L’ODIO RAZZIALE COME MOVENTE E…

L’ODIO RAZZIALE COME MOVENTE
E COME FINE DELL’ANTIBERLUSCONISMO
 

L’ODIO RAZZIALE COME MOVENTE

E COME FINE DELL’ANTIBERLUSCONISMO

        Per chi ancora non se ne fosse accorto, una nuova forma di odio razziale (come se già non bastasse quello politico, foriero di tante disgrazie e sciagure alla nostra amata Patria) si è diffusa e radicata in quella parte del popolo italico che nega qualsiasi virtù, qualsiasi motivazione ideale, qualsiasi sentimento che oltrepassi il suo stretto e immediato interesse, al Cav. Silvio Berlusconi, e anzi lo considera pregiudizialmente (chissà mai perché) alla pari di un avventuriero senza scrupoli arricchitosi tramite l’amicizia interessata di politici (Craxi in primis) e di faccendieri in odore di mafia, come Dell’Utri; mentre un’altra  parte del medesimo popolo lo seguirebbe ovunque, lo ama, in lui si rispecchia e lo vede, o lo vagheggia, come il nuovo Duce, l’unico  che ci potrebbe guidare, per il nostro bene, fuori dalla crisi economica, politica giustizialista e moralistica (incarnando egli l’ideale del principe machiavellico, che sa come accattivarsi il favore delle plebi, pur disprezzandole) in cui ci dibattiamo invano da decenni, magari facendoci riconquistare l’ indipendenza politica e monetaria, e che proprio non riesce a comprendere  le ragioni per cui  è tanto odiato dal così detto “popolo della sinistra”.


 

Ulteriore prova dell’esistenza di questo nuovo razzismo o “arianesimo del bene” (addirittura) di sinistra, – causa prima, secondo l’autorevole polemista de Il Giornale berlusconiano, Paolo Guzzanti – della “guerra civile mentale” tra italiani, è il coro di sdegnate, scandalizzate e stigmatizzanti reazioni suscitate dal paragone fatto dal Cav, e riportato fedelmente da Bruno Vespa nel suo ultimo libro, tra lo stato d’animo dei suoi figli e quello delle famiglie ebree sotto il regime nazista. Per Paolo Guzzanti quel paragone non ha niente di scandaloso, è semplicemente dettato da una constatazione di fatto: è vero o non è vero che l’atteggiamento dell’intellighentia di sinistra e, quindi, per estensione, del popolo di sinistra, nei confronti di Berlusconi e dei suoi elettori e ammiratori è assimilabile a quello di un cittadino colto e raffinato, ma tutt’altro che democratico, nei confronti di un barbaro, di un essere subumano se non proprio di un animale?

 
Il giornalista Paolo Guzzanti

Questo clima di odio tipico dei regimi totalitari e, nel caso dell’antiberlusconismo “a prescindere”, dei regimi comunisti, secondo il brillante corsivista de Il Giornale, è cominciato il “giorno stesso in cui Bettino Craxi conquistò la segreteria del Partito socialista nel 1976, portandolo su posizioni anticomuniste” . Ecco l’origine di quella frattura insanabile che divide ancora oggi gli ex o post comunisti dai socialisti riformisti, prima, e poi dai dipendenti del partito-azienda del miliardario signorotto di Arcore, tra cui militano, o hanno militato – a fianco dei post fascisti ed ex missini – ex socialisti come Brunetta, Cicchitto, Sacconi (per tacere di Stefania Craxi e di Margherita Boniver). Ma seguiamo passo passo i meandri  del ragionamento guzzantiano, tutto teso a giustificare l’analogia tra la persecuzione nazista degli ebrei (nonché di altre minoranze nocive alla salute del Terzo Reich) e il clima di odio e di disprezzo che circonda da vent’anni Berlusconi, la sua famiglia e i suoi famigli: “Il paragone che l’ex presidente del Consiglio riferisce è quel sentimento di messa al bando che precede l’espulsione e la distruzione”.  Ma che cosa ha confidato il Cav. al non disinteressato amico Bruno Vespa, che infatti ha divulgato su tutti i media il contenuto dell’intervista con la frase incriminata prima ancora che il libro uscisse in libreria? Ecco le parole che Guzzanti non considera per niente scandalose: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso”. Davvero proprio  tutti  non sembrerebbe, a meno di non ritenere Sandro Bondi, Daniele Capezzone, Raffaele Fitto, Renato Brunetta, Micaela Biancofio, Alessandro Sallusti, Daniela Santanchè, Maria Stella Gelmini, Giuliano Ferrara, Vittorio Sgarbi, lo stesso Guzzanti (Paolo) ed altri fedelissimi pretoriani “lealisti” delle emerite nullità, ma non sottilizziamo. “Credo che tutti – argomenta Paolo Guzzanti – farebbero bene a riflettere sull’elemento inoppugnabile di questo paragone apparentemente temerario: quello della guerra civile mentale degli ultimi decenni che fa seguito all’altra guerra civile dei tempi acuminati della guerra fredda”. E qui Guzzanti si lancia in un breve excursus storico che va “dalla vera guerra civile che seguì la guerra mondiale scatenata da Hitler nel 1939, dopo essersi assicurato l’amicizia profonda e l’alleanza attiva dell’Unione Sovietica di Stalin” – a dimostrazione dell’affinità “profonda” che legava insieme i due dittatori, anche riguardo all’antisemitismo – fino al ventennio berlusconiano, che è in realtà un diciannovennio, ci tiene a precisare il padre di Corrado e di Sabina (ma da chi avranno preso il loro talento di attori?), “di cui soltanto nove di governo” effettivo berlusconiano”, (purtroppo, verrebbe da dire!). E dopo la vera guerra civile ecco la (finta?) guerra civile mentale (chissà perché “mentale” e non “ideologica”. Non sarà che per caso Guzzanti abbia qualche problema, absit iniuria verbis , con la sua propria mente? Mah!); vediamo: “Quella guerra civile mentale cominciata trentasette anni fa, fu aizzata e attizzata anche e specialmente attraverso i giornali in maniera razzista trasformando i socialisti in una sottocategoria umana: la derisione, la diffusione, la diffamazione diventarono armi di uso quotidiano e si tornò all’infelice periodo dei socialisti descritti dai comunisti come ‘socialfascisti’”. Qui il riferimento storico è alla tesi leninista che considerava la socialdemocrazia, in particolare quella tedesca, l’ala sinistra della borghesia, la quale se ne serviva in funzione anticomunista, in alernativa al fascismo, secondo le convenienze del sistama capitalista. Questa tesi, però, fu abbandonata nel 1935, quando la Terza Internazionale appoggiò la politica dei Fronti popolari, e proprio in ragione della presa del potere di Hitler nel 1933-34 e del diffondersi dei regimi fascisti in Europa.


