Casapound e dintorni
CASAPOUND E DINTORNI |
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Ma suona bizzarro solo a me appellarsi alla libertà di pensiero e di espressione da parte di chi si dichiara esplicitamente e orgogliosamente fascista, aggiungendo che l’antifascismo è il vero male del nostro Paese? Non staremo per caso regredendo, oltre che sul piano etico, anche su quello culturale verso quella “zona grigia” in cui l’indifferenza e la perdita progressiva dei valori e degli ideali di umanità e di giustizia, oltre che di quella libertà che non è mai del tutto e per sempre raggiunta e che può da un giorno all’altro essere perduta, che animarono la Resistenza al nazifascismo preparano il terreno a un ritorno di quello che Umberto Eco chiama il “fascismo eterno” e alla conseguente soppressione delle libertà, dei diritti e dei doveri per cui tanto sangue prezioso è stato versato e che sono solennemente sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana e democratica? Perché a questo punto bisogna decidersi: o accettiamo (la prima persona plurale si riferisce ovviamente a chi si riconosce in quello che al tempo della cosiddetta Prima Repubblica veniva definito “arco costituzionale”) che formazioni prepolitiche, eversive e antisistema come CasaPound, Forza Nuova, Lealtà e Azione et similia entrino a far parte stabilmente delle istituzioni democratiche da loro tanto disprezzate o le mettiamo fuori legge una volta per tutte, vietando, di conseguenza, le loro manifestazioni e i loro “presidi” anti rom e anti centri di accoglienza degli immigrati e la possibilità di eleggere loro rappresentanti negli enti locali e, in prospettiva, addirittura al Parlamento. In realtà, per strano che possa sembrare, questa decisione è stata presa fin dal 1948, quando si permise, nonostante la dodicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione vietasse “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” al Movimento Sociale Italiano fondato dai fascisti saloini Giorgio Almirante, Pino Romualdi, Arturo Michelini, Cesco Giulio Baghino e Mario Cassiano di presentarsi alle elezioni politiche come se niente fosse accaduto. Un’ulteriore decisione a favore dello sdoganamento dei neofascisti la prese Silvio Berlusconi nel 1993, in occasione delle elezioni comunali a Roma, quando scelse di appoggiare Gianfranco Fini contro Francesco Rutelli, e fu ancora Berlusconi a far cadere l’ultimo tabù alleandosi con Fini da un lato e con Umberto Bossi dall’altro conquistando in tal modo la maggioranza parlamentare e portando a compimento lo sdoganamento degli eredi della Repubblica di Salò che poterono così entrare nell’area di governo. Ci ricordiamo tutti che fino a quel momento Mussolini era stato per Fini il più grande statista del Novecento, poi cambiò idea, ma questo bastò perché terminasse la famosa conventio ad escludendum degli altri partiti nei confronti del Msi-Destra Nazionale divenuto nel frattempo Alleanza Nazionale. “Oggi stiamo assistendo a una riedizione di quella operazione berlusconiana? – si chiede lo storico Giovanni De Luna su La Stampa del 10 maggio – Perché di questo si tratta. Siamo convinti che garantendo l’agibilità politica dei fascisti sia possibile una loro costituzionalizzazione? Salvini non è Berlusconi e alla spalle di CasaPound non ci sono le lezioni di Almirante o il pragmatismo di Pinuccio Tatarella. La realtà di CasaPound è quella del livore anti rom e delle gazzarre xenofobe nelle periferie romane. Salvini difende la ‘rispettabilità’ di quelle scelte”. Ecco, a questo siamo arrivati. Ma, si obietta, un conto sono le azioni violente o fomentare la rivolta dei residenti contro l’assegnazione regolare di alloggi a famiglie rom come è avvenuto a Torre Maura, a Casal Bruciato e a Terranova, un altro la pubblicazione e diffusione di libri da parte di una piccola casa editrice come AltaForte, prima accettata e poi esclusa dal Salone del Libro di Torino (città, ricordiamolo, medaglia d’oro per la Resistenza, se questo significa ancora qualcosa) in seguito alle polemiche, alle defezioni di molti autori, alla ferma presa di posizione e al rifiuto di partecipare di Halina Birembaum, sopravvissuta al capo di sterminio di Auschwitz, e ai rischi per l’ordine pubblico che la presenza di quella casa editrice vicina a CasaPound rappresentava, e, ultima provocazione, le dichiarazioni dell’ incauto editore su Mussolini in una intervista nel programma radiofonico “La Zanzara”. Un’altra circostanza che ha gettato benzina sul fuoco è stata la pubblicazione del libroIo, Matteo Salvini. Intervista allo specchio della giornalista livornese del Giornale Chiara Giannini e con prefazione di Maurizio Belpietro (mancava solo la benedizione di Vittorio Feltri a completare il quadro) presso il discusso editore Francesco Polacchi, ora indagato per apologia di fascismo. L’editore Francesco Polacchi e il libro di Salvini Ma, più ancora di questo reato, a rendere poco raccomandabile la figura dell’editore-imprenditore-militante di estrema destra amico di Matteo Salvini (e dei giornalisti salviniani in funzione di scagnozzi apologeti del Capitano) è il suo considerevole cursus honorum in CasaPound: “dirigente del Blocco Studentesco romano, nel 2008 guida gli scontri dei giovani fascisti contro gli studenti dell’Onda che protestano per i tagli del governo Berlusconi alla scuola pubblica, attaccando gli avversari a sprangate; arrestato e condannato a un anno di reclusione. Ventunenne, in vacanza a Porto Rotondo, accoltella un giovane sassarese e ne ferisce altri due nel corso di una rissa davanti a una discoteca. Nel 2010 aggredisce insieme ad altri militanti alcuni giovani del Centro Sociale Acrobax. Il 29 giugno 2017 guida il gruppo di militanti di CasaPound che fa irruzione a Palazzo Marino durante un Consiglio comunale con l’obiettivo di chiedere le dimissioni del sindaco Giuseppe Sala, coinvolto nelle indagini su Expo. Il blitz finisce con atti di violenza contro un comitato cittadino della zona di San Siro. Polacchi in una manifestazione di Casapound
e nella foto piccola Polacci a cena con Salvini
Il 2015 è l’anno della svolta imprenditoriale: nasce Pivert, brend legato a CasaPound, tanto che i giovani militanti ne scelgono i capi di abbigliamento come segni di riconoscimento. Sede legale a Roma, sede centrale e magazzini a Cernusco sul Naviglio. Il marchio è lo stesso della giubba indossata da Matteo Salvini allo stadio un anno fa. …” (Francesca Ceccarelli, sul sito TPI News). Ora molti si chiedono con quali motivazioni il Ministro dell’Interno abbia scelto proprio quella piccola casa editrice il cui proprietario è un pregiudicato, dirigente e attivista di CasaPound; non ce n’erano altre in Italia meno compromettenti? Ed è lecito, oltre che opportuno, per un ministro della Repubblica lisciare così smaccatamente il pelo a un esponente di quella galassia nera dai tratti eversivi che sta soffiando sul fuoco delle rivolte nelle periferie degradate contro i rom, i sinti e gli immigrati? Se il ministro responsabile dell’ordine interno del Paese ammicca ai fomentatori di odio contro i più deboli, facendo strame della civiltà e della giustizia, chi ci difenderà dalla barbarie prossima ventura?
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