’inquinamento da CO2? (Che non è il cobalto come pensa Zingaretti.)

Anche pali della luce e cartelli possono crollare. Che facciamo, li togliamo tutti per sicurezza? 

Quando cade intonaco da un palazzo, rifacciamo la facciata o buttiamo giù il palazzo per stare sicuri?

E così via. Ma niente, questi argomenti logici non fanno presa su chi si sente sicuro delle sue devastanti ragioni, e quanto alla sensibilità ambientale, all’amore per il bello e per gli equilibri naturali, alla cura devota che fa bene al nostro spirito prima che al verde che ne è oggetto, se non ci sono, non si possono inculcare a forza, in questi tempi dove i peggiori teppisti urbani sono più gli anziani inaciditi che le bande di ragazzini a piede libero.

Savona, ovviamente, non fa eccezione, anzi primeggia. 

Ancora con il cuore sanguinante per il proditorio taglio del pino che troneggiava bellissimo e insostituibile sopra il muro all’incrocio verso la stazione, non faccio in tempo a voltarmi che vedo inenarrabili devastazioni. Propiziate, ahimè, da cittadini che si lamentano. E da una amministrazione che, anziché risolverle con la giusta cura, attua metodi sbrigativi da killer.

 

Prendiamo solo una singola via periferica, via Vittime di Brescia, e troviamo già una ecatombe. Ogni volta che ci passo trovo una sorpresa sgradevole, una peggio dell’altra. 

Non a caso parlo di pogrom, perché quella che si manifesta ormai nelle città pare più una persecuzione dettata da odio irrazionale, un vero e proprio olocausto che sfugge a ogni ragione logica e si ingigantisce della sua stessa ondata emotiva.

Partiamo dalla siepe. Una bella siepe posta a ornamento del capannone ferroviario, un lodevole e insperato tentativo di mitigarne l’impatto visivo e regalare un tocco più naturale. 

Una iniziativa che a suo tempo immagino sia costata anche soldi. Magari pure soldi dei cittadini, trattandosi di opera pubblica, con tanto di sistema di irrigazione. 

In passato ogni tanto veniva curata. Da un pezzo però ciò non avveniva, e così era cresciuta disordinata.

 I cittadini si lamentavano che rendeva disagevole il passaggio sul marciapiede.  L’assessore Santi sui social spiegava che la manutenzione spettava alle ferrovie.

Poco tempo dopo ripasso di lì, e la trovo azzerata. Rasa al suolo!  Un intervento di una barbarie indicibile, uno spreco, un imbruttimento. Sarebbero bastate due sforbiciate per darle forma.

Ora sta faticosamente rispuntando, lottando con le erbacce, ma intanto anni di crescita rigogliosa sono andati in fumo, e chissà se la rivedremo compatta e bella come prima, sono prevedibili sofferenze, seccumi, vuoti, che magari convinceranno a tagliarla del tutto. E amen. 

Ed eccoci ai bagolari. Ogni volta che passo per quella via e l’adiacente via Stalingrado mi allargano il cuore con la loro semplice bellezza, ma non posso fare a meno di confrontarne lo stato di salute secondo posizione e stare in pena per loro, pregando per la loro sorte. Alcuni, dal deposito petroli, potati forse troppo in passato, hanno una brutta chioma triangolare invece che tondeggiante, e con tanti rametti dal tronco, quelli davanti le Officine sembrano stare bene, e hanno miracolosamente anche un bello spazio alla base, quelli di via Vittime di Brescia sono bellissimi, a dispetto di una base assurdamente strozzata da una griglia di metallo…

O forse dovrei dire erano bellissimi. Perché poi un giorno passi e trovi questo. 

La motosega non dovrebbe neppure avvicinarsi agli alberi sani. La capitozzatura si applica a piante sfinite, malate, per dare loro riposo e rinvigorirle, NON a alberi dalla chioma perfetta! Una potatura estrema non rimedia a anni di incuranza (di cui, peraltro, nel caso in questione gli alberi non si lamentavano.) 

Visto che le assurde griglie e il marciapiede sollevato sono ancora lì, viene un orrido sospetto: che tutto questo non sia affatto per il bene degli alberi.  Forse si pensa, riducendone il vigore vegetativo, di ridurne il problema alle radici? Ma in natura avviene esattamente l’opposto, se mai lo si amplifica!

Allora (atroce sospetto) si vuole proprio indebolirli, farli ammalare, distruggerne l’impudente bellezza, per poi poterli finalmente tagliare senza troppe proteste?

Sospetto corroborato dal fatto che, se si fosse voluto il loro bene, si sarebbero quanto meno rimosse le griglie e dato aria al suolo, prima di distruggerli in quel modo. O meglio, piuttosto.

Un dolore del cuore. 

Nella tristezza che mi pervadeva, ero comunque sollevata che il lavoro fosse stato fatto a fine inverno, e di vederli ora, sia pure faticosamente, ributtare. Ero felice che gli ultimi oltre la galleria, verso via  Stalingrado, fossero salvi.

Forse non hanno fatto in tempo a potarli, mi dicevo. E mi beavo del loro rigoglio.

Mi sbagliavo. Altro colpo al cuore. Due giorni fa (due giorni fa! Piena primavera! La stagione della crescita e dei nidi, la peggiore, un assassinio in piena regola!) me li sono trovati così.

 Ne è rimasto uno. Eccolo. Così si può vedere com’erano belli tutti quanti. Sarebbe bastato togliere qualche ramo basso, e soprattutto, liberare la base!

Ma si sa, perché far qualcosa per salvare e ripristinare, quando è così bello e facile distruggere?

Guardatelo finché potete, perché dev’essere questione di giorni, e farà la fine degli altri, rimarrà solo la foto. 

  Faremo interpellanza su questo, ma ormai il danno è fatto, purtroppo. 

Una civiltà così nemica del verde e del bello, animata da odio per la vita, merita l’estinzione.

Cari amici di Fridays for Future, vogliamo pensare anche al verde urbano così importante?  Vogliamo protestare anche per questo, simbolico ma significativo? Tutto fa parte dell’osceno declino che ci sta portando allegramente all’irreversibile. 

  Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

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