 

Ma Guzzanti tira dritto (a proposito, chi è che disse “Noi tireremo diritto”?) e insiste sulla sua tesi della guerra civile mentale dei comunisti contro i socialisti riformisti, cioè contro Craxi; questa guerra “creò un clima di odio che da politico diventò presto fisico, antropologico, personale”. Già, ma non erano i neofascisti ad aggredire Craxi? Gli stessi che poi si alleeranno con berlusconi? Su questo Guzzanti sorvola; e rincara la dose: “Infine, la campagna così condotta creò una nuova etica e persino una nuova estetica, usate per mettere al bando chiunque condividesse l’anticomunismo democratico e persino di sinistra dei socialisti”. Nuova etica? Nuova estetica? E quali, di grazia? “Su queste colonne [quindi su Il Giornale della famiglia Berlusconi] scrissi allora che la nuoiva etica/estetica costituiva il nuovo arianesimo: non quello dell’eretico prete egiziano del terzo secolo, ma nel senso nazista: i nuovi codici imponevano un modello antropologico oltre che politico, culturale e comportamentale brandito (?) dalla generazione allevata su quei canoni”. Qui il senso della frase non è molto chiaro, ma il senso del discorso, purtroppo, sì: come l’estetica nazista negava diritto di cittadinanza alla cosiddetta “arte degenerata” (salvo incamerarne e nasconderne parecchie opere, come si è visto recentemente, a titolo di investimento – non si sa mai – per l’incerto futuro) così i “comunisti” degli anni Ottanta giudicavano indecente e oscena la commistione di politica e affari e l’arricchimento personale a spese del pubblico erario. A riprova: “Quel che è accaduto subito dopo con Berlusconi è sotto i nostri occhi. L’uomo che non viene dai salotti buoni e che ha il torto di essersi fatto da solo, diventò immediatamente l’oggetto di una riduzione a mostro”. Chiedere ai “comunisti” Violante, Napolitano e D’Alema per averne conferma! “Fu stabilito [soggetto indeterminato] che non soltanto Berlusconi in person, ma tutto il suo mondo, i suoi elettori, i suoi sostenitori, persino i suoi rari [eroici?] intellettuali della prima ora (da Lucio Colletti a Saverio Vertone a Giuliano Urbani e via via tutti gli altri) altro non erano che una manica di cialtroni, volgari ignoranti: dei sotto-uomini, ciascuno un Untermensch cioè una creatura abbietta”, insomma, per l’equilibrato berlusconiano nonché stipendiato giornalista de Il Giornale Paolo Guzzanti, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Bersani, Cuperlo, o i giovani  piddini Danilo Leva, Roberto Speranza ed Emanuele Fiano, figlio di Nedo Fiano, deportato ad Auschwitz, ed unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia, o il Presidente della regione Puglia Nichi Vendola, che hanno stigmatizzato come vergognosa e insultante, oltre che demenziale, quell’improvvida similitudine, non avrebbero niente da invidiare a Goebbels, a Himmler, a Goering ad Afred Rosenberg e nemmeno al compagno Zdanov! Se questa orazione difensiva vi sembra espressione di un sano intelletto, io non so più che cosa significhi né  la parola sano e né la parola intelletto. E così ho dato anche il mio contributo, valga quel che valga,  alla “guerra civile mentale” che, secondo Paolo Guzzanti,  si combatte da trantasette anni (e forse anche da molto prima) nel nostro sventurato Paese.

FULVIO SGUERSO

 

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